La Creuse: la felicità si trova in campagna
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Secondo l’ONU, nel 2050 più dei due terzi della popolazione mondiale vivrà in città. Una tendenza che in Francia comincia già a farsi sentire con la devitalizzazione del centro dei suoi 15mila comuni. Tra questi, la Creuse è ad oggi la regione francese che subisce lo spopolamento più grave. Impotente, giorno dopo giorno guarda i suoi giovani volare verso altri orizzonti. Ma la speranza non si è ancora spenta, perché ci sono ancora giovani nella Creuse che contribuiscono allo sviluppo della loro regione e che cercano, nonostante tutto, a ripopolare il territorio.
A Pontarion, un piccolo comune situato nel nord della Creuse, Delphine Pluvinage abita con sua madre e il figlio di quattro anni in un piccolo atelier d'artista. Un vecchio panificio, oggi pieno di ricami, lavori di cucito, articoli di bigiotteria e altri oggetti curiosi. Delphine è sarta, mentre Anne, sua madre, crea gioielli, cuce e lavora il legno. Amante degli oggetti di scarto, li trasforma e dona loro una seconda vita. «Prima di venire qui, mia madre lavorava come corniciaia da Lesage». Un’opportunità, per Delphine, di conoscere il mondo del ricamo. Da allora, la parigina vive una vita con la V maiuscola. «Ho sempre fatto tutto in maniera molto spontanea, ho 22 anni, una casa, un bambino e un lavoro che mi piace».
Ma il suo percorso di vita era ben lungi dall’essere stabilito in partenza. «Mia madre ed io avevamo bisogno di uno spazio per mettere le nostre cose e cercavamo un alloggio, perché il nostro edificio parigino è stato venduto dal Comune», prosegue. Le due donne decidono allora di mettere insieme i propri risparmi e di trasferirsi altrove. «Abbiamo trovato questo alloggio a 10mila euro su Le Boncoin. È più una rimessa che una casa, ma noi abitiamo qui ed è fantastico», racconta Delphine. Se la tendenza della regione è lo spopolamento, il caso di Delphine è un perfetto contro-esempio. Nonostante il suo ottimismo, comunque, non è per sua scelta che la giovane si è trasferita qui due anni fa. «È stato proprio per caso. Abbiamo scelto la Creuse per ragioni economiche. Ma è stato un vero colpo di fortuna e non abbiamo mai rimpianto la nostra scelta». Pur considerandosi ora un’abitante della Creuse al cento percento, la ex parigina conosceva gli stereotipi che spesso riguardano questa regione. «Per me, i cliché della Creuse erano le mucche e il prato. Era proprio l’angolo sperduto della Francia». Un’opinione che ha cambiato col tempo. «Mi dispiace averla pensata così. Oggi direi invece che è il posto più bello della Francia». Se la ragazza ha deciso di trasferirsi qui, è anche per crescere suo figlio lontano dal pattume parigino. «Ama molto la natura. È molto creativo per la sua età, e qui penso che possa sbocciare, in una classe di 10 alunni, invece che essere pigiato in una classe di 30».
Per quanto riguarda il suo mestiere, Delphine è una fautrice del made in France e dice oggi di avere sufficiente visibilità da poter vivere del suo lavoro. «È grazie ai social che ho potuto concludere le mie prime vendite su Internet», spiega riferendosi ai suoi 80mila followers su Instagram. La sarta viene presto contattata da un’associazione che partecipa agli appuntamenti annuali di MIF (Salone dei prodotti Made in France a Parigi, ndlr), che le permette di avere uno stand tutto suo e di esporre le sue ultime creazioni. «È stata un’esperienza meravigliosa. Ho venduto un sacco e ci andrò anche quest’anno», si entusiasma Delphine. Un successo per la giovane, al prezzo di qualche sacrificio. «Mia madre ed io abbiamo passato l’anno nella nostra abitazione a lavorare. Non abbiamo ancora amici. Mi sentivo ancora sola l’anno scorso ma ho un carattere solitario e a volte la mia compagnia mi basta», continua.
