Tirana si ridisegna: lontano dal virus capitalista
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Alessandro ParottiAl di là di quella che molti chiamano “cultura panbalcanica” e delle influenze della società consumistica, la città esplora nuovi modi per esprimere la sua identità. Gli ostacoli posti da alcuni politici più preoccupati dei voti che dell’arte non facilitano le cose, ma una nuova generazione di artisti sta cercando di rinnovare la scena culturale locale e scrollarsi di dosso i pesanti pregiudizi.
Tirana esce dal guscio su cafebabel.com.
Tirana non concepisce gli ambienti chiusi. Quando si passeggia per le vie della città, si ha come la sensazione che una mano gigantesca si sia divertita a spostare gli edifici, disponendoli senza un ordine né un senso precisi, secondo il suo gusto personale. Lo sguardo rimbalza da un lato all’altro della strada, seguendo gli impulsi di questa giungla che gioca a fare la grande metropoli. Gli edifici in costruzione (se non addirittura in rovina) si alternano a grattacieli avveniristici, il tutto immerso in una marea anarchica di automobilisti kamikaze e fauna umana di ogni genere. Questo caos, che in qualche modo tende a correggersi per trovare un ordine, racchiude un paradigma al suo interno. Tirana è una città di contrasti, di miscele impossibili che intaccano il paesaggio. Possiamo prendere come esempio la piazza più centrale della città, Scanderbeg, una caotica superficie di grandi dimensioni che ospita un grattacielo, una moschea e un imponente museo la cui facciata è decorata da un enorme mosaico comunista. Tanta varietà ci può stordire, e una domanda può velocemente farsi strada dentro di noi: dove stai andando, Tirana?
Trema Tirana! La cultura pop spazza via ogni cosa al suo passaggio
“Si tratta di una città in continua costruzione”, mi spiega una giornalista in un hotel con vista sulla grande piazza. Le sue risposte aiutano a dipanare i miei dubbi. Un consiglio su argomenti di attualità culturale in città?: “Bella domanda. Parlerei della bellezza dei giovani del giorno d’oggi”. Non un grande aiuto, ma basta per iniziare a notare uno degli elementi predominanti nella città: la travolgente presenza della cultura pop nella capitale dell’Albania. Quando un paese vive sotto un asfissiante regime comunista, culturalmente fertile ma dominato da una censura intransigente, sente la necessità di ribellarsi fino ad arrivare ad abbracciare il demonizzato capitalismo.
Rubim Bego, artista e organizzatore di eventi musicali, sa come vanno le cose: “Le uniche forme di simbolismo, e l’arte si occupa principalmente di simboli, provengono dalla cultura aziendale”. La televisione ha una buona parte di responsabilità in questa situazione”. Ci incontriamo al Radio Bar, uno dei pochi baluardi della musica indipendente nel quartiere più alla moda della città. “Ci sono analogie che accomunano tutti i paesi comunisti, alla fine tutti si abbandonano alla cultura pop. Fanno un tipo di arte kitsch, stravagante”. La Russia costituisce uno dei massimi esponenti di questa tendenza, insieme ai nuovi ricchi che issano la bandiera del consumo come massima espressione della loro personalità. E consumo significa cultura occidentale. Quando si passeggia per Tirana, non è raro vedere insegne di negozi che si sono arrese alle influenze esterne utilizzando termini inglesi e italiani, le due lingue straniere predominanti. “Tirana non ha personalità, si sta auto-definendo”, spiega Bego. “La chiave sta nel pensare globalmente ma agire localmente. Per ora si imita, non si crea. Bisogna ricevere queste influenze esterne e contestualizzarle. In questo senso, la cultura locale ha una strada molto lunga da percorrere”.
Bego sta cercando di mettere in pratica le sue idee già da qualche anno. E’ stato uno degli organizzatori del MJAIT Fest, il festival di musica indipendente che si celebrò nella capitale albanese per alcuni anni, e ora coordina il progetto di una radio non commerciale che ha lo scopo di creare nuove alternative culturali. Vuole proporre una soluzione a uno dei principali problemi della cultura contemporanea del Paese: la mancanza di infrastrutture per la creazione di spazi dove i giovani possano esprimersi. “Il governo dovrebbe aiutarci, dare il buon esempio per poter contribuire all’estensione dell’arte contemporanea”, sottolinea.
