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Esperanzah! da Manu Chao al Belgio: quando la musica è lotta

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Se è vero che l'estate belga non offre il Mar Mediterraneo, ci sono pur sempre i festival. Ma considerando che sono ben oltre 400 gli eventi in programma ogni anno, non è facile distinguersi in questa marea. Esperanzah!, un piccolo festival che si tiene nelle vicinanza di Namur, punta tutto sul sociale: dalla lotta contro la povertà a quella contro il razzismo, dalla critica degli accordi di libero scambio alla denuncia del patriarcato e dei privilegi di classe. Ora, i giovani che sono nell’organizzazione hanno lanciato addirittura un media sul web.

“Una festa. Dell’arte. Ma che abbia senso. In maniera diversa”. È così che si presenta il festival Esperanzah!, andato in scena presso l'Abbazia di Floreffe, in Vallonia (regione francofona del Belgio, ndr.), il 2, 3 e 4 di agosto 2019. Ideato nell’ormai lontano 2002, l'evento orientato alla musica internazionale si ispira al nome dall'album di Manu Chao, “Proxima Estacion: Esperanza”.

Ogni anno. tra un sorso di birra e due spallate di pogo, viene scelto un filo conduttore che faccia riflettere il pubblico

Jean-Yves Laffineur è l’ideatore e direttore del festival e racconta come tutto sia nato dal desiderio di avviare un incontro aperto e impegnato, in un periodo in cui il Belgio stava vivendo un ritorno al razzismo, negli anni immediatamente successivi all'11 settembre 2001. Con l’obiettivo di scoprire gli artisti dei Paesi del Sud e lanciare un messaggio a favore della cancellazione del debito del Terzo mondo, Esperanzah! fu «rapidamente identificato come parte dell'ondata antiglobalizzazione», spiega Laffineur. Oggi, a più di quindici anni di distanza dalla prima edizione, la competizione tra festival desiderosi di «impegnarsi», in un modo o nell'altro, è diventata agguerrita. Ma Esperanzah! ha saputo mantenere un pubblico fedele grazie a degli ingredienti molto speciali.

Come funziona Esperanzah!

Dalla prima edizione, ne è passata di acqua sotto ai ponti. Da 9mila partecipanti si è passati presto ai 25mila visitatori, raggiungendo addirittura 36mila biglietti venduti nel 2019. Sebbene gli artisti continuino a provenire da tutto il mondo, negli ultimi anni, le edizioni si sono concentrate su tematiche specifiche, con l’aiuto di una rete di associazioni locali, invece che l’appoggio delle grandi ONG internazionali. Insomma, ogni anno viene scelto un filo conduttore che faccia riflettere il pubblico, tra un sorso di birre e due spallate di pogo.


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Per fare qualche esempio, si è passati da tematiche generali, come “Le alternative non conoscono la crisi”, ad argomenti più specifici e di attualità: nel 2017, si è discusso di migrazioni (“Costruiamo ponti invece che muri”), nel 2018 di sessismo (“Il declino dell'impero maschile”). Inoltre, ogni anno, il cuore del festival ospita il “Villaggio delle possibilità”: un luogo che ospita associazioni, cooperative e collettivi belgi, che, così, hanno l’opportunità di presentare le loro iniziative e azioni, in linea con la tematica dell’anno.

Dal festival al canale YouTube

Dopo aver testato e provato il formato classico dei workshop, delle conferenze, ma anche la proiezione di cortometraggi, gli organizzatori di Esperanzha! hanno voluto provare a fare qualcosa di nuovo: «Il pubblico apprezza il modo in cui trattiamo gli argomenti. Lo facciamo in modo serio, ma senza diventare pesanti, senza vittimismo o facendo processi sommari», afferma Jérôme van Ruychevelt, coordinatore della comunicazione dal 2014. Ed ecco allora che, nel 2018, è nato il web-media, Tous va bien (“Tutto va bene”, ndr.), una piattaforma multimediale integrata con i principali social network e che produce brevi video informativi relativi ad argomenti cari agli organizzatori del festival: un modello a metà strada tra il formato YouTube e l’inchiesta giornalistica. Per aderire al DNA generale della manifestazione, «volevamo che una varietà di persone potessero rivolgersi ai visitatori. A produrre i video, c’è anche chi, per il proprio orientamento sessuale, è stato colpito da atti di razzismo». Inoltre, accanto alla piattaforma, van Ruychevelt ha riunito un gruppo di giovani talenti, tra i 25 e i 30 anni, provenienti dal mondo dell’attivismo, dei sindacati ed esperti del settore audiovisivo per creare il canale Youtube.