La Francia periferica
Con i suoi 120.365 abitanti - dagli ultimi dati dell’Insee (Istituto Nazionale di Statistica e degli Studi Economici, ndt)- , la Creuse sta subendo uno dei più gravi tracolli demografici del paese. Non essendo controbilanciato da nuovi arrivi, il suo bilancio è negativo. Tuttavia, ci sono più persone che si trasferiscono nella Creuse che persone che la lasciano. «Il tasso migratorio è positivo. È quindi una zona che attira. D’altro canto la popolazione sta invecchiando, questo non incoraggia gli investimenti e causa così lo spopolamento», spiega Vanessa Girard – urbanista specializzata nel settore demografico – a proposito del 67 per cento di pensionati che costituiscono la popolazione della regione. Una situazione di isolamento che Michel Vergnier, sindaco socialista di Guérêt (capoluogo della Creuse, ndlr) constata con tristezza. «È chiaro che lo sviluppo economico non interessa la Creuse. La liberalizzazione del commercio in Europa ha provocato la chiusura di importanti realtà aziendali della regione. Non essendoci più opportunità professionali per loro, i giovani se ne sono andati».
Se esiste una Francia periferica, lo è soprattutto in senso sociale.
Nonostante gli sforzi politici, la difficoltà demografica si fa sentire negli anni e la popolazione della regione continua a diminuire. La stessa economia della Creuse è in ribasso da decenni, come dimostra l’Insee, che nel 2015 ha registrato il PIL per abitante più basso della Francia, con meno di 20mila euro annuali per nucleo familiare. Un isolamento progressivo e un sentimento di autarchia che si trovano in quasi tutti i settori dell’economia della Creuse, come nel caso della GM&S (fabbrica di pezzi di automobili, ndlr), che anche quest’anno si è trovata ferma. E nonostante tutte le iniziative dei suoi giovani cittadini, la Creuse sembra essersi imbarcata su una “diagonale del vuoto”. Una tendenza alla desolazione, quindi, che non fa presagire niente di buono per le campagne nei prossimi anni. Tanto da chiedersi se esiste una Francia periferica.
«Sì e no», risponde Vanessa Girard. Secondo lei, anche se «le città sono di fatto sempre più popolate», il modello demografico francese a partire dagli anni '70 è meno estremo di quello descritto dal rapporto delle Nazioni Unite, secondo il quale entro il 2050 più dei due terzi della popolazione umana vivrà in città. «Le persone si trasferiscono nelle periferie piuttosto che nelle grandi città per rispondere ad un problema di alloggi», continua. Secondo l’urbanista, «non è tanto la classe sociale e l’opposizione tra ricchi e poveri, ma la tipologia familiare a delineare la ripartizione del territorio». Una tipologia familiare alla quale lei stessa aderisce, avendo scelto di crescere il suo bambino lontano dalla città. «Generalmente è quando decide di avere dei figli che una coppia si trasferisce in una casa di periferia», spiega Vanessa Girard.
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È un’opinione che non condivide appieno Christophe Guilluy, autore de La France Périphérique, opera in cui tratta la questione delle classi popolari e delle loro caratteristiche geografiche e sociali. Secondo lui, se esiste una Francia periferica, lo è soprattutto in senso sociale. «Non è semplicemente una determinazione geografica», scrive. «Si tratta soprattutto della ripartizione nello spazio delle categorie più umili e popolari, degli operai, impiegati, contadini, lavoratori o giovani disoccupati, o pensionati provenienti da queste categorie». Questa sarebbe secondo lui «altrettanto urbana e rurale, poco importa il territorio fisico».
Non è facile trovare soluzioni efficaci. Isolata pur essendo al centro del territorio nazionale, la Creuse sembra dipendere dalle politiche agricole e industriali del paese, sentendosi, come il sindaco di Guéret, abbandonata dal governo da decenni. Urbana o rurale che sia, la Creuse non riesce ancora a sfruttare positivamente il proprio territorio. Una difficoltà importante, ma che secondo Christophe Guilluy non rappresenta un’ineluttabilità. «Non esiste il territorio in sé. Esistono le persone che ci vivono. In questo senso, la Creuse è un’area rappresentativa della Francia periferica».
