Una Bologna attonita, quel 19 marzo agrodolce
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Una testimonianza "in diretta" dell'omicidio di Marco Biagi.
19 marzo. Festa del papà. Festa, per coincidenza, anche di mio padre. Oggi è il suo compleanno.
La mattina passa tranquilla; i miei sono andati a pranzo al mare per festeggiare loccasione.
Prima di pranzo compro il regalo per mio padre, sia quello di mia madre, che il mio.
Sono felice, strana parola pronunciata dal sottoscritto, perché da un paio di giorni ho loccasione di passare qualche bel momento con lui.
Giunge pigro il pomeriggio. Caldo, ma ventilato; tipica giornata di primavera ancora acerba. Il vento è dispettoso, soffia alto. A caso si butta sui miei capelli lunghi, scompigliandoli.
Arriva la sera; partecipo ad una interessante conferenza con alcuni amici; sono le nove. Mi piace tentare di imparare cose nuove, sono curioso per natura. A 24 anni è una delle poche certezze che posso affermare di me.
Alle undici circa usciamo dalla conferenza e iniziano i progetti per la serata. Mi accendo, come al solito, il fido toscano... Ed è allora che mi giunge la prima notizia di ciò che è accaduto.
E un sms di una amica il primo annuncio. Corri in Via DellInferno - mi scrive - hanno ammazzato un collaboratore del ministro del lavoro Maroni. E io corro.
Dapprima penso ad uno scherzo; per la strada tutto è tranquillo. I bar sono affollati come ogni martedì sera alle 11. Le coppiette passeggiano, e gli universitari sfrecciano sulle loro scassate biciclette, tra i muri dei palazzi e le macchine parcheggiate, dritti sotto i portici. Mi permetto anche di ironizzare sulla notizia. Fino a che non giungo in prossimità di Via DellInferno, nel ghetto ebraico.
Un budello intricato di viuzze che, articolate in portici e marciapiedi, ed illuminate da lampioni che riflettono sui muri una strana luce color arancione, si diramano, come unantica ragnatela, sulla parte vecchia di Bologna.
Lo scenario che mi si presenta qui è differente, e capisco: la notizia è vera e la cosa è seria. Oltre duecento persone, un piccolo esercito di giornalisti, cameraman e curiosi, molti curiosi, soprattutto studenti, molte facce conosciute, ma anche tanti bolognesi, si stringono in una stradina stretta che scende lievemente in discesa. Parte di essa è transennata dagli agenti di polizia.
La prima cosa che mi colpisce è latmosfera: sembra di essere precipitati in un film degli anni sessanta, sarà dovuto allabbigliamento degli studenti di Bologna. La gente che mi circonda mi fa venire alla mente qualcosa del mio passato: sono tornato alle elementari. Qualcuno ha combinato un guaio; tutti i bambini tacciono, o bisbigliano con i compagni, ci si guarda di sottecchi, impauriti; non si sa bene né chi sia stato, nè cosa sia accaduto, ma si sa che è accaduto. Alla fine si dovranno fare i conti con la maestra.
Corro dove vedo i giornalisti, loro sono sempre i più vicini ai fatti; così è. Vedo la stradina transennata. E il luogo del delitto, per usare un cliché. E pieno di agenti in borghese, scientifica, ispettori. Tutti si muovono come formiche impazzite intorno ad un portone semi aperto. Sul primo gradino è caduta una borsa di pelle nera; presumibilmente è della vittima. Vedo chiazze di sangue proprio fuori del portone. Per terra ci sono tante targhette bianche con lettere nere, indicano le prove, credo. Sono identiche a quelle che si vedono nei film. Due ore prima, lì, nel giorno della festa del papà, sotto la porta di casa, è stato ucciso un papà che stava rincasando dal lavoro come tanti altri. La colpa che i suoi assassini gli imputano, sta proprio nel lavoro che fa. E uno dei massimi esperti italiani di diritto del lavoro; è un collaboratore dellattuale ministro del lavoro Maroni. E favorevole ad una riforma voluta da tanti, ed ostacolata da tanti altri.
Lascia una moglie e due figli che lo aspettavano a casa per la sua festa. Si chiamava Marco Biagi. Questo è tutto quello che so.