“Quando si ha a che fare con un bene confiscato, bisogna farsi valere: è una questione di credibilità rispetto a ciò per cui si combatte” (3/3)
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Letizia MorosiniUltimo episodio della nostra serie “Passaggio di proprietà: quando la società civile italiana si insedia nella mafia”, l’indagine di Cafébabel sui cittadini che reinvestono i beni della criminalità organizzata confiscati dalla giustizia. In tutt’Italia, delle associazioni hanno trovato dei reinvestimenti di beni che in passato appartenevano alla mafia, ma i volontari e le associazioni deplorano la mancanza di supporto delle autorità pubbliche.
Sono appena le 07:00 del mattino e c’è tanto da fare nel reparto produzione. Una ad una, le piccole sfere bianche affondano nella salamoia, appena modellata dalla macchina. La seconda consegna di mozzarelle del mattino sarà presto pronta a partire per rifornire ristoranti e alimentari di Roma e non solo. Massimo Rocco osserva le gesta esperte dei tre lavoratori con l’aria sicura di chi sa che tutto sta andando bene.
Il direttore della cooperativa agricola « Le Terre di Don Peppe Diana », a Castel Volturno, a qualche chilometro a nord di Napoli comincia sempre la sua giornata molto presto. Da 10 anni, è uno dei principali promotori di questo progetto di impresa sociale di un bene confiscato ad un ex capo della Camorra.
Questo tipo di iniziativa è resa possibile grazie ad una legge del 1996 e l’uso sociale dei beni confiscati (USBC) è uno degli strumenti più innovativi del movimento antimafia in Italia, che comporta numerosi benefici per le comunità locali (vedi gli episodi precedenti di questa serie).
Sebbene la grande maggioranza dei beni vengano usati per accogliere servizi pubblici gestiti dalla collettività (scuole, centro amministrativo, sicurezza civile, ecc.) in tutto il paese, nel 2022 si possono contare secondo la rete Libera poco meno di 1000 esempi di progetti (di cui più di due terzi situati al sud e in Sicilia) aventi come scopo l’inclusione, l’economia cooperativa e sociale, i servizi alla persona, il sostegno alla gioventù, la rigenerazione urbana e la difesa dell’ambiente gestiti dal “Terzo settore” (che raggruppa le imprese private a scopo non lucrativo e le associazioni d’interesse generale).
”Superata la fase delle buone intenzioni, bisogna farsi valere, soprattutto quando si ha a che fare con un bene confiscato: è una questione di credibilità rispetto a ciò per cui si combatte”, ha sottolineato Massimo Rocco.
Nel caso di un progetto imprenditoriale, come quello di una cooperativa, egli aggiunge:”Prima di tutto, si cerca di avere un’impresa che funzioni e che sia solida. La coerenza tra parole e fatti è necessaria, non vi è altra scelta possibile”
Tuttavia, nella vita quotidiana, il lavoro e la partecipazione dei cooperatori, dei dipendenti e militanti associati a tutti questi progetti vengono a volte resi difficili e sono limitati dalla mancanza di mezzi, dagli oneri amministrativi o ancora da problemi legati alle risorse umane. I soggetti coinvolti, arricchiti da un’esperienza di oltre due decenni, hanno ora la capacità di far presente le loro mancanze per migliorare ancora di più il loro impatto.
"Spesso lo stato mette a disposizione la proprietà, poi… ciao !"
Molto spesso le procedure amministrative richiedono sempre più tempo, a volte più di 10 anni. ”Passa troppo tempo fra il sequestro, la confiscazione definitiva e infine la fornitura. I beni si degradano, vengono abbandonati e anche disprezzati: perdono valore, perché alcuni vogliono tutto il possibile dai beni confiscati”, spiega Tina Cioffo giornalista e attivista, ricordando come esempio la casa confiscata accanto la Casa Don Diana, a Casal di Principe.
