L’esperto: «L’Europa sarà un modello per il mondo»
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lucia pantellaMark Leonard, uno dei principali esperti di politica estera in Gran Bretagna, si mostra ottimista sul futuro dell’Europa.
L’Unione Europea può anche essere in crisi, ma Mark Leonard, Direttore del dipartimento Politica estera al think-tank londinese Centre for European Reform, ha pubblicato recentemente un libro intitolato Why Europe will run the 21st Century (Perché l’Europa guiderà il Ventunesimo secolo). Cosa fa credere a questo regolare collaboratore di giornali come l’Observer e il Financial Times che il futuro dell’Europa possa veramente essere così radioso?
Lei afferma che l’Europa guiderà il Ventunesimo secolo. Cosa glielo fa pensare?
L’Unione Europea è uno più avanzati tentativi politici di unire paesi diversi nel più grande mercato unico del mondo, costituendo un sistema legislativo comune e una serie di politiche atte a risolvere problemi che vanno al di là delle singole frontiere. Unendosi in questo modo, i paesi di dimensioni piccole e medie sono in grado di farsi sentire a livello globale, e dialogare con gli Stati Uniti e altre grandi potenze su un piano paritario. L’Ue, inoltre, ha portato alla trasformazione dell’intero “Vecchio Continente”, che è divenuto progressivamente più democratico, inglobando sempre più paesi. Oltre a ciò, gli Stati europei si sono rivelati all’avanguardia nel tentativo di costruire un nuovo ordine mondiale, attraverso la creazione dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, la Corte Penale Internazionale e il Protocollo di Kyoto.
Oltre a ciò, il successo dell’Unione Europea sta nell’indurre gli altri paesi del mondo a guardare al modello europeo e a sviluppare le loro istituzioni riprendendo molti dei suoi principi ispiratori. In America Latina c’è il Mercosur, in Africa l’Unione Africana, e in Asia Orientale si sta parlando di costruire una Comunità dell’Asia Orientale, con un mercato unico e una moneta unica, sulla scia dell’Ue. Ecco cosa intendo, quando affermo che l’Europa guiderà il Ventunesimo secolo: non che l’Europa sarà a capo di un impero, ma che il suo modo di agire diventerà il modo di agire del mondo intero.
Riuscirà ad emergere una vera identità europea se l’Ue continuerà ad allargarsi e a “risucchiare” nuovi Paesi?
È necessario chiarire il tipo di identità europea che stiamo creando. Non si tratta tanto di un’identità etnica o religiosa, ma di un’identità che si incarna nel modo europeo di agire e di risolvere i problemi. In altre parole, si tratta di un’identità basata sulla piena fiducia nello Stato di diritto (sia sul piano interno che su quello internazionale), nelle soluzioni multilaterali e nella necessità di conciliare il dinamismo economico con la coesione sociale – tutti elementi che sono contenuti nelle 80.000 pagine del diritto comunitario. Certo, ci sono ampie differenze tra i diversi Stati membri, ma tra loro hanno più cose in comune che con il resto del mondo. La Francia e la Gran Bretagna hanno sistemi elettorali diversi, una lingua diversa e una moneta diversa, ma presi insieme sono molto più simili l’uno all’altro che alla Cina o agli Stati Uniti, ad esempio in quanto alla concezione che del ruolo dello Stato hanno. E questo vale per tutti gli altri Stati membri.
In questo senso, l’Ue non si è mai posta come un modello unico cui tutti devono adeguarsi, ma come un sistema capace di gestire la diversità dei suoi membri. Tuttavia, ci sono valori e regole comuni che legano i Paesi membri – a partire dalla geografia e dalla vicinanza –, che fa sì che problemi come l’inquinamento ambientale debbano essere affrontati insieme.
Se l’Unione Europea è così speciale, perché ci sono tanti euroscettici?
Tutti i cittadini europei stanno diventando sempre più scettici, se non addirittura cinici, nei confronti dei loro governi e delle loro classi dirigenti. È naturale che questo fenomeno si rifletta tanto a livello europeo quanto a livello nazionale. Oltre a ciò, c’è un grande divario tra il bisogno viscerale dell’Ue che hanno i cittadini – ad esempio per combattere il terrorismo e la criminalità – e il loro scetticismo nei confronti delle istituzioni. La maggior parte dei cittadini europei vuole continuare ad essere nell’Unione. Eppure a volte tale volontà non viene presa abbastanza in considerazione. Perciò spetta alla stessa Unione Europea colmare questo divario, concentrandosi di meno sulla riforma dei trattati e di più sulla necessità di dialogare con i cittadini. In modo da giungere a formulare delle soluzioni concrete ai problemi che ritengono importanti: come l’Iran e gli sviluppi del Protocollo di Kyoto. Ma anche in questo modo bisogna tenere in mente che l’Unione Europea non è uno Stato-nazione. Sono i governi nazionali che stabiliscono il sistema fiscale, che decidono le politiche per l’istruzione, per le pensioni e per la sanità, mentre all’Ue spetta il compito di regolare tutte queste materie, fornendo un quadro di riferimento. Non ci deve sorprendere, quindi, che i cittadini europei non si sentano vicini alle istituzioni comunitarie: e questo perchè, sebbene attive, esse lavorano solo indirettamente, e sempre attraverso i governi nazionali.
Con la crisi che l’Ue sta attraversando e la mancanza di fiducia nei leader politici nazionali, chi può davvero portare avanti il progetto europeo?
L’Unione Europea è un progetto dei governi nazionali, perciò spetta agli stessi governi nazionali portarlo avanti. Ciò che la Commissione Europea può fare è generare il consenso dei governi intorno ad una singola questione e agire da catalizzatore per trasformare la loro retorica in realtà, come seppe fare in passato con il Mercato Unico. Ciò che manca all’Ue in questo momento è il senso collettivo del futuro del progetto europeo, poiché tutti siamo stati talmente preoccupati delle divergenze esistenti, che è mancata una vera riflessione sul tipo di Europa che vogliamo.
Nella mia mente è molto chiaro ciò che l’Europa deve fare ora: concentrarsi di meno sulle proprie istituzioni interne e di più sul tentativo di dare un nuovo volto al mondo del Ventunesimo secolo. E ciò innanzitutto significa tentare di ottenere nei Paesi del Mediterraneo e dell’ex blocco sovietico lo stesso impatto trasformativo che abbiamo avuto con i nostri vicini dell’Europa centrale e orientale negli anni Novanta. Inoltre significa cercare di rendere l’Europa più competitiva, modernizzando i nostri modelli economici e sociali, senza tuttavia sacrificare la nostra unica economia sociale di mercato. Ciò infine significa individuare degli strumenti di politica estera, capaci di affrontare le sfide del prossimo secolo, integrando il mercato, gli aiuti e la politica estera. Per tentare di dare un nuovo volto al mondo.
Translated from “Europe’s way will become the world’s way”