Slovenia: non è un Paese per giovani
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Martina RicciardiIn Yugoslavia la Slovenia era considerata la "prima della classe". Negli anni Novanta, con lo scoppio della guerra nei Balcani, l'economia del paese favorì la privatizzazione di molte aziende. Ma dal 2008 la Slovenia lotta contro una crisi economica che colpisce molti giovani. Maribor, un'ex cittadina industriale, sta diventando un nuovo centro socio-culturale grazie al fiorire di nuove idee.
Il ventottenne Simon Žlahtić, dopo essersi laureato in storia dell'arte a Ljubljana, è tornato a casa, a Maribor, ed è andato al centro per l'impiego per cercare lavoro. L'assistente sociale gli ha lanciato un'occhiata dalla scrivania e gli ha chiesto: «Parla tedesco?». «Sì» ha risposto lui. «Non abbiamo niente per lei, qui. Vada in Austria, lì troverà lavoro».
Simon non parla solo tedesco, ma anche inglese, francese, croato, latino, ed è ovviamente madrelingua sloveno. Ha la patente, nonché una vasta esperienza professionale. È restauratore, curatore ed agricoltore. È esperto di permacultura e di cucina vegana, e parlando con lui si può tranquillamente spaziare dall'architettura industriale in Yugoslavia alle piante indigene. Sa fare la pizza nel forno a legna e sa tosare le pecore, ma è anche un accanito lettore dei documenti d'archivio.
Però non c'è lavoro per Simon a Maribor. Secondo i dati del centro statistico del Paese, Simon appartiene a quel 18,4% dei giovani disoccupati della Slovenia nord-orientale. Il 27,2% di quelli che, invece, hanno un impiego, lavora all'estero e fa il pendolare tra Slovenia e Austria.
La crisi di Maribor, la ex "Manchester Jugoslava"
Con i suoi 100.000 abitanti, Maribor è il secondo centro più popoloso della Slovenia, ed è conosciuta per la sua forte classe operaia. Vista la sua industria fiorente, venne infatti soprannominata la "Manchester Yugoslava" dell'ex stato comunista. Per decenni l'industria tessile, quella metallurgica e quella automobilistica sono state i pilastri della vita sociale di Maribor. I problemi iniziarono quando la Yugoslavia crollò, e le industrie persero l'accesso al mercato dei Balcani. Dal 1992 al 2009 chiusero 257 società di Maribor, e migliaia di operai persero di conseguenza il lavoro. Oggi il 16% della popolazione locale vive al di sotto della soglia minima di povertà. «In quasi tutte le famiglie, almeno una persona lavora fuori dalla Slovenia» dice Simon. «È vero che la vicinanza con il confine dà un senso di sicurezza a molte famiglie, però di certo non risolve il problema».
Dopo il fallimento della maggior parte delle industrie di Maribor tutti, e non solo i giovani, furono costretti a cercare altri modi per guadagnarsi da vivere. Alcuni speravano che la città, dopo essere diventata la Capitale Europea della Cultura nel 2012, potesse promuovere la sua immagine e di conseguenza migliorare l'industria turistica. Un'enorme quantità di denaro, 21,9 milioni di euro, venne investita nello sviluppo culturale, in produzioni teatrali, concerti e mostre costose. La città ospitò un totale di 405 progetti e 5,264 eventi culturali. Però, nonostante i 4,5 milioni di visitatori transitati per Maribor, non ci fu un grande riscontro di ciò sull'economia.
Gli ormai frustrati cittadini di Maribor rivolsero la propria rabbia contro l'inefficienza e la corruzione della classe politica, incapace di affrontare i problemi del Paese. Ed alla fine del 2012 la decisione del sindaco di installare un grande numero di radar per il controllo del traffico fece scoppiare una forte ondata di proteste. Ben presto la disobbedienza civile si diffuse in tutta la Slovenia, dove la popolazione si era già stancata dell'inefficace politica del governo e delle eufemisticamente complicate prospettive economiche.
