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Proxima estación : Esperanza ?

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Adriano Farano

Le ossessioni dei paesi candidati non sono più giustificate. Ma potrebbero trasformare, virtualmente, Mosca in una minaccia.

La coraggiosa decisione dell’asse Parigi-Berlino di utilizzare il diritto di veto alla NATO, poi di appoggaire una politica in favore della pace all’ONU, pone adesso la questione del rispetto o meno di questa decisione da parte dell’amministrazione Bush. Possono gli Stati Uniti continuare quella politica detta del “cowboy”, secondo la quale il primo che spara detta la legge a “world city”? Il dibattito resta in sospeso.

Nel frattempo si succedono firmatari di petizioni, manifestanti e passività... “get up stand up!”, cantava Bob Marley... Fate la vostra scelta, mesdames et messieurs, rien ne va plus!

Oro blu e oro nero

Il petrolio è la ragione più ovvia di un intervento degli Stati Uniti in Iraq. In effetti, negli ultimi quattro anni, gli americani hanno accusato un aumento del 10,4% del loro consumo di petrolio. Un consumo che è aumentato del 3,6% per l’Europa nello stesso periodo. Certo, è difficile pensare in termini di sviluppo sostenibile in queste condizioni ! (1).

Tuttavia la situazione in Iraq aveva, fino ad ora, tutto per piacere. Gli Stati Uniti, infatti, ricevevano più del 75% del petrolio iracheno scambiato sul mercato mondiale da quando, sotto la presidenza Clinton, il programma « oil for food » è stato messo in piedi.

Ma, l’11 settembre, la situazione è cambiata. L’Arabia Saudita, prmo produttore dell’OPEC col 25% delle riserve mondiali, e fornitore cruciale degli stessi USA, si rivela essere un alleato poco fedele, compromesso col nemico. Da quel momento controllare l’Iraq appare come una soluzione per la politica americana, per cercare l’indipendenza energetica rispetto a Riad.

Questa soluzione presenta anche dei sicuri vantaggi quanto alla stabilizzazione politica della regione. Con la questione israelo-palestinese chiusa in un’impasse, un Iraq alleato, e forse sotto mandato statunitense rafforzerebbe i margini di manovra di Washington…

I disastri che l’embargo ha comportato hanno toccato più il popolo iracheno che l’esercito o l’entourage di Saddam. L’atteggiamento americano, fino ad ora, è percepito in loco più come una politica della carestia che come una vera liberazione (3).

Ma l’Iraq è anche un giacimento di Oro blu. Situato tra il Tigri e l’Eufrate, è un’importantissima riserva d’acqua in Medio Oriente. Cosa non indifferente in un mondo in cui un abitante su tre non ha accesso all’acqua potabile, e in una regione per la quale proprio l’acqua sarà la questione cruciale secondo le proiezioni del 2025 (4). Inoltre, non è forse l’acqua irachena che irriga il Nord dell’Arabia Saudita?

« Il dittatore » nel paese delle « mille e una notte »?

I giornali americani, in seguito alla moderazione incoraggiata soprattutto dalla Francia (5), denunciano l’accecamento quanto al regime al potere. Nella stampa d’oltreoceano Saddam è descritto come un « Hitler 2 », e i francesi sono dipinti come gente « senza fegato », incapaci di combattere una guerra. Hanno forse dimenticato l’invio di cinquemila militari francesi in Kossovo ? (6)

Se è chiaro che Saddam Hussein è un dittatore, che si serve del suo popolo come di uno scudo umano, utilizza le armi chimiche contro i curdi iracheni, è anche vero che cedere ai paragoni è semplicista. In effetti, come spiegare altrimenti il sostegno apportato dagli stessi americani durante gli anni ’80, quando il nemico era l’Iran?

Dimentichiamo forse che gli americani, che avevano l’occasione di rovesciare il regime durante la seconda Guerra del Golfo, avendo chiamato alla ribellione, hanno fatto marcia indietro proprio quando si trattava di dare le armi ai ribelli? Dei ribelli che erano riusciti a prendere il controllo della maggior parte del territorio. Ma si trattava di curdi e sciiti… Non dimentichiamo però poi seguí un massacro di 100.000 ribelli (7).

