Idomeni: fare una richiesta di asilo via Skype
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Silvia GodanoTu-tu-tu-tuuuu. La cantilena del segnale d'attesa di Skype può davvero farti impazzire, soprattutto quando hai un urgente bisogno di parlare con qualcuno e questi non risponde. Come ci si sente quando si è intrappolati in un campo profughi e l'unica via per fare richiesta di asilo è un'impossibile chiamata su Skype?
Idomeni. Nel giro di pochi mesi, questo lembo di terra greca al confine con la Macedonia è diventato tristemente famoso. Piogge incessanti, carenza di generi alimentari e scarsità di posti letto: per molti profughi condurre un'esistenza normale in questo luogo è praticamente impossibile. Inizialmente Idomeni era un luogo di transito, nel quale i profughi non sarebbero dovuti rimanere per più di qualche giorno: la maggior parte di essi, tuttavia, vi resta intrappolata per molti mesi, senza sapere come e quando la situazione si sbloccherà.
I profughi che vogliono ottenere il diritto d'asilo in Europa hanno di fatto tre opzioni: possono presentare una richiesta d'asilo, richiesta di ricongiungimento familiare, o ancora di trasferimento in un altro stato europeo. La loro possibilità di permanenza nell'UE dipende da ciò. E come si presenta una richiesta al Ministero greco per le Politiche Migratorie? La risposta potrebbe lasciar perplessi: attraverso Skype.
Ehi? C'è qualcuno?
Skype: sembrerebbe una soluzione veloce ed efficiente, capace di ovviare al problema del crescente numero di richiedenti asilo a Idomeni. Basta una chiamata e il gioco è fatto. Dall'altro lato è però incredibile che questa sia davvero l'unica modalità per avviare le pratiche per la richiesta d'asilo. Abbiamo chiesto maggiori spiegazioni a Rania Ali, ventenne originaria di Raqqa, in Siria, che da due mesi soggiorna a Idomeni. Rania ci spiega che la cosa non è per niente semplice, soprattutto se ci si trova in un campo profughi: «qui molti non hanno neppure un accesso a internet. Alcuni non sanno nemmeno come funzioni Skype o non hanno uno smartphone. Una misura di questo tipo è semplicemente ingiusta». Con un tocco di ironia, si potrebbe notare che alcuni profughi si siano scordati di infilare nel loro zaino il MacBook e delle cuffiette per poter fare in qualsiasi momento una chiamata su Skype e, sorpresa delle sorprese, non tutti i richiedenti asilo sono ventenni ipertecnologici. Ancor più incredibile di questa percezione completamente distorta della realtà sembra essere un altro problema, che ha poco a che vedere con questioni tecniche: nessuno risponde. Quando finalmente ci si è attrezzati di connessione internet e mezzi tecnici per poter sfruttare quel - risicato - orario di ricevimento (tre ore alla settimana per inglese, arabo e farsi, e addirittura meno per altre lingue) si approda in una lista d'attesa infinita. Rania ci prova da più di venti giorni, senza ottenere risultati: «è terribilmente frustrante: spero sempre che qualcuno risponda, ma non è ancora successo. E non sono l'unica».
"Quando nessuno alza la cornetta, è semplicemente deprimente"
Intrappolati in una lista d'attesa senza fine, gli uomini e le donne che sperano di poter avviare le pratiche il più presto possibile finiscono per cedere alla disperazione. Sul posto non c'è nessuno a cui ci si possa rivolgere, nessun delegato del Ministero. Nemmeno una persona: «quando nessuno alza la cornetta è semplicemente deprimente», racconta Rania. La giovane teme che la situazione a Idomeni spinga i profughi a tentare vie illegali, ovviamente chiedendo aiuto agli scafisti. «Si ha quasi la sensazione - continua Rania - che sia proprio questo il vero obiettivo di queste misure insensate: "se volete venire in Europa, fate pure! Ma non percorrete vie legali!". É davvero pericoloso, ma se non cambieranno il sistema molti rischieranno la loro vita mettendosi nelle mani dei trafficanti di esseri umani».
Face-to-Face al posto di Skype
Insieme a Andrew, un volontario a Idomeni, Rania ha deciso di lanciare una petizione online per raccogliere firme contro questo metodo di presentazione della domanda di asilo. «Mi ero reso conto rapidamente del problema, ma sapevo che la protesta doveva venire dai profughi stessi», spiega Andrew. Il momento decisivo è arrivato quando ha visto con i suoi occhi un gruppo di persone che tentavano di entrare in Macedonia: «in quel momento mi sentii così triste che capii che dovevo assolutamente fare qualcosa». La petizione è pubblicata su change.org: si richiede che a Idomeni venga finalmente introdotta la possibilità di presentare la richiesta d'asilo attraverso colloqui di persona piuttosto che su Skype. Andrew teme tuttavia che il governo greco non prenderà sul serio la petizione: «penso che rifiuteranno la nostra proposta, oppure che introdurranno i colloqui di persona solo nei campi ufficiali, perché vogliono che tutti vadano lì».
Se si considera il fatto che è praticamente impossibile rintracciare qualcuno all'altro capo della cornetta, il metodo Skype potrebbe già essere ritenuto un consapevole tentativo di restringere il diritto d'asilo. In ogni caso testimonia l'assoluto disinteresse da parte delle autorità per il destino dei profughi stanziati a Idomeni. Ostacolando le comunicazioni, si cerca volutamente di non vedere il problema. Gli uomini e le donne di Idomeni non vengono presi sul serio e congedati in una lista d'attesa senza uscita. Tuu-tu-tu-tu. Prima o poi qualcuno risponderà? Nessuna dichiarazione ufficiale, per ora.
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Su change.org potete sostenere la petizione contro il metodo Skype.
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Ich bin ein Berliner - Pubblicato dalla redazione locale di cafébabel Berlin.
Translated from Idomeni: Asylverfahren per Skype