Prendimi se ci riesci
Se ci sono ancora giovani che si trasferiscono alla Creuse, non sono però tutti come Delphine. Tra di loro c’è Mathieu Couturier, un giovane agricoltore di 34 anni che ha preso in mano la fattoria del padre. Nel suo camper di Lussat, un piccolo comune situato a est della regione, Mathieu si accende una sigaretta prima di ricordare gli ultimi dieci anni della sua vita. Trasferitosi nel 2005 nella fattoria di Nouzière, a est del comune, e cogliendo l’occasione del pensionamento del padre per rilevare la fattoria, decide di sostituire i polli alle mucche. Sensibile alle tematiche bioetiche, alleva circa 5mila volatili che in seguito distribuisce sul mercato tramite vendita diretta. Il fattore non ha di che lamentarsi: la fattoria si estende a perdita d’occhio su 78 ettari e offre una bella vista sul laghetto di Landes. Ma se il governo promette di stanziare 1,1 miliardi di euro per cinque anni sull’agricoltura biologica, Mathieu non nasconde il proprio scetticismo nei confronti dell’azione governativa in materia di politica agricola. «Si fa molto folklore quando si tratta del biologico. L’ex ministro Stéphane le Foll ha deciso di promuovere lo sviluppo dell’agricoltura incrementando gli aiuti economici per il suo rinnovamento», spiega. Solo che adesso gli agricoltori si trovano a dover fronteggiare ritardi dei pagamenti, dovuti al fatto che il ministro non aveva previsto un così alto numero di adesioni. «Molti di noi non hanno ancora visto i soldi previsti per il 2016 e 2017», si lamenta Mathieu Coututier, sentendosi «preso in giro da ormai tre anni». Nonostante la sua delusione nei confronti delle ultime politiche nazionali in materia di agricoltura, il giovane continua a seguire da vicino l’azione politica locale, in particolare quella del sindaco di Guéret Michel Vergnier e di Eric Corréia, consigliere regionale della Creuse. Due attori locali che tengono un rapporto di forza con Emmanuel Macron dopo la promulgazione del Piano particolare per la Creuse (PPC), negoziato dal sindaco e validato dal Capo dello Stato. Delle misure che hanno come obiettivo quello di ravvivare la vita degli abitanti della Creuse ripopolando il territorio.
A pochi chilometri di distanza, Michel Vergnier racconta come ha convinto il presidente della Repubblica ad aderire al piano di rivitalizzazione della sua regione. Un programma specifico e unico in Francia, che riunisce 17 gruppi di lavoro per sviluppare una “ruralità del futuro”. Le tematiche sono varie: agricoltura sostenibile, cultura e hobbies, ma anche nuove tecnologie applicate alla salute. Amante dello sport, Michel Vergnier vorrebbe fare di Guéret una «città per l’allenamento olimpico in VTT». Un’attività secondo lui capace di rilanciare l’immagine della sua città. «Delegazioni internazionali verrebbero ad allenarsi qui da noi, immaginate come l’immagine della Creuse cambierebbe dalla mattina alla sera!». Diventato la missione numero 1 degli abitanti della regione, il Piano particolare per la Creuse intraprende una battaglia che è ancora lungi dall’essere vinta.
«Il PPC è nato a Egletons a Corrèze, quando alcuni consiglieri locali, tra cui me stesso, sono stati fatti bersaglio di gas lacrimogeni da parte del CRS (“Compagnia Repubblicana di Sicurezza” francese, ndt), per proteggere il Presidente della Repubblica che rifiutava di riceverci». Tutto risale al 4 ottobre 2017. Dopo il licenziamento di circa 150 dipendenti dell’azienda GM&S, diversi sindaci della regione molto determinati decidono di rivolgersi direttamente a Emmanuel Macron. L’iniziativa non ha successo. «Quello che volevamo era essere ricevuti per discutere dei problemi sorti in seguito al licenziamento dei dipendenti dell’azienda automobilistica», sostiene Michel Vergnier, allora portavoce dell’Associazione dei sindaci francesi. Segue un’accesa campagna mediatica locale e poi nazionale. «Quando i consiglieri locali non sostengono più lo Stato, lo bloccano», prosegue il sindaco. La tensione continua a montare e il Presidente della Repubblica alla fine invita i sindaci all’Eliseo. «Volevamo trenta minuti e ce ne hanno dati quarantacinque», si rallegra il sindaco.
Davanti al Presidente, «ognuno ha fatto il punto della deprimente situazione della Creuse. Oltre al caso GM&S, l’eliminazione dei contratti di lavoro con finanziamento statale ha toccato 400 posti di lavoro». Un duro colpo per una regione che già soffre di graduale spopolamento. Come risposta, il Capo dello Stato chiede ai consiglieri di fare delle proposte, anche “non legali”, per rilanciare l’economia e quindi ripopolare il territorio. Parole inaudite per un Presidente, ma che hanno senso se pensiamo che si tratta della Creuse. Perché se Macron parla proprio in questo contesto di proposte “non legali”, significa che una soluzione illegale potrebbe essere quella vincente.
