Tunisia: stampa assassinata, Europa complice
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Adriano FaranoI media tunisini sono ormai ridotti a mere agenzie di stampa del regime. Ma l’Europa non muove un dito. Per proteggere le sue multinazionali.
Mezzogiorno in punto. Sabato 27 marzo, il quartiere Lafayette, nel centro di Tunisi, è accerchiato. Decine di agenti della polizia politica vietano l’accesso ai passanti sulle strade che portano alla Casa della Radio e della Televisione tunisina. Le istruzioni sono precise: impedire la tenuta del sit-in organizzato dal Comité de liaison pour une information libre, composto dai rappresentanti dell’opposizione democratica e delle associazioni, per protestare contro la politica del governo in materia di informazione. Ma, nonostante questa prova di forza della polizia, alcune decine di persone sono riuscite a raggiungere il luogo della manifestazione sfidando così tutti i poliziotti ammassati a qualche decina di metri dalla Casa della Radio. Cominciano allora a risuonare gli slogan per una stampa libera e contro il fascismo al potere. La polizia interviene con la sua proverbiale ferocia, nel tentativo di disperdere i manifestanti. Il sit-in si trasforma allora in una manifestazione di piazza. E i passanti sono brutalmente allontanati per impedire che si uniscano alla manifestazione. Il messaggio è passato.
La stampa libera ? E’ stata assassinata
Da quando i tunisini guardano le TV via satellite, la sorpresa è grande di fronte a una TV nazionale che continua a mentire e a nascondere i veri problemi di un popolo il cui potere d’acquisto non smette di deteriorarsi e i cui diritti sono sempre più calpestati. Basti ciò per intendere l’importanza che riveste il grido lanciato dai manifestanti per dei media capaci di svelare i loro veri problemi e di rispettare la propria capacità di discernimento.
Ma la situazione della stampa in Tunisia non ha smesso di deteriorarsi. Qualcuno ha ricordato a ragione che se in Algeria si uccidono i giornalisti, in Tunisia ci si limita ad annientare la stampa. Che è ormai K.O. dopo la scomparsa di titoli come Phare, Maghreb, el Badil e el Fajr, e la detenzione dei direttori di questi ultimi tre giornali. Da allora alcuni giornalisti hanno accettato di convertirsi all’ordine nuovo, mentre altri hanno preferito esercitare la propria professione all’estero.
Di fronte a questa situazione drammatica, in cui un popolo intero è ridotto al silenzio, le ragioni che spingono a mettere la museruola alla stampa sono note a tutti. Una stampa libera potrebbe informare sui prigionieri che periscono sotto i colpi della tortura nei locali del Ministero degli Interni, nei commissariati e nelle prigioni. Una stampa libera potrebbe informare sulle pene inflitte ai militanti per reati d’opinione in seguito a processi iniqui. Una stampa libera potrebbe evocare il grande problema della corruzione e la monopolizzazione delle ricchezze del paese da parte della famiglia regnante e del suo entourage.
Rewriters dei comunicati del regime
Per un regime dittatoriale, l’assassinio della stampa si rivela quindi essere una necessità e una garanzia di sopravvivenza. Il giornale, la radio e la TV cessano di essere mezzi per informare su ciò che succede, ma su ciò che dovrebbe succedere per addolcire l’immagine di uno Stato corrotto e nemico della società civile. Uno Stato che si fregia dell’ammutolimento delle associazioni e dell’annientamento di organizzazioni quali l’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini (UGTT).
I giornalisti tunisini, che oramai non sperano più di poter invertire questa tendenza, sono ridotti al ruolo di meri rewriters degli spacci d’agenzia. La figura del giornalista da inchiesta, critico e creativo è così scomparsa a tutto vantaggio del giornalista pieno di zelo, spesso ausiliario del Ministero degli Interni. Si capisce quindi come l’Associazione Tunisina dei Direttori di Giornale sia stata esclusa dall’Organizzazione Mondiale dei Giornali nel maggio 1997. Allo stesso modo, lo scorso marzo, la Federazione Internazionale dei Giornalisti ha deciso di escludere dai suoi ranghi l’Associazione dei Giornalisti Tunisini dopo aver constatato che era oramai venuta meno al suo dovere. Dal 1998, il Comitato Internazionale di protezione dei giornalisti colloca regolarmente Ben Alì tra i dieci primi leader mondiali più ostili alla libertà di stampa. Nel suo Rapporto Annuale, Reporter senza Frontiere pone regolarmente la Tunisia nella lista nera dei paesi in cui la libertà di stampa è meno rispettata. Tunisi accusa così una situazione ben peggiore a quella di paesi come Benin, Senegal e Costa d’Avorio.
Non nuocere agli interessi delle multinazionali
Ma, nonostante questa situazione, paesi come Francia, Belgio, Italia e Spagna continuano a ritenere positivo il bilancio di Ben Alì sul tema diritti umani. Come spiegare altrimenti le posizioni dei leader di regimi che si dicono democratici, se non con l’argomento che gli interessi economici dei loro paesi sono meglio serviti da Stati robusti, capaci di ottimizzare lo sfruttamento delle ricchezze locali? Che cosa diventerebbero gli interessi dei paesi ricchi se, negli Stati dipendenti, i sindacati fossero capaci di nuocere agli interessi delle multinazionali, se dei partiti liberi potessero rimettere in discussione dei Trattati ingiusti e se una stampa libera informasse i popoli delle vie pericolose sulle quali si sono incamminati?
Ecco il senso della manifestazione del 27 marzo scorso. Questo senso le autorità lo hanno compreso. E hanno anche colpito duro. Come al solito.
Translated from La presse tunisienne assassinée, l'Europe complice