”Sono stati rubati tutti i cavi elettrici e il marmo sulle scale.. Avremo bisogno di molto denaro per rendere questa casa abitabile”, si rammarica Tina Cioffo.
Anche se non sempre accade, non dovrebbero esserci più scorciatoie nelle procedure, come suggerisce Elena Fiorini, avvocato e vicesindaco di Genova tra il 2012 e il 2017.”In un mandato di cinque anni, sono necessari 4 anni per fare le proprie ricerche e non resta che qualche mese per la realizzazione”, deplora l’ex-sindaco, incaricata della gestione dei beni confiscati e messi a disposizione dal comune.
Inoltre, mancano i finanziamenti pubblici. ”Spesso mette a disposizione le proprietà e poi.. ciao!”, riassume Renato Natale, il sindaco di Casal di Principe. Quando una sovvenzione è bloccata, copre a malapena i finanziamenti delle opere infrastrutturali o del ripristino e la maggioranza dei comuni. Bisogna quindi cercare dei fondi altrove, siano questi via fondazioni private, campagne di donazione o prestiti bancari.
Una proposta sarebbe quella di finanziare i progetti usando il “cash” confiscato alla mafia: queste risorse finanziarie illecite vengono attualmente versate nelle casse dello Stato, ma restano senza attribuzione particolare oppure alimentano i fondi di risarcimento delle vittime.
Come viene spesso ricordato, la questione delle risorse umane è centrale come tutto ciò che avviene nel mondo associativo. I progetti di USBC nascono senza un contesto grazie al volontarismo di gruppi di persone, il che significa che numerosi beni restano ancora e spesso inutilizzati, a volte per mancanza di investimenti da parte dei titolari.
La retribuzione delle risorse umane può rappresentare un vero ostacolo per queste strutture; esse operano grazie a molti volontari e i salari di alcuni impiegati sono più alti, il che può vincolare le attività e le assunzioni.
La formazione rappresenta un ulteriore ostacolo, come ha sottolineato Maria-Laura di Biase, impiegata del Comitato Don Diana a Casal di Principe, la quale si occupa dell’animazione del centro culturale associato, ma coordina anche numerosi progetti con operatori locali di USBC. Ha affermato che, generalmente, i titolari dei progetti si formano da soli o grazie al sostegno di chi ci è già passati, via mentoring. “Sarebbe più efficace se esistessero dei programmi formativi di tipo universitario per futuri gestori, contribuendo in tal modo alla riflessione su scala nazionale, arricchita da tutte le esperienze condivise”.
”C'è una vera riflessione da portare avanti perché troppi progetti si fermano nel giro di due anni”.
Tutto ciò sarà valido anche per gli amministratori pubblici (in seno alle collettività che supervisionano la gestione) che si vedono attribuire mandati senza formazione preventiva, come Elena Fiorini, ex-consigliera municipale a Genova, che ha raccontato di aver dovuto trovare lei stessa la maggior parte delle risorse e dei consigli per raggiungere il suo obiettivo.
D’altronde, la scelta politica di impiegare persone con profili atipici (come disabili o ex-detenuti) richiede competenze supplementari in termini di formazione, affiancamento, pianificazione del posto di lavoro e, secondo testimonianza di alcuni, i contributi pubblici non ne sono sempre all’altezza.
A causa di tutto ciò la continuità dei progetti non è sempre garantita. Infatti, se il progetto viene proposto da individui o da gruppi (come un team comunale), la revoca di quest’ultimo può mettere in discussione tutto il progetto se non vi è continuità da parte di altri. ”Che succederà dopo la partenza di Renato Natale?”, si preoccupa Tina Borzachiello, madre di famiglia il cui figlio autistico è stato accolto alla Forza del Silenzio, una struttura situata in un immobile confiscato a Casal di Principe.