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Lo scorso 2 febbraio, nel corso di una conferenza stampa presso il Comune di Guéret dedicata al piano di sviluppo della Creuse, il consigliere regionale Eric Corréia suggerisce a un giornalista l’idea di una derogazione per sperimentare la coltivazione della cannabis. Un progetto che potrebbe, a suo modo di vedere, soddisfare le esigenze degli agricoltori come del governo perché, secondo lui, la cannabis terapeutica potrebbe costituire un settore economico fruttuoso. «In Colorado, sono 18mila posti di lavoro in tre anni! In Francia, un ettaro di grano sono 300 euro, un ettaro di canapa 2500!».
Una soluzione che secondo lui permetterebbe di riavviare la base economica della regione. La proposta fa scintille, viene fortemente mediatizzata, e, con grande sorpresa del consigliere, è accolta bene a Guéret. Ciliegina sulla torta, un sondaggio di Iflop poco tempo dopo mette in luce una vera a propria rivoluzione dell’opinione pubblica sull’argomento: 8 francesi su 10 sarebbero favorevoli all’utilizzo della cannabis per fini terapeutici. E se Eric Corréia potrebbe essere l’unico in grado di implementare il progetto, è soprattutto perché ha collezionato nomine di Presidente delle comunità di Grand Guéret, di consigliere regionale e… di infermiere anestesista. «È innanzitutto un progetto umanitario, destinato a venire incontro a chi soffre», spiega aggiustandosi i suoi grandi occhiali dalle lenti rotonde. È dopo aver raccolto diverse testimonianze positive dei suoi pazienti che hanno fatto ricorso alla cannabis terapeutica invece che agli oppiacei (morfina, codeina, ndlr) che ha avuto questa idea. «Non capisco perché in Francia e altrove viene ancora permesso di vendere farmaci derivati dall’oppio, che è una droga estremamente pericolosa che provoca 150 morti al giorno negli Stati Uniti. La cannabis non ha mai ucciso nessuno», sottolinea.
La svolta verso l’erba
437 000 è il numero delle aziende agricole in Francia, secondo i dati raccolti nel 2016 dal Ministero dell’Agricoltura. Trent’anni fa ce n’erano più di un milione. Una sorpresa? Non proprio. Secondo Agreste, il servizio statistico del Ministero, la produzione agricola oggi non rappresenterebbe che il 3,5 per cento del PIL della Francia. Generalmente parlando, la tendenza è chiaramente negativa. Eppure la Creuse conta ancora il 5 per cento di agricoltori tra i suoi abitanti, contro l’1 della media nazionale. Stremato dai suoi difficili fine mese, anche Mathieu Couturier ha deciso di dedicarsi ad un’attività parallela all’allevamento. La sua idea si sposa con quella di Eric Corréia. In altre parole, si tratta di fare della Creuse una regione pilota per la sperimentazione della cannabis a fini terapeutici per far fronte alla sua morosità. Destina quindi 50 ettari alla coltivazione della canapa industriale. Questa pianta, che somiglia alla cannabis (canapa ricreativa), non ha gli effetti euforizzanti della cugina e la sua coltivazione è legale. «La Francia ne è il primo produttore europeo. Si può fare di tutto con questa pianta: olio, mangime per animali, corde, prodotti tessili, isolanti», elenca il giovane. Ma Mathieu Couturier si sta battendo anche per un’altra ragione. «Si sa che la pianta ha altri possibili utilizzi», continua l’agricoltore, che già si vede tra i primi produttori autorizzati di cannabis per fini terapeutici in Francia.
«Il nostro obiettivo è quello di far arrivare qui nuove persone. Macron vuole ripopolare la Creuse partendo dal suo sviluppo economico, è la creazione di posti di lavoro che porta nuovi abitanti», spiega Eric Correìa. Se ha fatto della cannabis terapeutica il suo cavallo di battaglia, è perché coniuga il suo impegno di consigliere a livello regionale con la sua professione. «Sanofi ha comprato un’azienda che produce cannabis per fini terapeutici. Pernod-Ricard se ne occupa allo stesso modo e Corona ci spenderà 4 miliardi di euro. Perché queste persone avrebbero così tanto interesse in questo settore? Dobbiamo smetterla di prenderci in giro». Soprattutto davanti ad un’attività che «potrebbe fruttare molto». Il sindaco pensa soprattutto agli agricoltori, a cui toccherebbe una grossa fetta della torta. «C’è molta domanda e prezzi remunerativi. È quello che serve all’agricoltura di oggi», sostiene a sua volta Mathieu Couturier. Secondo i calcoli di Eric Corréia, la legalizzazione della coltivazione della cannabis terapeutica nella Creuse potrebbe creare «da 400 a 500 posti di lavoro sull’intero processo, quindi dalla produzione alla vendita finale». Un progetto da approfondire seriamente, perché anche se lo stesso Macron sta studiando con attenzione questa possibilità, la vendita di cannabis, anche con tassi bassissimi di THC, è ancora illegale in Francia.
