I mass media si disinteressano dei rifugiati
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Pamela CaliannoErgere i cacciatori di rifugiati ad eroi nazionali, colpire i giornalisti internazionali e i migranti, suppliche sentimentali dagli effetti di breve durata: questi sono alcuni esempi della copertura mediatica nella crisi dei rifugiati. E le conseguenze vanno oltre la non fiducia nei media. Qual è la via d'uscita? Cafebabel segue il dibattito con gli esperti media europei.
Caccia ai rifugiati
Quest'uomo mascherato in tuta mimetica non è un soldato bensì un cacciatore di rifugiati, uno dei tanti che pattuglia la frontiera tra la Turchia e la Bulgaria. Quando per la prima volta sono stati ripresi dalla stampa bulgara, questi uomini sono stati visti come degli eroi locali, elogiati dal governo e ben accolti dalla gente, secondo le elezioni.
Le cose sono cambiate quando, invece, è intervenuta la stampa internazionale; l'entusiasmo è calato. Tuttavia, l'atteggiamento generale dei media va comunque bene, come afferma il giornalista bulgaro Vesselin Dmitrov. Questo è uno degli esempi di come alcuni media cadono nel populismo e nella semplificazione eccessiva dell'informazione.
Rifugiati e media: crisi da entrambe le parti
Fino a che punto i media sono responsabili di aver influenzato l'opinione pubblica sui rifugiati? Mentre alcuni media sono impegnati a ricostruire la propaganda di stato, altri sembrano intrappolati in richieste emotive e affrettate. Quale effetto ha la questione dei rifugiati sui media? Sono stati questi gli argomenti trattati alla riunione istituita da European Centre for Press and Media Freedom (ECPMF) a cui hanno partecipato esperti europei dell'ambito giornalistico e i rifugiati.
Secondo Chiara Sighele, Project Manager dell'Osservatorio Balcani e Caucaso, « i media hanno fallito nel tentativo di giocare un ruolo responsabile e diventare i portavoce per la retorica xenofoba », lasciando il pubblico radicalmente disinformato.
Come informare obiettivamente e non essere pestati?
Al momento non esistono "i media liberi" nel vero senso della parola, ma molti di loro sono controllati dallo stato, dalle redazioni online ai siti cittadini. Sarebbe sbagliato generalizzare, avverte Balazs Nagy Navarro, un giornalista pluripremiato e sostenitore dei media liberi.
Nel suo paese, l'Ungheria, il giorno cruciale è stato il 16 settembre 2015 quando numerosi giornalisti sono stati colpiti mentre una folla di rifugiati cercava di sfondare un recinto. Ovviamente, i giornalisti si sono uniti alla folla per portare alla ribalta ciò che realmente stava accadendo, nonostante avessero i badge e l'attrezzatura professionale e quindi erano chiaramente riconoscibili come giornalisti. Tuttavia, sono stati comunque aggrediti dalla polizia, e la risposta ufficiale alla chiamata per l'investigazione è stata che la polizia ha agito legalmente, professionalmente e che non c'era alcun motivo per investigare. Ma come assicurare la sicurezza dei giornalisti in questi casi?
I rifugiati perdono la speranza, i media l'interesse.
Le tende dei rifugiati sono accampate nel porto di Atene e sono così vicine che tra di loro non c'è neanche lo spazio per passare. L'unica privacy che hanno è questa: cucinano, dormono e vivono in quelle tende, ad eccezione del bagno, per il quale devono fare lunghe file e procurarsi la carta. Di fatto, Ola Aljari una rifugiata siriana e una giornalista presso il ECPMF , l'interesse dei media riguardo all'argomento dei rifugiati è in calo.
Durante i 10 giorni in cui lei ha vissuto in Grecia, ha osservato le condizioni del campo al porto di Atene e ha avuto modo di incontrare un solo giornalista. Il giornalista le ha detto che sta diventando sempre più difficile vendere foto o storie ai media e che, il motivo è che per l'industria dei media d'oggi, non c'è più posto per delle belle storie, per delle notizie giuste o per dei dibattiti approfonditi.
Inoltre, i rifugiati erano restii a rilasciare interviste. Stavano perdendo la speranza che i media avrebbero potuti aiutarli. Ma quella speranza, alimenta comunque l'immagine stereotipata dei media supereroi che salvano vite?
"L'unica risposta è mobilitarsi ancora di più"
Questo ci porta a un problema ontologico dei media più ampio. Essi possono ancora ricoprire il loro ruolo sociale allo stato attuale? La copertura mediatica dei rifugiati ha una connotazione particolare nei differenti paesi europei.
Nei paesi dell'Europa orientale, spesso, la mancanza di esperienza come stati democratici e l'essere dei paesi di destinazione per gli immigrati, sono gli argomenti che vengono trattati di più. In Germania, dei dibattiti sinceri non sono possibili perchè la società è così radicalizzata che ogni confronto ha l'eco di una propaganda nazista. La risposta, quindi, è portare più voci accettabili nell'arena.
Voci che potrebbero costruire fatti concreti e storie giuste, non dettate dalle sensazioni. Come ha affermato Jane Whyatt dell'ECPMF « i rigufiati sono lì per rimanere, è comunque una storia, ed è sbagliato sia ignorarli, sia metterli in prima pagina con delle immagini d'effetto ». Sembra che non ci sia miglior posto per il giornalismo di qualità se non la crisi dei rifugiati.
Translated from Mass media disinterest for refugees