Srebrenica ferita aperta
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Ottavio Di BellaSon trascorsi dieci anni da quando il genocidio nella città bosniaca scosse il mondo. Eppure le tensioni che circondano la commemorazione di quell'evento, dimostrano che Srebrenica è ancora una ferita aperta.
Tra l’11 ed il 14 luglio 1995 l'esercito serbo-bosniaco, guidato dal generale Ratko Mladic, massacrò quasi ottomila musulmani bosniaci dopo aver attaccato il “porto sicuro” Onu di Srebrenica. Questo genocidio europeo, il primo dalla fine della seconda guerra mondiale, verrà ricordato il prossimo lunedì 11 luglio con una cerimonia a Potocari nella parte nord di Srebrenica. Fra le autorità si attende la presenza di Boris Tadic, l’attuale presidente della Serbia, cosa che ha irritato i musulmani bosniaci che ritengono che il miglior posto per Tadic, al pari di Mladic e Radovan Karadzic ovvero i leader politici serbo-bosniaci al tempo della guerra, è dietro le sbarre.
Un tema che scotta
Un ulteriore accentuarsi delle tensioni si è avuto lo scorso fine settimana quando, presumibilmente per opera del ministro degli esteri britannico Jack Straw, è stato suggerito ai leader di Bosnia, Serbia e Croazia di pubblicare una dichiarazione comune «di riconciliazione e di scuse» a Potocari. La Croazia ha giustamente rivendicato la sua totale estraneità al genocidio e quindi ha affermato di non sentire alcun bisogno di scusarsi, mentre Srdjan Dizdarevic – a capo del Comitato dei diritti umani di Helsinki in Bosnia – ha definito «completamente inaccettabile che nel decimo anniversario (del genocidio) tutto debba esser perdonato». Tadic non si è certo lasciato distogliere e addirittura, forse per effetto di un video recentemente mandato in onda dalla televisione serba sulle uccisioni perpetrate, ha promesso che s’inginocchierà e chiederà perdono per quanto accaduto a Srebrenica. Eppure, per parecchi bosniaci è sin troppo presto per le scuse.
Un fallimento internazionale
Il genocidio di Srebrenica è ancora una ferita aperta, non solo per i bosniaci ma anche per la comunità internazionale che non ha fermato o non è stata in grado di fermare il massacro. L’Onu – che aveva dichiarato Srebrenica un porto sicuro nel 1993 dopo gli attacchi nell'enclave bosniaco – ha fallito la sua missione di proteggere la gente comune. Le forze olandesi responsabili per tutta la zona risultarono insufficientemente armate, e del resto fu lo stesso mandato ad impedire loro qualsiasi uso della forza salvo. Tutto ciò, insieme alla presa in ostaggio di 55 peacekeeper olandesi da parte dei serbi ed al fallimento del’'Onu sulla riuscita del ponte aereo, testimoniarono bene come quel “porto sicuro” non fosse affatto così sicuro. E, come il Segretario Generale dell'Onu Kofi Annan ammise nel 2000, «la tragedia di Srebrenica macchierà per sempre la storia delle Nazioni Unite».
Dieci anni non rappresentano un periodo sufficientemente lungo. E se la maggior parte dei bosniaci ritiene che debba ancora giungere il tempo per il perdono, questi sentimenti andrebbero rispettati. In ogni caso, una riconciliazione tra bosniaci e serbi resta impossibile senza leader politici serbi in grado di mostrare vera contrizione. Il fatto che il governo serbo-bosniaco abbia intrapreso questa strada nel novembre 2004 e che abbia organizzato la cerimonia di commemorazione dovrebbe esser di buon auspicio. E Tadic ben farebbe ad inginocchiarsi ed abbassare il capo in segno di rispetto verso le vittime. Non solo lunedì prossimo.
Translated from Srebrenica still divides