Ritratti transgenerazionali di volontari europei
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Una portoghese, uno slovacco, una tedesca e una francese accumunati dall’esperienza di volontariato. Sia che diventi un lavoro, sia che resti un’esperienza limitata nel tempo, l’essere volontari lascia il segno. Le testimonianze.
Milan Mikuš, 68 anni, slovacco. Si può anche a sett'anni
Dopo la pensione, Milan dedicò il suo tempo, per quasi un anno, all’accompagnamento dei pazienti di un ospizio. «Vidi per caso, su una rivista cattolica, l’annuncio dell’associazione di volontariato Vŕba (Il salice), e mi proposi come volontario per aiutare i pazienti malati di cancro, ma la mia richiesta fu respinta poiché l’annuncio era rivolto ai soli residenti a Bratislava. Fui però contento di sapere che avrei potuto rendermi utile in un ospizio della mia città che stava, appunto, cercando volontari. In linea con gli studi tecnici professionali da cui provengo, pensai di propormi come assistente a domicilio. Dopo diversi incontri con l’infermiera che si occupava della coordinazione dei volontari, mi fu consigliato di provare ad accompagnare i pazienti con ridotte capacità motorie, mi fu fornito il materiale informativo necessario e cominciai a studiarlo. Non ero sicuro di essere capace di svolgere il compito assegnatomi, ma l’unico modo per sapere se si è in grado di fare una cosa è farla. E così partecipai, insieme ad altri volontari, a dei brevi ma utilissimi tirocini organizzati dall’infermiera coordinatrice. In seguito a vari test psico-attitudinali, scoprimmo da quale punto partire per sviluppare la nostra personalità. Mi fu infine assegnato un paziente in coma. Grazie al materiale fornitomi, e a varie ricerche effettuate sul web, ebbi l’occasione di approfondire la mia conoscenza della vita umana e del suo valore, acquisendo una consapevolezza che, se non avessi avuto l’opportunità di diventare volontario e aiutare i più deboli, non avrei mai raggiunto. L’esperienza di volontariato mi ha arricchito e mi ha fatto sentire bene e utile. Sono davvero grato di quest’opportunità. In Slovenia, nel settembre del 2008, partecipai ad un programma di scambio per volontari anziani, Pensa al Futuro-Diventa Volontario grazie al quale appresi che il volontariato coinvolge una vasta gamma di attività. Quelle che più mi impressionarono furono le iniziative del Centro Anziani della città slovena di Škofja Loka e quelle della Croce Rossa rivolte ai senzatetto. Voglio dedicarmi ad aiutare le persone che stanno peggio di me, persone che ne hanno davvero bisogno. Non dico che il volontariato abbia cambiato completamente la mia vita, ma stando accanto a chi aspetta soltanto di morire, ho compreso com’è vero che ogni singola esistenza si avvicina sempre di più alla sua fine ed ho imparato ad apprezzare il valore di tutte le cose che fanno parte della mia vita».
Cândida Salgado Silva, 28 anni, portoghese. Volontario è anche nella "Cultura".
«Fin dai tempi della scuola, sono stata impegnata nella comunità religiosa della mia cittadina. All’università entrai a far parte attivamente del mondo politico e del movimento studentesco, sempre come volontaria. Dopo cinque anni di “scorribande accademiche” alla facoltà di legge, sentivo il bisogno di un’esperienza all’estero, in ambito socio-culturale, e decisi di dedicare al volontariato il mio anno sabatico. Il Servizio Volontario Europeo (Sve), ideato dalla Commissione Europea, era un’opportunità imperdibile. Ad Olsztyn, città nel nord-est della Polonia, lavorai all’interno di un progetto per far riscoprire ai giovani la biblioteca multimediale municipale. Non si trattava però di una semplice biblioteca, bensì di uno spazio multidisciplinare, in cui venivano ospitati eventi: workshop, lezioni e festival. Insieme con un gruppo di volontari del luogo ero impegnata nella progettazione e cura di attività volte ad accrescere gli interessi e le conoscenze dei giovani in ambito culturale, politico, sociale e linguistico. Essere volontario vuol dire dedicarsi alla società, pensare “fuori dal coro”, impegnarsi all’interno di una comunità e contribuire al suo benessere. È stata un’esperienza di solidarietà, di quelle che ti aprono la mente e ti permettono di esercitare il tuo ruolo come cittadino e come protagonista attivo dello sviluppo dell’umanità».
Zeliha, 24 anni, di Nancy (Francia). Il volontariato può anche diventare un lavoro.