«Ci sentiamo complementari, non in competizione, ai media tradizionali»

Nei video, a turno, Nabil, Paul o Betel espongono in pochi minuti e con pochi numeri chiave, un argomento a sfondo sociale, rivolgendosi alle persone della loro età. Con umorismo, in maniera semplice, ma con fare impegnato: «Siamo pienamente consapevoli del fatto che non siamo neutrali, ma cerchiamo di essere rigorosi per quanto riguarda il contenuto che proponiamo. Abbiamo le nostre fonti e, se ci sbagliamo, lo ammettiamo. Il nostro obiettivo è quello di dire ciò che pensiamo. Ci sentiamo abbastanza complementari ai media tradizionali, non in competizione.


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A detta di questi trentenni, in Belgio, i social network sono ancora «poco utilizzati come spazio di lotta. L'idea è semplice. Ciò che possiamo fare nel mondo della musica, durante il festival, possiamo farlo anche sui social network». Conseguentemente, il gruppo si è immediatamente distinto per esporsi rispetto a temi di attualità: l'inquinamento a Bruxelles, l’approvazione di una nuova legge sulle perquisizioni domiciliari da parte della polizia (destinata a colpire chi «ospita migranti»), la proliferazione di commenti razzisti nei dibattiti politici, ecc.

Dal canale YouTube all’inchiesta giornalistica

Lo scorso giugno, i giovani dietro al nuovo media, hanno persino avviato un’inchiesta. Il documentario, Petit project entre potes(“Piccolo progetto tra amici”, tdr.) espone il retroscena del progetto di costruzione di un complesso penitenziario a nord di Bruxelles: la prigione di Haren. Secondo Tous va bien, si tratta di «un piccolo progetto tra amici», tra politici e imprenditori con lo scopo di rendere redditizia la gestione dei detenuti, senza stare a sentire troppo il parere dei contribuenti. Insomma, Elise Lucet (giornalista belga televisiva e di inchiesta, ndr.) sembrerebbe spingere i giovani all’emulazione! In effetti, i commenti e i feedback riguardo l’inchiesta sono già molto positivi per essere una “prima volta”. Il video è stato trasmesso per il pubblico del festival in uno spazio dedicato alla presentazione della nuova web-tv: «Continueremo a fare altre inchieste. Anche se esce un po' dalla cornice del festival, prodotti del genere rafforzano l'immagine di Esperanzah!. È importante per salvaguardare l’identità del festival. Cerchiamo di mantenere alta l’attenzione su tematiche che non sono scontate. D’altra parte, è vero che, da qualche anno a questa parte, siamo percepiti come più radicali di prima», ammette van Ruychevelt.

Quest'anno, il programma di Esperanzah! è stato molto “introspettivo”. La scelta del tema-filo conduttore, “Démasquon nos privilège (“Smascheriamo i nostri privilegi”, tdt.), non si è rivelata facile. Ma è nata dai dibattiti dell'anno precedente (2018) e dalla richiesta del pubblico di disporre di strumenti concreti per cambiare la società – in questo caso, per combattere il sessismo e, su scala più ampia, il sistema patriarcale. Anche se è periodo di vacanze e se ciò che conta, in fondo, è il relax e il divertimento, i «seminari e i dibattiti erano tutti esauriti», rassicurano dal festival.


Crediti fotografici: Elodie Gregoire

Translated from Esperanzah ! Festival de combats