Richard Adams e il commercio equo e solidale
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federica rosselliIl movimento Fairtrade ha fatto molta strada dai suoi umili esordi, quando due studenti cominciarono a importare frutta e verdura dall’India. Mentre l’evento Fairtrade Fortnight si svolge in Inghilterra dal 28 febbario all’8 marzo, abbiamo incontrato uno dei suoi fondatori.
Nel 2006, il quotidiano inglese The Independent ha inserito Richard Adams tra le cinquanta persone che «rendono il mondo un posto migliore», perché con Traidcraft ha «avanzato l’idea che consumare possa essere etico». Oltre 7.5 milioni di persone in 59 paesi industrializzati hanno beneficiato della fondazione inglese Fairtrade. Le vendite relative al commercio equo in Inghilterra hanno raggiunto il valore di circa 500 milioni di sterline nel 2007; una banana su quattro vendute in Inghilterra risulta certificata. Per i consumatori, «la marca è un’abbreviazione per dire ”fidati di me”», ci dice l’uomo di 62 anni che abbiamo incontrato al Comitato Europeo economico e sociale a Bruxelles.
Dall’Università alle importazioni dall’India
Con l’intenzione originale di diventare prete, Adams dirottò l’attenzione sullo sviluppo internazionale grazie a una gara di composizione sul tema “come sfamare il mondo” durante gli studi alla Durham University. «Scrissi il saggio insieme ad un mio amico. Non abbiamo vinto, ma l’argomento ha catturato il nostro interesse. La soluzione ovvia era di fare in modo che i produttori, che vendono i loro prodotti a prezzi molto bassi nei loro Paesi, li vendessero a prezzi migliori nei paesi industrializzati, senza farsi derubare dagli intermediari. Ci siamo divisi i compiti: Mike, il mio collega, ha preso un dottorato in Economia Agricola. Io mi sono occupato della parte commerciale, attirando l’attività verso il nord dell’Inghilterra. Dopo quattro anni, abbiamo cominciato a importare frutta e verdura dall’India». Grazie alle spedizioni via aerea a poco prezzo dell’epoca («pochi centesimi al chilo») hanno cominciato a importare quasi dieci tonnellate di prodotti alla settimana, che poi consegnavano ai mercati all’ingrosso nei pressi di Londra. Quando i prezzi del petrolio salirono alle stelle, non fu più fattibile importare prodotti freschi. Tuttavia Tearcraft, la prima compagnia per il commercio etico, era passata all’artigianato, con prodotti di cotone, legno e iuta. Un’alternativa perfino migliore, dal momento che, a differenza dei beni alimentari, tali articoli vengono prodotti per la maggior parte da donne. «Fu una perfetta opportunità di fornire alle donne un lavoro, e lo status di lavoratore di reddito».
«Beh, se questo prodotto fa parte del commercio equo, perché tutto il resto no?»
Cambiamenti in Fairtrade
Eppure, il movimento Fairtrade degli esordi era molto più motivato dal punto di vista politico. «Ora preferiamo concentrarci sulla povertà e sull’aiuto del prossimo, non cambiare il sistema. Ciò non significa che il movimento non abbia influenza politica, ma per avere successo abbiamo dovuto minimizzare alcuni dei presupposti con cui siamo partiti». Uno dei suoi punti di forza è «l’estensione del movimento, la sua accessibilità». Detto questo, è importante che il principio guida resti: «il guardare a cosa realmente mantiene le persone povere, al sistema di commercio stesso». Sì: il marchio del commercio equo è approdato nella cultura mainstream (le compagnie a lungo considerate come poco reattive ai problemi di responsabilità sociale, come la Nestlé, lo utilizzano!). «Buon per loro!», ride Adams. «Rischiano parecchio a esporre i loro clienti al concetto: potrebbero domandarsi: “beh, se questo prodotto fa parte del commercio equo, perché tutto il resto no?”». Adams non si preoccupa più di tanto della credibilità del marchio. «Per la Nestlé è stato visto come un tentativo superficiale di migliorare la loro immagine. Ma vale la pena di correre il rischio che ciò accada realmente, o che la gente ci caschi, in vista del potenziale beneficio, per il marchio, di essere sostenuto da una compagnia di tale calibro».
Consumismo rinnovabile?
Fairtrade non è esente da critiche. Ad esempio, rispetto al fatto che terrebbe i produttori intrappolati in un sistema di commercio non rinnovabile, invece di incoraggiarli a diversificare. «Alcuni supermarket inglesi comprano banane del commercio equo da piccoli produttori delle Winward Islands», riflette Adams. «Questo tipo di commercio non potrà mai competere con la produzione continentale sudamericana». Le sovvenzioni al commercio equo dovrebbero essere gradualmente ritirate, andrebbero cercate delle alternative, «ma il problema è che Fairtrade non ha modo di farlo». Aiutare le persone a diversificare è impegnativo e richiede tempo, il contributo delle infrastrutture, attività educative e addestramento. «Tutto ciò che possiamo fare è fornire un mercato ai produttori, fino a quando non salterà fuori un’alternativa». Data la corrente crisi economica, cosa si può dire sulla responsabilità di Fairtrade? «Questa situazione è essenzialmente colpa nostra: abbiamo consumato troppo e dato troppo valore alle cose. Il movimento ha bisogno di essere integrato a un nuovo approccio sull’economia rinnovabile. Parte dello sviluppo rinnovabile è il consumismo rinnovabile». E cosa si può dire sul potenziale conflitto di interessi con l’impegno ambientalista nei luoghi in cui interi paesaggi sono stati ristrutturati, le piantagioni dovrebbero essere soggette ai criteri di Fairtrade? «Bisogna accettare il fatto che possono presentarsi anomalie e problemi che andranno affrontati. Alla fine, ci saranno estremi dove si dice che non intendiamo coltivare e esportare prodotti con un’impronta al carbonio particolarmente alta».
«Ai giovani che tentano di lanciare una nuova idea commerciale serve grande entusiasmo» consiglia Adams. «Ma si deve in qualche modo associarlo a un certo grado di esperienza e abilità», nel suo caso, guadagnato lavorando, per cominciare, alle dipendenza di qualcun altro. «Le esperienze vanno fatte in modo tale da non raffreddare il proprio entusiasmo», aggiunge. Dopotutto, lui è riuscito a combinarli entrambi.
Translated from Richard Adams, Britain's father of fair trade