I rifugiati di Atene: il peggio del Pireo
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Federica RemondiVenuti dall'Africa subsahariana, dal Vicino o dal Medio Oriente, i migranti rischiano la loro vita nel Mediterraneo per fuggire dalle guerre che devastano i loro Paesi. Arrivati sul territorio greco, devono tempestivamente confrontarsi con altri problemi.
Reportage.
Chouhan, un Siriano di 27 anni che vive ad Atene da 8 anni, fa parte di quelli che hanno avuto fortuna. Nel suo appartamento, in un quartiere popolare di Atene, ospita da 3 mesi una parte dei suoi cari. Bakira, la madre, Amin, il padre, Susu, la sorella, e Shehmoos, un amico, appena arrivati da Aleppo. Come molti dei rifugiati siriani, hanno sfidato il pericolo e sono scappati dal caos che regna nel Paese del Vicino Oriente dal 2011, tra la guerra civile e l'espansione dell'ISIS.
Isis, Bashar e i gioielli di famiglia
Non tutti però hanno incontrato la felicità nel ritrovarsi. Seduto in disparte su un tappeto persiano disposto vicino alla finestra, Youssef, 24 anni, ha lo sguardo fisso. E' sbarcato lo scorso 14 aprile in Grecia tra le recenti ondate migratorie. Ma prima di raggiungere sano e salvo il porto del Pireo - e di essere poi ospitato dal suo vicino Chouhan - il giovane siriano ha vissuto un vero calvario.
«Racconterò la mia storia dall'inizio», mormora in inglese, gli occhi umidi. Due mesi prima, quando Youssef ha saputo che il padre era stato arrestato e poi ucciso dall'ISIS, non ha esitato un solo istante. Bisognava fuggire dalla Siria e raggiungere l'Europa. In realtà sua madre, che si trova ancora in Siria, l'ha anch'essa incitato a partire. Non voleva immaginare suo figlio fare il servizio militare obbligatorio. Disertore dell'esercito di Bashar Al Assad, è a piedi che Youssef lascia Arfin, la sua piccola città curda situata non lontano da Aleppo, per raggiungere la frontiera turca. Un viaggio di una settimana in un autocarro con dei Pakistani fino ad Izmir, in Turchia. «Le condizioni erano atroci, eravamo tutti appiccicati gli uni agli altri», racconta il giovane.
Vendendo i gioielli d'oro di famiglia, Youssef riesce ad ottenere 1.000 dollari, il prezzo esatto per potersi imbarcare dal porto di Izmir a quello del Pireo. «Il canotto pneumatico era pieno da scoppiare, eravamo in trentadue a bordo tra cui tre donne e sei bambini. Abbiamo anche imbarcato acqua. Abbiamo rischiato di affondare», racconta Youssef ancora sconvolto. Dopo 45 minuti di viaggio e dopo essere arrivati all'isola di Lesbo, il giovane extracomunitario viene piazzato in un centro per tre giorni. Dopo ore d'interrogatorio al commissariato, la polizia greca gli dà un massimo di sei mesi per lasciare la Grecia.
Quando le persone non credono più in Zeus
Come Youssef, sono in migliaia ad aver attraversato il mare. Secondo l'UNHCR, dopo il primo gennaio 2015, ben 36.390 migranti sono arrivati sulle coste europee. L'anno 2014 ha registrato un tasso da record se comparato al 2013 (219.000 traversate). In Grecia, per colpa del sistema di accoglienza, i migranti sono privi di aiuti e lasciati a se stessi dal momento del loro arrivo. Quelli a cui resta un po' di denaro, possono trovarsi una camera d'hotel, quelli che non ne hanno errano nelle strade, nelle piazze, oppure dormono ammassati, tra cui donne e bambini, nei bassifondi della città.