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Contrariamente agli scettici, Mathieu Couturier è convinto che la svolta verso l’erba non sia solo un bluff. «Ho dato il mio sostegno a Corréia perché il suo progetto è intelligente», sostiene l’agricoltore dirigendosi verso il suo campo di canapa industriale. Quasi impercorribile in auto, il cammino è pieno di buche e la terra è bagnata. C’è di che scoraggiare un visitatore troppo curioso. «Siamo in piena raccolta in questo periodo», mi informa il giovane. Davanti a lui si erge uno sconfinato campo di canapa. «Meglio passare di là», annuncia indicando una zona dove l’erba sembrerebbe più verde. L’agricoltore insiste che la Francia avrebbe un vero savoir-faire per la coltivazione della canapa, soprattutto nella Creuse. «Per farne una zona pilota della coltivazione della canapa per fini terapeutici bisogna cambiare la legislazione in vigore e sviluppare tutto un insieme di varietà, che contengano meno del 1 per cento di THC (molecola psicoattiva della cannabis, ndr.)», spiega.
All’inizio la ministra della sanità Agnès Buzyn era, secondo Eric Corréia, piuttosto restìa. Ma le sue dichiarazioni su France Inter dello scorso 24 maggio dimostrerebbero che ha cambiato idea in proposito. «Non c’è nessun motivo di trascurare, col solo pretesto che si tratta di cannabis, una molecola che potrebbe essere utile per il trattamento del dolore». Eric Corréia entra in contatto anche con il gabinetto della ministra, oltre che con quello di Edouard Philippe, che sarebbe favorevole a questa idea. «Non mi resta che convincere il Presidente», scherza, già sicuro della riuscita del suo progetto.
«Fare l’umanità»
Un raggio di sole si insinua gradualmente tra le finestre del grande edificio, facendo apparire un immenso parquet luminoso. Il canale di irrigazione attraversa il vecchio mulino passando sotto i 600 metri quadrati che costituiscono la residenza degli artisti. Gestendo la Métive, una residenza di artisti della regione, Aurore Claverie a 33 anni si è posta come obiettivo quello di ripopolare il territorio attraverso l’arte. Una presa di posizione che non si riduce alla semplice opposizione tra città e campagna. Perché se la direttrice riconosce che la regione è spopolata, ritiene che lo sia in quanto priva di luoghi di incontro. «Creare significa far muovere qualcosa incontrando un punto di vista diverso», spiega. È dopo aver vissuto a Tanger per 7 anni che vede l’incontro come il vero motore in grado di «cambiare il mondo». Ricca di esperienze personali, la videografa di professione decide di tornare a vivere in Francia, delusa dalla disparità di accesso alla cultura della popolazione marocchina. «Ho conosciuto persone che non hanno il diritto di andare da un posto all’altro, contrariamente ad altre. Quello che chiamiamo frontiera è qualcosa che mi disgusta profondamente».
Con la sua esperienza cittadina in tasca, si trasferisce nella Creuse, vedendoci un possibile incontro tra il mondo rurale e quello urbano. Come nel caso di Delphine, inizialmente è il costo dell’abitazione ad attirare la giovane a Moutier –d’Ahun, un comune situato a venti chilometri da Guéret. «La campagna della Creuse è la sola che conosco, perché mia madre ha comprato una casa a Vieilleville (a nord est della Creuse, ndr.)». «Dato che l’edificio era poco costoso, non avrei dovuto lavorare come un mulo per anni per poterlo comprare o prendere in affitto», spiega. Originaria di Gers e diplomata all’École pratique des hautes études e alla Sorbona, la videografa ha molti obiettivi artistici e culturali, pur continuando a «mantenere il DNA della Métive». Tra gli altri, quello di creare dei ponti culturali. «Spero di riuscire a creare dei ponti tra Tanger e la Creuse», specifica Aurore.
