Si fa presto a dire “terrorista”
Published on
Translation by:
marco valerio lo preteIl terrorismo, sia esso di stato o contro la stato, è stato da sempre la scorciatoia per evitare fastidiose formalità politiche. Una scorciatoia che, nel corso dei secoli, ci è costata la democrazia.
Esperti e persone comuni, in Europa e al di là di un Atlantico sempre più stretto, sostengono che il nostro mondo diviene ogni momento più insicuro. Il recente manifesto stilato da cinquanta esperti di politica estera, intitolato “Un patto tra Stati Uniti ed Europa”, ha spinto il Presidente americano e le sue controparti europee a sfoggiare ampi sorrisi e strette di mano leggermente più cordiali di fronte ai media. Ma in patria ciascuno continua a tessere le proprie trame, che sono in sostanza non molto distanti dalla politica dell’“occhio per occhio”.
Terrorismo: cosa c’è dietro questa parola?
“Terrorismo” è semplicemente un nome nuovo conferito a pratiche che sono più antiche del Vecchio Testamento. Esso connota un’abbondanza di atti efferatissimi. Il significato del termine rimane ambiguo se non altro per il fatto che si può riferire a due realtà: ad una politica praticata da uno stato, oppure a movimenti sovversivi. Prendiamo la Rivoluzione Francese: i Giacobini “terrorizzarono” i dissidenti presenti nelle proprie fila, per poi scagliarsi alla ricerca dei cosiddetti “nemici pubblici”. Dopo la Legge sui Sospetti, risalente al 1793, il panico dilagò all’interno dell’Assemblea ed il regno del terrore conquistò il paese. In questa maniera, come d’altronde è accaduto ad intervalli che si ripetono nel corso di tutta la storia, il terrore si presenta come mezzo legittimo di difesa contro tutte le forze anti-patriottiche. Per ricorrere ad un esempio più recente, durante la Guerra Fredda abbiamo potuto contemplare forse le applicazioni più “efficaci” di un terrorismo camuffato e alimentato segretamente. Ma che in realtà faceva parte di un conflitto mondiale.
I terroristi, strumenti oggi inutili, ma non per questo meno avidi di sangue e pubblicità, si sono rivoltati contro quelli che una volta li sponsorizzavano. O magari contro quelli che li sponsorizzarono dall’interno dei loro paesi. È proprio attraverso campagne terroristiche finanziate dall’estero che i fanatici afgani, libici e tanti altri, per dirla con franchezza, sono stati “occidentalizzati”. Molto più di quanto si possa comunemente credere. Impercettibilmente coloro che si proclamavano guerrieri della religione, si sono arresi alla tentazione di un atteggiamento vicino ad un materialismo ed un utilitarismo tanto aborriti.
Un circolo vizioso
Ma ancora una volta sono state mischiate le carte in tavola. Oggi, e questo può essere un bene o un male, non possiamo più avere un’influenza su quei terroristi che abbiamo sostenuto fino all’altro ieri. Sarebbe poi inutile pensare di discutere con loro. La saggezza occidentale (ci potrebbe servire la psicoterapia? O forse la riabilitazione?) non ci viene in aiuto se stiamo trattando con un uomo-bomba suicida che non desidera altro che essere adorato come un martire.
Ironicamente tutti gli attori di questo terrificante balletto sembrano, allo stesso modo, storditi a tal punto da continuare con questo spettacolo del bianco contro il nero. Sembra quasi che non si vogliano ricordare le lezioni che provengono dal nostro passato: indossare l’armatura da crociato significa vestire, sotto di essa, una maglia intrisa, da tempi immemorabili, di pregiudizi razziali e religiosi.
Translated from War on words