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Schengen: Un puzzle legale per l'Europa 

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Cosa si intende esattamente quando si parla di "Schengen" e perché è così come lo conosciamo? La storia di Schengen è piena di intrecci e colpi di scena, ma una cosa è sempre rimasta costante: la tendenza a conciliare le divisioni politiche per mezzo di strumenti giuridici, spesso insufficienti.

Nel dicembre del 2015 la Commissione Europea ha adottato una serie di misure di riforma per "gestire i confini dell'Europa e preservare la sicurezza dell'area Schengen di libera circolazione". La proposta offre un'ottima occasione per guardare indietro all'emergenza del sistema Schengen, da una prospettiva giuridica.

L'idea dietro all'accordo Schengen era tanto audace quanto logica all'interno del processo di integrazione europea. Audace (cioè politicamente delicata) nel senso che l'eliminazione dei controlli di frontiera tra gli stati membri toccava uno degli elementi chiave della sovranità nazionale. Era per ognuno un passo logico da fare, richiesto per l'esecuzione delle "libertà fondamentali" dai trattati sulla Comunità Europea (CE), codificati ora nel Tratatto sul Funzionamento dell'UE (TFUE). La realizzazione della libera circolazione sia di beni sia di persone era ancora fortemente limitata dalle frontiere nazionali e dalle procedure che si accompagnavano a esse.

Da una prospettiva giuridica, il modo in cui la questione fu gestita fornisce un illuminante esempio di come situazioni delicate siano spesso risolte in un contesto europeo: occupandosi della questione fuori e riportandola dentro una volta pulita.

Quando gli accordi di Schengen furono firmati rispettivamente nel 1985 e nel 1990, la Gran Bretagna e l'Irlanda in particolare non accettarono che l'accordo diventasse legge della CE, rendendolo così vincolante per tutti gli stati membri. Nella legge UE (prima del 1993 legge CE), modificare i trattati di fondazione o persino far approvare una norma può risultare espremamente complicato e spesso associato a costi politici elevati. In molte areee cruciali i trattati richiedono unanimità tra gli stati membri e richiedono lunghi processi decisionali.

Quindi, adottare un accordo come trattato nella classica legge pubblica internazionale era il modo più veloce per sviarsi da questo dilemma: un gruppo di stati (in questo caso stati membri della CE) si riunisce, si accorda su una certa serie di regole e le inserisce in un trattato che, in un certo senso, aggira la legge UE senza davvero divenirne parte. Nella più recente storia Europea sviluppi simili hanno portato all'adozione del Patto di Bilancio Europeo fuori dalla legge UE.

Rendendo più facile l'adozione di un eventuale accordo, questa pratica offre molti altri vantaggi: con la legge pubblica internazionale, per esempio, è meno complicato garantire eccezioni agli stati firmatari. Inoltre, cambiare o correggere trattati è più facile.

Dall'altra parte, ci sono anche degli svantaggi: l'idea dietro la fondazione del Sistema giudiziario Europeo era, dagli inizi negli anni '50, di migliorare l'integrazione attraverso leggi a riguardo. Se un gruppo di stati membri uscisse dal quadro giuridico europeo ogni volta che il raggiungimento di un accordo si dimostrasse complicato, questo nel tempo indebolirebbe la legge UE, la sua legittimità, la sua coerenza e accettabilità così come la sua originale funzione integrativa.

Sotto pressione - Schengen a rischio?

Perciò, spesso resta parte integrale dell'impresa integrare questi "accordi laterali" nella legge UE in un secondo momento. Per mezzo del Trattato di Amsterdam del 1997, anch'esso implicante riforme che rinforzano il ruolo del Parlamento Europeo e modificano le competenze legislative, l'accordo di Schengen divenne parte formale della legge UE.

Tecnicamente ciò fu fatto con un protocollo addizionale; sia la Gran Bretagna sia l'Irlanda, nonostante avessero ritirato l'opposizione degli anni '80, negoziarono la rinuncia a gran parte degli "acquis" di Schengen, in particolare mantennero il diritto di fare controlli di frontiera.

A turno, le istituzioni dell'UE ottennero la possibilità di sviluppare il sistema Schengen, e gli accordi Schengen divennero parte del cosiddetto "acquis comunitario", la somma delle leggi UE in vigore. Oggi gli accordi Schengen costituiscono la parte centrale dello "spazio di libertà, sicurezza e giustizia" (SLSG), le norme UE su giustizia e affari interni.

L'effettiva riconciliazione delle maggiori libertà con le necessarie misure di sicurezza era una delle principali promesse degli accordi Schengen; le varie misure adottate per mettere in sicurezza le frontiere dello spazio Schengen sono quindi inevitabilmente legate al vero scopo degli accordi.

La fondazione di Frontex (un entre sotto leggi UE secondarie) nel 2004 ne costituisce sicuramente il maggiore esempio. Ma Frontex è anche una buon quadro di ciò che accade quando ci si aspetta dall'UE qualcosa che essa ha limitate competenze e capacità di sviluppare.

Sotto la pressione dell'attuale "crisi dei rifugiati", la sicurezza delle frontiere e il coordinamento delle politiche di visto e asilo sono criticati in quanto inefficaci e insufficienti. Gli stati membri cominciano a fare uso di clausole di esenzione per ripristinare temporaneamente i controlli di frontiera. La visione Schengen di un'Europa senza frontiere è a rischio.

Se adesso la commissione ha intenzione di effettuare una "revisione mirata del codice frontiere Schengen" (nome orecchiabile per diverse regolamentazioni UE che coordinano le politiche di frontiera) e di creare una guardia europea costiera e di frontiera, questo dipinge alcune delle difficoltà concettuali del sistema Schengen. L'idea della guardia costiera in particolare metterà probabilmente in conflitto la legislazione UE con gli stati toccati. La domanda sarà quindi se ci sia sufficiente volontà politica per fare i passi necessari per armonizzare effettivamente le politiche di frontiera. La possibilità di nascondere i disaccordi politici dietro strumenti giuridici è, come la stessa area Schengen, non proprio illimitata.

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Nelle prossime settimane cafébabel pubblicherà una serie di articoli in collaborazione con il gruppo i esperti di società civile Polis180 e.V. sulle varie sfaccettature dell'area Schengen e la connessa visione di un'Europa senza frontiere. L'articolo è stato scritto da Simon Blätgen.

Translated from Schengen: A legal puzzle for Europe