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Il quartiere curdo di Istanbul: bambini in armi

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societàPolitica

Balat è il quartiere curdo-armeno di Istanbul: il rifiuto del Governo di Ankara spinge gli abitanti a forme di resistenza che finiscono nel rifiuto dell’integrazione. Un reportage nel giorno del "controverso" anniversario della nascita di Kemal Atatürk, il padre della Turchia moderna.

La pistola mi punta. Mi segue, non mi molla mai. Sento lo schiocco del grilletto e la raffica di proiettili mi raggiunge immediatamente. Non reagisco, immobile con l’occhio nell’oculare della macchina fotografica continuo a scattare. Di fronte non ho un pericoloso miliziano di Al Qaeda, ma un bambino e la sua pistola giocattolo. Non sono nelle vie di Gaza City o nei sobborghi di Bagdad, ma a pochi passi da piazza Taksim, il cuore commerciale di Istanbul.

Foto: Giacomo RossoDa qualche anno Istanbul si è affermata come una delle più dinamiche città europee. Al pari di Parigi, Londra o Roma è diventata una meta turistica capace di attrarre stranieri da ogni parte d’Europa. Il rapido sviluppo economico della Turchia, di cui Istanbul è la vetrina privilegiata sull’Europa, ha aggiunto glamour e fascino internazionale alle vie del centro. A Istanbul incontro Kaan, un amico dell’università, che vive e lavora in città. Gli chiedo di portarmi oltre le vie del centro. Gli spiego che sono venuto per cercare di raccontare la città attraverso le fotografie e per questo sono alla ricerca del cuore autentico di Istanbul. Kaan non esita. In un attimo siamo oltre la piazza di Taksim: passata la facciata del miracolo economico turco il paesaggio cambia.

(Foto: Giacomo Rosso)

L’ennesimo sacco dell’immondizia scagliato dalla finestra

Balat è il quartiere curdo-armeno di Istanbul. «Qui molti sono immigrati curdi e armeni che provengono dalle regioni più povere della Turchia », mi spiega Kaan. «È stato il principale quartiere armeno fino ai Settanta», continua il mio amico mostrandomi la sede dell’istituto scolastico di lingua armena. «Poi sono arrivati anche i curdi dal sud-est del Paese». Le strade sono malconce e piene di rifiuti. Nonostante l’aspetto trascurato le vie sono popolatissime. All’ennesimo sacco dell’immondizia scagliato dalla finestra chiedo informazioni a Kaan. «È il loro modo di ribellarsi all’autorità», mi spiega sorridendo. «Rifiutano l’autorità del governo di Ankara e preferiscono il degrado e l’abbandono nel loro stesso quartiere piuttosto che accettare di venire a patti con i tentativi d’integrazione promossi dal Governo». Degrado urbano e sociale procedono di pari passo in queste strade. Disoccupazione e abbandono scolastico sono solo due dei problemi che la comunità curda affronta ogni giorno. Sono i bambini a colpirmi immediatamente. Una folla caotica e assordante di mocciosi mi assale a ogni angolo del quartiere. «Molti dei bambini che vedi sono analfabeti, i genitori non li mandano a scuola e preferiscono tenerli in casa, piuttosto che affidarli all’istruzione pubblica turca», continua Kaan. La cosa che più mi ha impressionato di questi bambini è la loro familiarità con armi e fucili. Certo, tutti i maschietti da piccoli hanno giocato a fare la guerra, mimando gli adulti che vedevano nei film americani. Ma loro, i bambini di Balat no. Le loro pistole non hanno le luci e i colori scintillanti delle pistole giocattolo a cui ero abituato. Non hanno nulla dell’innocenza infantile. Le loro pistole sono delle fedeli repliche di armi reali. E sparano!

(Foto: Giacomo Rosso)

La mia macchina fotografica attira immediatamente la loro curiosità. In breve divento io l’oggetto delle loro attenzioni, fino a diventare il bersaglio. «Quelle che vedi sono solo le copie delle armi che molti dei loro genitori possiedono realmente in casa» mi spiega Kaan. «Anziché giocare a pallone o andare in bicicletta, preferiscono emulare i comportamenti che hanno più prossimi. La comunità curda è impregnata dei valori tradizionali delle zone più povere della Turchia. L’ideale di machismo che l’uomo, fin da piccolo, deve ostentare è fondamentale». Non è solo la comunità curda a comportarsi così, ghettizzandosi e rifiutando ogni possibilità d’integrazione che il Governo di Ankara promuove. Nel cuore della città si annidano quartieri come Tarlabasi o Kasim Pasha, dove migliaia di rom e armeni vivono in condizioni molto simili. Dove case fatiscenti, degrado urbano e sociale sono la quotidianità. È chiaro che oltre all’economia il Governo turco dovrà fare ben altro per presentarsi all’Ue come un possibile futuro membro.