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Alison Smale: «I giornali continentali esibiscono la loro tendenza politica»

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BrunchCultura

Incontro con la direttrice della redazione dell’International Herald Tribune, nella sede centrale di Parigi . Considerata da molti come la più potente giornalista inglese non residente a Londra, Alison Smale ci svela le sue opinioni sulla stampa europea e sull’entrata dei paesi dell’Est nell’Ue.

La fama dell’International Herald Tribune è indubitabilmente associata alla leggendaria scena del film di Jean-Luc Godard A bout de souffle (1960) dove Jean Seberg, la bella attrice dal fascino androgino, gridava sugli Champs-Elysées «New York Herald Tribune!» (il vecchio nome dell’attuale Iht, come è spesso chiamato) cercando di vendere il quotidiano. Se prima, la redazione del più francese dei quotidiani anglofoni, si trovava a rue de Berri, a Parigi, ora i locali dell’Iht sono stati trasferiti a Neuilly, l’elegante periferia della capitale francese.

Al centro dell’informazione

Queste grandi istituzioni – sì, perché fondato nell’ormai lontano 1887, il Tribune è uno dei tre quotidiani di lingua inglese ad essere veramente internazionali – mi intimoriscono sempre un po’. Sulla facciata del palazzo troneggia in grande la scritta International Herald Tribune, dalla tipografia cosi riconoscibile da essere quesi divenuta un marchio di fabbrica. Nell’atrio, dove mi siedo per aspettare Alison Smale, la direttrice della redazione, sono sovrastata dall’imponente statua di una civetta, simbolo del giornale e dal quale, si dice, derivi l’espressione francese «c’est chouette» (“è figo”). L’assistente della signora Smale viene a prendermi, per condurmi al piano dell’uffico della big boss. La stanza non è molto grande a dire il vero e quest’impressione è accentuata dalle pile di quotidiani e fascicoli che accerchiano la scrivania di Alison Smale. Il delizioso accento inglese con il quale Alison Smale mi accoglie tempera il timore che una tale statura professionale puo’ incutere. Ma non bisogna ingannarsi: Alison è una donna dinamica e pragmatica, di quelle che sanno cosa vogliono e ce la mettono tutta per ottenerlo. Quella che da pochi mesi, a 55 anni, è la direttrice del prestigioso International Herald Tribune, sin da giovane aveva afferrato come muoversi nella vita: «ho capito molto velocemente che imparando le lingue avrei potuto sfuggire alla noiosa vita vissuta durante l’infanzia in Inghilterra», confessa ridendo. E così ecco che ora parla anche il russo, il francese e il tedesco «bene quanto l’inglese», ci tiene a precisare.

Essere gli occhi e le orecchie di tutti

Alla mia domanda, quasi ingenua, sul come fosse riuscita a diventare giornalista, la prima risposta franca e diretta è «Ho deciso e l’ho fatto». E quello che ha voluto fare, l’ha fatto bene. Il suo percorso professionale è sterminato e a dir poco internazionale «il mio primo lavoro è stato in Germania. In seguito mi hanno mandata a Londra, nel 1979, e fra l’altro è l’ultima volta che ci ho vissuto! Poi la mia professione mi ha portata di nuovo in Germania, a Mosca, Vienna, New York, ed ora eccomi qua a Parigi, da ormai 5 anni», elenca con entusiasmo. «Sin da piccola avevo una facilità di apprendimento per le lingue e un talento per fare la conoscenza degli altri paesi, per essere gli occhi e le orecchie di tutti, come lo sono i giornalisti». La sua concezione del giornalismo diverge, sotto certi aspetti, dalle pratiche continentali come lei stessa afferma. È fiera di essere a capo di un giornale tale l’Iht proprio perché privilegia un tipo di informazione piena di buon senso e di pragmatismo, mentre il resto della stampa europea pecca per essere troppo di parte. «I giornali continentali esibiscono la loro tendenza politica e si piacciono nel ruolo degli intellettuali allorché gli articoli britannici arrivano dritti al sodo».

“L’Unione Europea come sinonimo di libertà”

Molti dei ricordi professionali di Smale sono legati ai Paesi dell’Est. Come capo del reparto dell’Est Europa all’Associated Press di Vienna ha coperto eventi storici, dalla scomparsa dell’ex-Urss all’arrivo di Slobodan Milošević al potere in Serbia. Alison è rimasta segnata dalla catastrofe di Černobyl' ed ha attraversato il celebre check point Charlie con i primi abitanti della zona Est alla caduta del muro di Berlino. Il suo sguardo sull’Europa è quindi acuto ed appassionato: «Bisogna aver vissuto in paesi nei quali non c’è libertà per comprendere che cosa vuol veramente dire vivere in libertà», spiega a proposito degli ex-paesi comunisti dell’Europa dell’Est. Smale deplora che il 1° maggio del 2004 si sia festeggiata solo la festa del lavoro e non anche il fatto che l’Europa si fosse decisa ad accogliere i paesi dell’Est. Secondo lei i problemi che s’incontrano risiedono piuttosto nelle strutture «pensate per 15 e quindi inadatte per organizzare 27 paesi» , ma anche nel comportamento dell’élite francese che, pur essendo filoeuropea, non prende il tempo necessario a spiegare le ragioni dell’allargamento «così si arriva alla caricatura dell’idraulico polacco e al no al referendum del 2005 sulla costituzione europea». Pero’ queste constatazioni non la scoraggiano. Anche se, per motivi pratici, non voterà alle elezioni europee, Alison resta convinta che l’idea europea abbia fatto grandi passi avanti e che questa sia la vera vittoria. Con un po’ di emozione aggiunge «è un grande successo, impensabile 15 anni fa, che da Copenaghen a Malta, da Porto a Tallinn, si partecipi a delle elezioni per una legislatura comune scelta in libertà».