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Quel “cin-cin” che fa arrossire

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Adriano Farano

Immagina la scena. Sei in un bar-karaoke insieme ai tuoi colleghi giapponesi ed hai appena finito di intonare un vecchio successo dei Beatles. Decidi quindi, da buon inglese (nazionalità dell’autore ndr), di proporre un brindisi ai tuoi commensali. Ma il tuo “cin-cin” viene accolto da colpetti di tosse, imbarazzo e tante risatine. Nel mondo anglofono brindare col classico “cin-cin” ti fa sentire importante, elegante e dignitosamente brillo. Prova invece ad usare quest’espressione nel paese del Sol Levante e ti ritroverai lost in translation. Sì, perché “cin-cin” è la parola usata dai maschietti giapponesi per il loro... ahem...

Ma l’origine dell’espressione – usata anche in francese (tchin tchin) e in italiano – affonda le sue radici in Cina. Nel Diciottesimo secolo la parola ts’ingts’ing, che in cinese vuol dire “saluti”, era udita tra i marinai cinesi dei porti gestiti dalle compagnie di Sua Maestà. I nostri mercanti portarono così l’espressione in patria insieme alle mercanzie acquistate. Fu durante il loro lungo viaggio di ritorno e grazie ai tanti calici innalzati che l’espressione divenne poi il tanto familiare “cin-cin”.

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Translated from Between blushes and bloody marys