In alcuni casi, si può notare una dipendenza dalle autorità pubbliche, che sono le uniche a poter effettivamente decidere se far avanzare o meno un progetto in modo arbitrario. ”In un comune vicino, il nuovo sindaco ha voluto rimuovere la casa [messa a disposizione] ai genitori di un bambino disabile.. è stata necessaria una rivoluzione [per mantenerla]!”.
Un impegno costante
Inoltre, l’USBC può avere successo solo se le condizioni di sicurezza sono garantite, perché alcuni comuni, i loro politici o imprenditori locali, sono ancora sotto l’influenza della mafia. ”Un immobile deve essere “libero” in un contesto a sua volta “libero”, altrimenti non funziona”, ricorda Mauro Baldascino, esperto e attivista antimafia.
Inoltre, lo Stato deve essere presente in modo continuo tramite la giustizia e le forze dell’ordine. In questo modo, degli immobili confiscati nel quartiere della Maddalena nel centro storico di Genova sono stati per molto tempo luoghi di attività illegali, mentre il leader di queste attività andava in giro per le sue “proprietà” anche dopo la sua condanna.
”In realtà, la polizia non aveva davvero voglia di fare qualcosa a proposito. Se non vi è l’ordine sociale, i mafiosi tornano”, afferma Andrea Picardo, un commerciante vicino a uno di questi immobili e presidente Civ Maddalena.
Nonostante l’innegabile successo, a Casal di Principe gli attivisti antimafia non dimenticano che la mafia non è completamente scomparsa. Nell’autunno 2021, il Comitato Don Peppe Diana è stato preso di mira da proiettili, mentre Massimo Rocco ha subito regolarmente intimidazioni online o sul posto e furti di strumenti nella zona della cooperativa. ”Siamo sempre spaventati, ma gestiamo meglio la paura perché non siamo più soli”, afferma tuttavia Tina Cioffo.
Infine, comunicare e far conoscere sempre più la legge e i progetti d’uso sociale dei beni confiscati è una delle sfide che richiede impegno costante da parte di chi difende questo concetto, ciò avviene soprattutto tramite un’intensa attività di comunicazione per promuovere i prodotti confezionati su dei territori ”liberi dalla mafia”, che siano le mozzarelle di Massimo Rocco, le conserve della cooperativa di Sessa Aruca che propone cesti regalo (l’operazione ”Pacco alla Camorra”), o ancora le mascherine fabbricate dalle persone autistiche de la Forza del Silenzio…
Perché ancora dopo 25 anni una grande parte della popolazione e delle amministrazioni italiane non conosce questo dispositivo.
”I media dovrebbero parlarne di più, in televisione non si sente mai parlare davvero dell’uso dei beni confiscati. Al contrario, la cronaca nera sulla mafia fa scalpore..”, sottolinea Gaetano Paesano, impiegato della cooperativa agricola.
“Ogni volta che devo spiegare alle persone cosa facciamo qui, in un immobile confiscato, mi rendo conto di quanto queste pensino che la polizia sia l’unica ad agire. A quel punto spiego loro che facciamo cose a cui non pensavano neanche e con delle persone vere”.
Questo articolo è l’ultimo della nostra serie, "Passaggio di proprietà: quando la società civile italiana si insedia nella mafia".
Questo progetto è stato realizzato in collaborazione con il ricercatore Fabrice Rizzoli nell’ambito di un progetto di ricerca [COESO] ](https://coeso.hypotheses.org/)(Collaborative Engagement on Societal Issues) un punto di incontro tra le scienze umane e sociali e le ricerche partecipative. COESO è coordinato dalla Scuola di studi superiori in scienze sociali finanziato dal programma di ricerca europea Horizon 2020.
Per maggiori informazioni sul backstage:
Foto di copertina: Massimo Rocco ©Mathilde Dorcadie
Translated from « Quand on gère un bien confisqué, il faut faire ses preuves. C’est une question de crédibilité face à ce qu’on combat » (3/3)