Ma non ci possono essere cambiamenti senza la partecipazione di quei settori che sono stati abbandonati nel corso degli anni. «La cultura non si può sviluppare da sola. Si deve fare con l’aiuto dell’economia e del turismo. Non si va da nessuna parte facendo le cose in isolamento». La giovane direttrice non si sente però abbandonata dalle istituzioni pubbliche. «Ci sono delle risposte concrete da parte dei nostri partner finanziari, ovvero la regione, la DRAC (Direzione regionale degli affari culturali, ndr.), l’unione dei comuni e la provincia. Le porte si stanno aprendo». È dopo aver parlato con la provincia che si è resa conto che la sua proposta colpisce nel segno. «L’anno scorso la Métive era piena. Di gente di tutta la Francia. Abbiamo persino avuto persone dal Togo!», esclama. Non ci sono dubbi per la direttrice, la cultura ha il potere di convincere i giovani a restare. E altri a venire. «Uno studente venuto in stage dall’Istituto di Belle Arti di Cergy a giugno si è trasferito qui una settimana fa. Soddisfatto della qualità della vita di cui può beneficiare qui, ha affittato uno studio davanti all’abbazia«.
Ma come per Delphine e altri giovani della regione, niente sembra realizzabile senza un minimo di sforzo. Pagata un quarto del tempo per un impiego a tempo pieno, per Aurore a volte è difficile arrangiarsi e rimboccarsi le maniche. «Mi riferisco alla rottura delle barriere tra gli artisti e il resto del mondo, qualcosa che siamo noi a dover fare». Una condizione molto importante se si vuole fare «un’umanità unita».
Desacralizzare i rapporti
Avendo per missione quella di creare dei ponti tra diverse zone strategiche, Aurore vuole sviluppare dei progetti tra gli attori transregionali della regione Nouvelle Aquitaine. «Abbiamo appena concluso un partenariato con il festival del cinema indipendente di BordeauxFifib». Ma tutto questo deve passare anche per lo sviluppo della sua provincia, che non è semplice. «Ho partecipato alle riunioni del PPC. Non siamo mai riusciti a lavorare insieme, non credo a questo modo di lavorare», confessa la giovane.
Contrariamente al sindaco di Guéret, Aurore non intende incoraggiare i giovani ad impegnarsi di più nell’economia della regione. «I giovani non ci credono di più dei non più giovani. Non voglio lavorare unicamente con un pubblico passivo. Preferisco lavorare con persone che non sono in queste strutture, quelli che in Francia chiamamo “public empêché” (letteralmente, "pubblico impedito"), che non hanno fisicamente accesso a queste strutture. Cosa significa poi? Questa parola è atroce», denuncia.
Ricostruire legami. Ricucire i pezzi tra l’arte e il resto della popolazione: questa è la missione della direttrice della Métive. Una storia di «barriere» secondo lei, in una situazione in cui l’arte è ancora sacralizzata. «Penso che chi crede che l’arte sia di élite soffra di un complesso». Una responsabilità che sarebbe da amputare allo stesso ambiente artistico, dato che questa rottura sarebbe conseguenza di pregiudizi di entrambe le parti. «Aprire la Métive a non artisti era una mossa troppo azzardata. Mi hanno guardata come se venissi da un altro pianeta. Perché non si possono profanare i templi consacrati alla creazione». Per mettere fine a questi cliché, Aurore tenta inizialmente di giocare d’astuzia. Nello specifico, mettendo un allevamento di galline in giardino. «Sembra una sciocchezza, ma in realtà è una mossa strategica. C’è del concime e la gente porta il suo concime alla Métive. Queste galline fanno le uova, che attirano la gente del paese. Adesso che ho le galline, la gente si ferma sul ponte a guardare la Métive». Ma la giovane direttrice tiene i piedi saldi a terra. «Non ho la pretesa di educare chicchessia. Amo l’arte con la "A" maiuscola, ma non voglio sacralizzarla». Dopo aver cambiato residenza una ventina di volte, la giovane vede il suo futuro nella Creuse. Un eldorado che l’ha «finalmente invogliata a mettere radici da qualche parte».
Tradotto dal francese da Veronica Monti
Questo articolo fa parte del progetto editoriale, Empty Europe. Scoprite gli articoli originali della nostra serie dedicata al fenomeno dello spopolamento in Europa qui.