L’ombra della politica si allunga
Tuttavia, lungi dal fare caso alle rivendicazioni, i politici non sono molto disposti a sostenere l’arte. Lo sa bene Andamion Murataj, sceneggiatore di The forgiveness of blood, pellicola vincitrice del premio alla miglior sceneggiatura durante lo scorso festival del cinema di Berlino. Il film, diretto da Joshua Marston non è mai riuscito ad avvalersi del sostegno delle autorità nazionali. Il cineasta mi racconta da New York che, nonostante le numerose sollecitazioni al Centro Cinematografico nazionale per ottenere dei finanziamenti, “Abbiamo trovato molto difficile superare le barriere burocratiche e il vago terreno legislativo in merito all’arte in Albania. Nonostante tutto, il film ha ottenuto il più grande successo mai raggiunto da una pellicola in lingua albanese”. La mancanza di finanziamenti delle opere d’arte mantiene in uno stato di stagnazione un mercato che continua a non decollare e che si è mantenuto ancorato nella concezione di arte più tradizionale. Il problema, secondo Murataj, sembra fondarsi nel mancato contatto con la realtà da parte delle autorità: “Le istituzioni non hanno interesse a finanziare l’arte contemporanea perchè non credono sia importante”, concorda Rubim Bego.
C’è chi però dà un’interpretazione complementare. Ilir Kaso, 29 anni, professore e artista visivo, mi racconta che i soldi provenienti dalle sovvenzioni e dai fondi destinati all’arte sono solitamente utilizzati dagli amici dei politici o da quelli che perseguono forme d’arte più vicine alle correnti ufficiali. Non è sorprendente, visti i numerosi rapporti internazionali che posizionano l’Albania tra le nazioni più corrotte dei Balcani. Il clientelismo è all’ordine del giorno e questo è d’intralcio allo sviluppo di nuove idee e tendenze all’interno della scena locale. “I giovani vogliono muoversi in fretta, ma la politica si mette sempre in mezzo”, commenta Ilir, “qui è difficile vivere di sola arte”. E sa quello che dice: nonostante sia un creativo affermato, deve arrotondare con le lezioni che tiene all’accademia d’arte di Tirana per arrivare a fine mese. Censura economica? Susana Varvarika, critica d’arte, rincara la dose: “L’Albania è un paese ricco di risorse, ma le istituzioni culturali sono troppo intrecciate con il governo ed è molto difficile uscire da questo circuito chiuso. Inoltre, il governo non capisce nulla di arte”.
Tutto ruota intorno alla politica. I problemi che affronta il sistema fanno sì che tutti gli sforzi vengano convogliati al fine di raccogliere voti, lasciando le opere d’arte in disparte. Tuttavia l’arte può essere uno strumento capace di invertire questa situazione, come spiega Kaso: “Sto pensando di allestire un’esposizione partendo da immagini di cartelloni elettorali, usandole per creare messaggi nuovi e dire che non vogliamo questi politici, che i giovani non li vogliono. Si develanciare un appello volto al rinnovamento di cui abbiamo bisogno: abbiamo ancora molti politici legati al nostro passato comunista”.
E il futuro?
Anche se i politici ancorati al passato pongono vincoli allo sviluppo, i giovani artisti parlano di rompere queste barriere. Loro guardano al futuro della società. Ne è convinto, Kaso: “Mi sorprendono continuamente con idee sbalorditive”. Susana Varvarika è sicura: “Gli artisti sono abili nello spiegare agli altri la realtà attraverso il loro lavoro. I giovani sono contro l’arte manipolata dal governo e possono cambiare questo Paese”.
Questo articolo fa parte della serie Orient Express 2010-2011, la serie di reportage realizzati da cafebabel.com nei Balcani e in Turchia. Più informazioni su Orient Express Reporter.
Foto hom-page: (cc) Sharilyn Neidhardt/Flickr; Foto testo 1: ©Sladjana Perkovic; Foto testo 2: davdulf/Flickr; video: cortesia di Lightfilms/Youtube
Translated from Tirana se redibuja: la ciudad busca su identidad lejos del virus capitalista