Fare volontariato non è una vocazione ma un percorso, per così dire, obbligatorio prima che ci si possa dedicare ad una professione nel settore del sociale. Per parecchi mesi Zeliha ha conciliato gli studi universitari in Lingua francese a stranieri con l’impegno presso un’associazione di volontariato. Da oltre due anni si destreggia, impavida, tra tutte e due le due cose. «Inizialmente mi sono occupata di tenere corsi di cucito per donne non scolarizzate presso un ente di assistenza sociale territoriale un’esperienza che mi ha arricchito specialmente da un punto di vista professionale perché mi ha permesso di considerare la mia formazione universitaria da un altro punto di vista capendo che poteva ugualmente servirmi sul territorio locale». Un rattoppo oggi e uno domani, passando per varie circostanze fortuite, Zeliha approda all’Esaf, una piccola associazione di volontariato per il sostegno alla scolarizzazione, che opera nella comunità locale in cui vive. Ha collaborato per qualche mese abbastanza assiduamente e in giro di sei mesi si lancia nell’organizzazione di un cantiere solidale in Marocco. Zeliha non conosceva il mondo delle associazioni che operano nel sociale, ma ha imparato soprattutto sul campo. Se alcuni si buttano nella gestione di importanti progetti umanitari senza aver maturato una precedente esperienza, il consiglio di Zeliha – praticamente assunta a tutti gli effetti dall’Esaf – è di trovare lavoro inizialmente presso associazioni di volontariato impegnate sul territorio locale e poi di lanciarsi nel campo del volontariato internazionale. È scontato che in quest’ambito bisogna sapersi muovere su più fronti e dimostrarsi flessibili con i vari interlocutori: dalle istituzioni ai professionisti del settore, fino ai collaboratori. La buona volontà da sola non basta. Zeliha lo ha capito a sue spese nel momento in cui uno dei suoi progetti non è andato in porto perché non si era pronti e sufficientemente organizzati. Con un contratto d’inserimento e una remunerazione minima garantita per 24 ore (ma difficile da quantificarle davvero) di lavoro a settimana, alcune volte è dura arrivare alla fine del mese. Ma a conti fatti «tutto quello che ho fatto durante questi anni di volontariato mi è stato utile perché ho ricevuto molto sul piano umano e dal lato professionale ho imparato tantissimo su questo mestiere ».
Christiane, 28 anni, Berlino. Volontaria ecologica.
Siccome sono cresciuta in città ero ossessionata da una visione romantica del mare: volevo vivere almeno una volta lì vicino e, allo stesso tempo, fare qualcosa di utile per l’ambiente. Così è nata in me la voglia di partecipare al programma ambientalista Freiwilliges Ökologisches Jahr (Anno Ecologico volontario) sull’isola di Föhr nel Mare del Nord. Condividevo il mio primo appartamento con vista sul mare con una ragazza, l’unica persona della mia età presente sul posto. Gli altri erano uomini che svolgevano il servizio civile. I compiti assegnati dal Bund für Umwelt und Naturschutz (Lega per l’ambiente e la protezione della natura) erano precisi: in estate guida per i bambini lungo le zone di marea e nel fine settimana, per guadagnare qualcosa in più, pulizia delle stoviglie che mi portava Spümo, un tizio che accompagnava il mio capo al mercato del pesce o alle feste dei pompieri. Durante quei mesi caldi non sono mai riuscita a togliermi dalle mani l’odore di ketchup, mostarda e pesce. In inverno dovevo riparare le recinzioni, pianificare progetti, mappare le aree di marea e monitorare gli uccelli. Prima di allora non ero in grado di distinguere un’oca da un’anatra. Ora so com’è fatta la foca monaca e riconosco il gabbiano dalle sue grida. In primavera era il momento di occuparsi dei rospi e di costruire i recinti lungo le strade per evitare che le attraversassero e finissero incidentalmente schiacciati. L’impegno ecologico sull’isola di Föhr ha un significato politico. Alcuni abitanti considerano il lavoro per la protezione della natura un’intromissione nelle tradizioni locali. Nonostante le diverse posizioni, ho imparato che anche una sola persona può fare molto per la flora e la fauna del luogo così come per la protezione dell’ambiente (tenete sempre il coperchio sopra la pentola mentre cucinate!). Ho imparato anche a conoscere la vita, a essere indipendente sul lavoro e a comunicare con la gente. Le stesse cose che mi servono nel mio attuale lavoro come assistente per l’elaborazione di progetti nel campo culturale.
Translated from Portraits of trans-generational volunteers