«La situazione economica è grave. Stiamo provando a risolverla applicando il metodo "bottom-up" (per cui i lavoratori, in opposizione ai dirigenti, dettano legge sulla struttura delle loro società, n.d.r.)» spiega Karolina Babič, attivista sociale e una dei fondatori del CAAP (Centro per la Produzione Alternativa e Autonoma), creato nel 2011 con lo scopo di «riunire sotto lo stesso tetto idee sociali ed ecologiche». Alla fine del 2013 Karolina venne a sapere di un edificio abbandonato di sei piani nel cuore della città. Ben presto quello che prima era un laboratorio farmaceutico diventò la sede centrale della sua organizzazione: la Tkalka (Il tessitore).
Dopo migliaia di ore di volontariato essi trasformarono questo relitto in un grande spazio di co-working, come quelli di Berlino e di Londra. Vista la mancanza della stabilità garantita da un lavoro a tempo indeterminato che era presente nella Yugoslavia comunista, molti cittadini di Maribor optarono per alternative simili a quella di Karolina. «Gli Europei pensano a questi spazi principalmente quando si parla di industria creativa. Ma Maribor non ha abbastanza massa critica per una cosa del genere» spiega. «Tkalka non ospita solo persone dell'industria creativa, ma anche esperti in campi tecnologici come muratori, macchinisti, biologi ed ecologisti. Qui lavorano anche persone della comunità Rom, insieme a persone con PhD in materie scientifiche».
Ad oggi Tkalka ospita più di 45 organizzazioni che danno lavoro a più di 140 persone. I costi di mantenimento vanno dai 60.000 ai 70.000 euro all'anno, che i membri si dividono tra loro. «La maggior parte delle organizzazioni e degli individui si guadagna da vivere con le attività che svolgono qui».
Democrazia diretta e plenum
Ma agli occhi di Karolina «i processi sociali come il plenum o la democrazia diretta sono l'eredità più importante delle proteste del 2012». Dopo le sommosse infatti i cittadini di Maribor iniziarono a partecipare in maniera più attiva alla vita politica locale, attraverso un sistema di democrazia diretta basato sui "plenum". I plenum si ispirano direttamente al Movimento di Occupazione Globale e all'idea di democrazia orizzontale, con lo scopo di dare a tutti lo stesso processo decisionale. A partire dal 2013, i cittadini di Maribor hanno iniziato a organizzare regolarmente delle riunioni di quartiere in cui sono presenti anche dei moderatori "neutrali". In questo modo le persone discutono e prendono decisioni riguardanti problemi comuni e pubblici in maniera collettiva.
Simon gestisce una fattoria con degli amici, e pensa che dal 2012 ad oggi l'immagine di Maribor sia cambiata: non è più il posto in cui non si fa niente e nessuno può avere successo. «TV Slovenia ha mandato in onda un filmato sugli eventi del 2012 a Maribor sottolineando che qui le persone hanno reagito alla mancanza di cultura con la cultura. Questo non è vero, noi volevamo solo un lavoro».
Per rispondere alla crisi sociale, Maribor è diventata un esperimento politico e un laboratorio sociale, ma questo non ha fermato la democrazia orizzontale. Da allora in città sono state promosse decine di nuove iniziative sociali. Molte persone si sono impossessate di moltissimi spazi industriali vacanti e li hanno ritrasformati in negozi, bar e gallerie che oggi costituiscono la base della vita di Maribor.
Oltre ad avere molti spazi industriali abbandonati, Maribor è famosa per i suoi dintorni rurali. Le cooperative alimentari mettono in collegamento i piccoli agricoltori con i consumatori delle città, creando così nuove opportunità di lavoro nelle aree rurali vicine e fornendo alle città prodotti alimentari sostenibili e locali. La cooperativa Dobrina, che fa parte della Tkalka, ha fatto in modo che si riunissero più di 60 piccoli agricoltori aventi ciascuno dai 3 ai 15 ettari di terra, i quali adesso vendono i loro prodotti nei mercati di Maribor, agli ospedali, alle scuole, agli asili e ai cittadini. Da Dobrina si può comprare di tutto: varietà locali di carote e mele, pane, olio e persino un paio di calze di lana fatte a mano.
