Participate Translate Blank profile picture
Image for Tirana conta e riconta i voti: la rivoluzione si è persa per strada

Tirana conta e riconta i voti: la rivoluzione si è persa per strada

Published on

societàPolitica

E' fine pomeriggio alla sede della Commissione elettorale centrale di Tirana. Un gruppo di militanti del Partito socialista albanese, per lo più tutti uomini, attende con impazienza il risultato delle elezioni locali svoltesi 15 giorni prima. Davanti a loro, un imponente cordone di polizia protegge l'edifico in cui, per l'ennesima volta, si contano e ricontano le schede di voto.

Sembra essere in un'impasse.

«Nella migliore delle ipotesi, la polizia userà solo gas lacrimogeni»

Il clima è stranamente calmo, nessun manifestante si agita.Attualmente è Edi Rama il sindaco socialista di Tirana, proclamato vincitore delle elezioni locali di domenica 8 maggio. Ma è Lulzim Basha che potrebbe uscirne vincitore dopo la decisione di ricontare i voti presa dalla Commissione Elettorale. Nota bene, i rappresentanti del Partito Democratico, dal quale proviene non solo Lulzim Basha, ma anche Sali Berisha, l’atuale Primo ministro, sono in maggioranza in questa Commissione. All’interno dell’opposizione si grida alla frode e si invitano gli elettori a ribellarsi. Un po’ dappertutto circolano voci che autobus pieni di sostenitori di Edi Rama sarebbero in rotta per Tirana e che potrebbero ripetersi sanguinose repressioni come quelle delle manifestazioni del 21 gennaio, quando la polizia aveva sparato sulla folla. Si dice che persino José Manuel Barroso abbia annullato la sua visita a Tirana per motivi di sicurezza. «Nella migliore delle ipotesi, la polizia userà solo gas lacrimogeni. Qui siamo più o meno al sicuro», dice un ragazzo sulla terrazza di un bar dove si raggruppano quelli che temono la repressione. I militanti sono calmi. Mentre scandiscono: «E' una dittatura!», evitano di provocare le forze di polizia. Ci vorrà molto più di un acquazzone per disperdere questa piccola folla che va a cercare riparo sotto gli ombrelloni dei bar.

Gli eventi che hanno fatto sprofondare l’Albania in un’intensa crisi politica non sono cominciati ieri. E' infatti sin dalle elezioni legislative del 2009 che il Partito Socialista contesta la legittimità della vittoria del Partito Democratico guidato dal Primo ministro Sali Berisha. La situazione si è complicata quando gli albanesi hanno scoperto un video nel quale il loro vice-premier Ilir Meta chiedeva al ministro dell’economia di nominare d’ufficio il vincitore di una gara d’appalto. Malgrado le sue dimissioni, alcuni manifestanti dell’opposizione sono scesi in piazza a Tirana per richiedere elezioni anticipate. La polizia ha aperto il fuoco, sparando proiettili veri, e causando 4 morti e decine di feriti. Tutti gli albanesi che avvicino sembrano scontenti e stanchi della situazione politica che, 20 anni dopo la caduta del comunismo, non riesce ancora a normalizzarsi. Due partiti si danno il cambio alla guida dello Stato, ma i problemi restano sempre gli stessi. Il tasso di disoccupazione e’ inquietante e la corruzione e’ onnipresente. Nonostante tutto ciò, appena riemerge la parola “rivoluzione”, tutti fanno marcia indietro. E anche gli studenti indossano con poco entusiasmo le loro vesti progressiste.

Gli studenti alzano le spalle

Evrona Lena insegna diritti umani all’università privata "Marin Berleti". I suoi studenti del secondo anno, contro ogni aspettativa, sono sospettosi quando li avvicino. Come risposta alle mie domande sulla situazione politica, ricevo in cambio un’alzata di spalle. Si aprono poco a poco, con delle risposte generali e aleatorie. Le élites politiche, secondo loro, sono troppo immature, ma la situazione attuale a loro sembra normale, perché l’Albania vive un periodo di transizione. «Qui da noi si contesta il risultato delle elezioni tutte le volte. Quest’ultima non ha niente di nuovo o di eccezionale», sottolinea una studentessa vestita all’ultima moda italiana.

Nessun impegno in associazioni o movimenti civili, nonostante siano nati dopo l'era sovietica.

Nessuno di loro ha aspirazioni politiche, né si impegna in attività extrascolastiche, men che meno in un lavoretto per pagarsi gli studi. Vogliono giusto prendere la laurea, trovare un lavoro e, perché no, partire per l’Europa. «Ma solo per fare la specialistica o un master, e poi ritornare in Albania», dichiara uno di loro. Più tardi la professoressa si lascia andare:«I miei studenti sono dei giovani brillanti e intelligenti, pieni di idee. Sono ben consapevoli della situazione politica ed economica, ma sono difficili da smuovere, perché il regime comunista ci ha lasciato in eredità il sentimento di paura, non solo la paura di parlare, ma persino la paura di pensare liberamente. Mi è difficile immaginare che una rivoluzione sul modello della Tunisia sia possibile in Albania». Nonostante il fatto che la maggior parte degli studenti sono nati dopo la caduta del comunismo…

«Adesso basta!»

«E’ assolutamente comprensibile che i giovani siano in uno stato di immobilismo. Dalla loro più tenera età, vengono abituati ad ascoltare prima di tutto i più vecchi, poi i loro professori, poi i loro capi, e soprattutto a non discutere contraddire quello che hanno imparato senza porsi domande», mi spiega Aldo Merkoci del movimento MJAFT! («Basta!»), un movimento di attivisti che sensibilizza i cittadini riguardo i problemi politici e sociali in Albania. Secondo lui, gli Albanesi sono stanchi dei giochi politici, ma non riescono a reagire. Ma non tutti hanno optato per l’apatia. Nel 2008 alcuni militanti dello stesso movimento hanno fondato il partito politico "G99" in collaborazione con alcuni studenti. Decisi a cambiare le carte in tavola, il loro progetto è stato fatto fallire dalla pessima copertura mediatica ed dai complotti che hanno subito durante le elezioni legislative del 2009. «Non sono riusciti a ottenere neppure un seggio in Parlamento. Sono stati talmente delusi che alla fine hanno mollato tutto».

« Un passo indietro di vent’anni»

«Cerca di evitare il centro della città, mi hanno informato che le manifestazioni possono diventare violente». E’ il terzo giorno che i risultati si fanno attendere e che la situazione davanti alla Commissione elettorale di Tirana non si smuove di un millimetro. I poliziotti restano numerosi, i manifestanti vanno e vengono e il messaggio inviato da Monika Stafa, giornalista di Top Channel, sembra premonitore. La giornalista dice di essere stanca, ordina una bevanda energetica e si sfoga: «Dopo la caduta del comunismo, avrei potuto partire per l’Europa, ma ero giovane e credevo che un futuro migliore ci attendesse. Ma oggi, invece, abbiamo fatto un passo indietro di una ventina d’anni. Più che mai avrei voglia di andarmene da qui. Non lo farei per me, hanno già rubato gran parte della mia vita, ma per mio figlio che non ha nessuna opportunità di farcela in questa società», conclude. Fuori, l’aria di Tirana si riempie di delusione e di scoraggiamento. Quanto tempo durerà?

Questo articolo fa parte della serie Orient Express 2010-2011, la serie di reportage realizzati da cafebabel.com nei Balcani e in Turchia. Più informazioni su Orient Express Reporter.

Foto : (cc)minifig/flickr ; testo: ©Sladjana Perkovic

Translated from Tirana : à la recherche de la révolution perdue