Per la maggior parte dei migranti la Grecia è un Paese transitorio. L'obiettivo finale? Raggiungere la Germania o la Svezia. Youssef invece vorrebbe andare in Italia in nave per poi raggiungere la Svizzera. Una grande scommessa, vista la situazione che comprende tanto pericoli quanto impedimenti legislativi. A partire dal momento in cui i migranti chiedono l'asilo, il regolamento europeo "Dublino II" prevede di reinviarli sistematicamente nel Paese dello spazio Schengen dove hanno per la prima volta posato il piede. Per Youssef e gli altri, questo vuol dire restare bloccati in Grecia.
Facendo parte dei Paesi direttamente posti di fronte al problema, il governo greco richiede l'aiuto dei fondi europei, intende mettersi a disposizione dei centri di accoglienza ed vuole impegnarsi nel chiudere i centri di detenzione in meno di 100 giorni, mentre la politica flessibile di Syriza verso i migranti, incoraggia il flusso d'immigrazione. Col periodo turistico in avvicinamento, alcuni sindaci delle isole hanno paura dell'immagine che si apprestano a mostrare. «Immaginate i turisti che stanno bevendo un caffé mentre un battello di migranti sbarca», ha tuonato il sindaco dell'isola di Kos durante un dibattito televisivo. Alcuni, come il sindaco di Lesbo, non esitano a parlare ugualmente d'«invasione».
Queste dichiarazioni fanno eco al fallimento della politica migratoria del Paese. Il precedente governo di destra, diretto da Antonis Samaras, aveva l'ambizione di rendere le condizioni dei detenuti dei centri deplorevoli, con il fine di dissuadere i migranti dal venire. All'epoca lo Stato aveva lanciato una vasta operazione di caccia ai clandestini ironicamente battezzata "Xenios Zeus" (il Dio dell'Ospitalità, ndr). A Amygdaleza, un campo costruito nel 2012 nelle vicinanze di Atene dove erano detenuti rifugiati e migranti, adulti e bambini, sono stati addirittura registrati dei casi di tortura. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato, come sappiamo, la Grecia a pagare 1,5 milioni di euro di multa a causa di queste condizioni di detenzione.
«L'immigrazione in cambiamento»
Ahmed Moavia, presidente del Forum greco dei migranti nonché incaricato della mediazione con il governo greco (e con altre associazioni), conferma l'urgenza. «Bisogna correggere gli errori del passato», afferma Ahmed, che rinvia la colpa all’Unione Europea, incapace di trovare una soluzione adeguata al problema. «L'UE deve attuare delle iniziative diplomatiche ed essere portatrice di valori democratici in Siria, in Libia e in Iraq. L'immigrazione sta cambiando. In seguito alle guerre che fanno stragi in Africa o in Medio Oriente, la maggioranza dei migranti e dei rifugiati è oggigiorno costituita da donne e bambini. Prima erano soprattutto uomini che inviavano soldi alla propria famiglia», sottolinea Moavia.
In un altro appartamento, ceduto gentilmente da un amico, vive Latchi, tredici anni, arrivata in Grecia con la sua famiglia due anni fa. Come molti adolescenti, si è fatta le ossa, ma la sua vita sarà per sempre marchiata dalla guerra. Latchi non ha notizie dei suoi amici siriani e non ha mai messo piede in una scuola dopo il suo arrivo in Europa. Impara il greco grazie alla televisione. In questo momento, i suoi due fratelli di 14 e di 16 anni danno una mano al mercato per quei pochi euro che gli permettono di comprare un po' di cibo da portar a casa. Per sopperire ai loro bisogni ogni tanto il fratello del padre, Ahmad, che vive in Danimarca, invia loro del denaro. Vorrebbero raggiungerlo ma per il momento la famiglia è bloccata in Grecia. E la loro salvezza è rimessa alle calende.
Ogni informazione è stata raccolta da Chloé Emmanouilidis, ad Atene.
Translated from Réfugiés d'Athènes : le pire du Pirée