Nuova economia: un processo organico
Marko Brumen, un produttore culturale impiegato nell'istituzione pubblica Narodni Dom, ritiene che la prosperità delle iniziative indipendenti di Maribor sia una specie di "processo organico". Benché le autorità non applichino ancora i principi della democrazia diretta, il progresso c'è e si vede. Il comune, ad esempio, ha stanziato il primo budget partecipatorio. «Il principio è semplice» dice Brumen. «Spetta alle comunità locali decidere come spendere una parte del loro budget. Chiunque può presentare un progetto che verrà poi messo ai voti. I cittadini possono avere un impatto decisionale diretto sulla spesa dei fondi pubblici: che sia per un parco giochi, una strada o per i lampioni».
Narodni Dom opera fuori da Vetrinjski Dvor, l'ex sede del Consiglio di Cultura Europeo. È un edificio bianco, a due piani, nascosto da grandi cancelli di ferro e si affaccia su un cortile interno in ciottolato. Al primo piano delle aule grandi e luminose ospitano le ONG locali, che hanno affittato i loro spazi comuni per tre anni. Due residenze ospitano artisti sloveni ed internazionali.
Il venerdì sera, tuttavia, le strade di Maribor sono stranamente vuote. Questo perché, come dice qualcuno, «è inverno» e «gli studenti non sono ancora tornati». Tuttavia la città si risveglia al suono dello swing proveniente dal Salon Uporabnih Umjetnosti (Salone delle Arti Applicate). Il Salone, come la maggior parte delle nuove iniziative, è una specie di cafè, design shop, libreria e bar all'interno di quello che prima era uno spazio abbandonato. Un'insegna che pende sopra il bar è quello che resta del vecchio casinò. Dalle vetrine e sulle mensole tra i tavoli si vedono borse fatte a mano, vestiti e libri. Il Salone è subito diventato il punto di ritrovo dei bohémien locali. Durante la serata swing ballano tutti, dai più giovani ai più anziani. Per i giovani il salone è un posto nuovo, di tendenza, dove conoscere persone; per i più anziani, invece, è il posto giusto per fare un tuffo nei ricordi del passato.
Secondo Miha Horvat, artista indipendente del collettivo Sonda, Maribor «ha il giusto potenziale per diventare una Mecca dell'arte», e sostiene che sia perfetta perché «non è né troppo piccola, né troppo grande: è una piccolà città, ma con grandi ambizioni». Lo slogan su un muro vicino a Tkalka che recita "Maribor è il futuro" nasce in effetti da un'idea del Sonda.
Miha ci crede in questo futuro, e spiega come il suo progetto GT22 sia diventata un'iniziativa che riunisce 80 persone nel campo del teatro, della fotografia, della radio e delle arti visive. Secondo Miha gli artisti dovrebbero essere maggiormente coinvolti nella vita politica, così da creare altre iniziative simili in futuro. «Visto che pago le tasse e quindi do qualcosa allo Stato, voglio avere qualche potere. Il nostro settore industriale è collassato, ma le competenze ci sono, la nostra posizione è interessante dal punto di vista storico e la nostra arte, amatoriale o professionale che sia, in qualche modo funziona. Credo che dovremmo continuare su questa strada. Credo che Maribor potrebbe essere un perfetto laboratiorio sociale».
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Testo: Natasha Kramberger
Foto: Helena Prtorić
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Oltre i cliché. Oltre l'odio. Oltre il passato. 25 anni dopo l'inizio della guerra nei Balcani, il progetto editoriale Balkans&Beyond di cafèbabel Berlin presenta le storie che illustrano la vita e la politica in Bosnia Erzegovina, Macedonia, Croazia, Kosovo, Slovenia, Serbia, e Montenegro. Questo progetto è finanziato dall'Allianz Kulturstiftung e da Babel Deutschland, con il sostegno morale di tutta la comunità di Babel International.
Translated from Slovenia: No Country For Young Men