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Riff Cohen, dalla Tunisia a Israele, passando per Parigi

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A metà del 2011, su youtube è esploso il video di una ragazzina dai capelli neri che balla per le strade colorate e nei mercati di Parigi, al fianco di una danzatrice del ventre e giovani stranieri, che cantano in francese sul ritmo allegro di melodie orientali. Riff Cohen ha rivelato in pochi minuti di celebrità virtuale tutto il suo talento.

Nata a Tel Aviv da madre franco-algerina e da padre israeliano con una formazione tunisina, la ventisettenne lavora per il suo primo video ufficiale sin dall’infanzia.

La casa dei genitori dei Cohen si trova a Ramat Aviv Gimmel, un quartiere benestante nel nord di Tel Aviv. Il curato soggiorno, ammobiliato con gusto e ben curato, aperto ad un cortile con un gatto altrettanto ben tenuto che passeggia sornione, sembra non avere niente a che fare con la Riff Cohen che apre la porta indossando jeans stretti e strappati e un enorme pullover: "Eppure mi piace dire che sono cresciuta qui, mi sento realmente un prodotto di ciò che sono", dice con gusto rompendo gli stereotipi. "Sarebbe stato giusto per me dire che vengo dal nord di Tel Aviv, ma perché dovrei? Stiamo iniziando a cambiare le cose ed è giusto così".

Il nome Cohen

Riff Cohen è sulla scena musicale sin dal 2008

Ho parlato con Cohen un paio di giorni dopo la sua firma con la AZ records, la filiale francese della Universal records. Musicalmente, non cambierà approccio con il pubblico francese: "il mio approccio è stato molto generale fin dall’inizio. Ma capire certi concetti è ancora difficile. In Israele, se dico che sono religiosa, pensano che io sia una conservatrice". Come è successo in un forum, dove l'hanno definita una tradizionalista. "Proprio così", ride, "D’altra parte, il fatto che non mi sia arruolata nell’esercito è considerato una scelta di sinistra o pacifista. È sorprendente come le persone cerchino qualcosa a cui aggrapparsi, anche un dettaglio, per arrivare a conclusioni più che personali. Lasciatemi essere una musicista, mettendo da parte i preconcetti".

Solo pochi anni fa nessuno avrebbe fatto caso al fatto che sono israeliana ma il mio nome è Cohen

Cohen è il nome da nubile della madre di Riff, sebbene la cantante fosse sposata nel periodo in cui il video di "A Paris" era pronto. "Diciamo che sono bloccata con il mio nome, perché ho iniziato farmi conoscere con questo sulla scena musicale, ben prima di sposarmi. Cambiare nome sarebbe stato strano", dice. "Forse lo avrei fatto. Tutti ce l'hanno con gli israeliani ora. La politica si infiltra in ogni livello, anche in quello più basso, boicottando i bazar, che purtroppo non c'entra nulla con la politica. Solo pochi anni fa nessuno avrebbe fatto caso al fatto che sono israeliana ma il mio nome è Cohen. Molti artisti israeliani esitano davanti all'idea di diventare ambasciatori del proprio paese. Eppure, proprio il fatto di essere israeliani incuriosisce non poco".

A Paris

Il suo album parla molto di identità. Una questione che Cohen, bilingue dal soffice accento francese che spunta fuori quando parla ebraico, fin dall’inizio, affronta sin dall'inizio della sua carriera. "Se dovessi presentarmi, direi solo di dove sono i miei genitori e nonni e che faccio parte della prima generazione di Israele", dice. "Capisco quanto possa essere difficile per la gente immaginare una israeliana la cui nonna parla arabo e veste con vestiti tunisini; per loro o sei israeliana o araba".

Per molti israeliani, questo è ancora più difficile da capire. La politica del melting pot, impiegata per decenni nei confronti degli immigrati, ha fatto del suo meglio per cancellare le diverse caratteristiche di ogni cultura. Ad eccezione dei nomi propri. Le identità binarie hanno lasciato poco spazio all’esplorazione. "Il sionismo in Israele ha cancellato tutte le radici e ha provato a creare una nuova cultura, ma siamo ancora in una sorta di vuoto, ci limitiamo a emulare la cultura occidentale", dice Cohen. "Indosso jeans e magliette, ma non credo che riflettano davvero chi sono. Mia nonna ha indossato dei vestiti come mantelli, gioielli d’oro, come faceva sua madre, sua nonna e la bisnonna. E io, solo perché sono in Israele e indosso jeans e magliette, mi chiedo se andare al Mikveh o no".

Cohen canalizza questo spunto d'introspezione nel suo lavoro. La foto sulla copertina dell’album, uscito in Israele, un bianco e nero di una giovane ragazza con le trecce, è la nonna dei genitori, Fortuna, che venne in Israele dall’isola tunisina di Djerba. Fu la prima foto che hanno fatto di lei, per il passaporto. Cohen racconta, con grande orgoglio, di una donna dallo straordinario talento e carattere, capace di mantenere diverse conversazioni allo stesso tempo, pur non sapendo né leggere né scrivere. "Quando vivevamo a Jaffa, era nostra abitudine comprare una pecora, allevarla per un po ’di tempo e poi portarla dal macellaio quando era Pasqua, o qualsiasi altro grande evento o festa. Ricordo le pelli di pecora appese ad asciugare. Lei era solita coprirmi con una coperta di pecora. Aveva un odore molto forte e decisamente sgradevole", rievoca. "C’è qualcosa di molto più rispettoso in questo piuttosto che nell'ordinare schnitzel per pranzo ogni giorno senza pensare a quello che c'è dietro. Mio padre si vergognava di certi aspetti della nostra cultura, gli sembravano quasi primitivi. Ma eccomi qui, io, israeliana di terza generazione – e penso che la nostra eredità sia qualcosa da ricordare e di cui essere orgogliosi. Fa parte della cultura israeliana. Tutti hanno la propria cultura, e dovremmo riconoscerci e unirci – senza cancellare le nostre radici, cercando di essere occidentali. Parte del nostro lavoro di artisti che vivono in un Israele rimasto agli anni Sessanta è di cercare la cultura israeliana. E di crearla".

Immagini: copertina e testo © pagina ufficiale facebook di Riff Cohen; video (cc) reefcock/youtube

Translated from Riff Cohen: ‘Many Israeli artists become reluctant ambassadors’