Ma se guerra sarà, questa dovrà essere misurata. La questione è delicata. Non basta finire dall’oggi al domani una politica cominciata nel 1962. E un intervento nucleare non è certo la soluzione come ha dichiarato Edward Kennedy, senatore del Massachusetts (8). D’altra parte quali sarebbero le giustificazioni? asse del male? minaccia internazionale? il problema, à dire la verità, sarebbe piuttosto il Pakistan a credere Ron Paul, rappresentante repubblicano al Congresso, e la CIA.

L’umiliazione che porta con sé una guerra, poi, può avere delle ripercussioni impossibili da calcolare. E’ lì che entrano in gioco « le mille e una notte ». Gli immaginari collettivi – come dimostrato da Banedict Anderson – sono un problema essenziale. Bagdad – non lo dimentichiamo – è una città mitica, simbolo dello splendore passato. Nei tempi in cui Harun Al Rashid faceva brillare la civiltà araba fino all’Occidente, corrispondendo con Carlo Magno. E’ anche il paese dei luoghi sacri dello sciismo. Mi stupisco, tra l’altro, di quanti pochi monumenti iracheni siano iscritti al patrimonio mondiale dell’umanità (9). Bombardare Bagdad vuol dire toccare i simboli. Ciò non vuol dire che non lo si debba fare a priori, ma che lo si debba fare solo quando sia giustificato, se non vogliamo che il conflitto si infiammi.

La speranza : l’esilio di Saddam

Se la guerra è evitata sarà forse grazie all’esilio di Saddam. La posta in gioco di una simile eventualità deve essere tenuta in conto. Non possiamo rimandare la questione irachena a tempo determinato. La pressione internazionale non deve affievolirsi: con l’ONU che rinforzi la presenza degli ispettori, gli stati che giochino il loro ruolo e le opinioni pubbliche che si mobilitino contro Saddam.

Tuttavia la democrazia non si impone. Si tratterebbe di un grave errore, soprattutto in Iraq. E’ sulla base di una misura della Società delle Nazioni e in virtù del “diritto dei popoli di disporre di sé stessi” che gli inglesi hanno ottenuto un mandato sull’Iraq nel 1920. E questo mentre gli ayatollah chiamavano le popolazioni sciite (in maggioranza) a lottare contro gli inglesi, preferendo uno “stato islamico”, anche sunnita cioè ottomano, piuttosto che occidentale.

Sarebbe frainteso, oggi, nel 2003, che l’ONU commetta un errore simile adottando una misura per la guerra contro un popolo e avendo come ultima conseguenza quella di mettere alla testa del paese un qualsiasi fantoccio al posto di Saddam. L’alternativa può venire solo dall’interno, anche se i fattori esogeni hanno un ruolo da giocare.

Disordine nella « Vecchia » Europa: errori di casting e unanimità

L’Europa ha esibito le sue divisioni sulla guerra. Delle divisioni che hanno mostrato la sua debolezza ma anche la ricchezza dei dibattiti che è capace di alimentare. Al di là delle divisioni è un’Europa complessa che vede il giorno. Un’Europa che vuole aprirsi ad Est ma che a volte resta vittima di un calendario chimerico! Siamo forse più europei dopo la promessa fatta, la firma di un trattato? I legami tra i popoli non si impongono, si vivono, si alimentano. Possiamo dire per questo che l’allargamento negoziato è vittima di un errore di casting ? Ad alcuni livelli forse sí.

Ciò è dovuto da un lato ad un’Europa che non ha saputo dimostare come, nell’Unione Europea, prosperità e sicurezza fossero compatibili. Oggi l’UE si occupa solo della prima e tralascia la seconda. I paesi candidati non si aspettano alcuna sicurezza dall’Europa, ed è per questo che si volgono verso gli USA e la NATO. La Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), se fosse stata più sviluppata, avrebbe potuto evitare le dissonanze europee.

Ciò è dovuto, tra l’altro, ai futuri entranti. Per loro la Russia è ancora la vecchia Unione Sovietica : è per questo che si volgono verso Washington. Ma un simile atteggiamento indica solo la loro incapacità a pensare la sicurezza nel nuovo contesto del ventunesimo secolo. La sicurezza è oggi il rispetto dell’altro e l’apporto della sua utilità in un rapporto reciproco. Volgendosi verso gli Stati Uniti, sono i vecchi paesi dell’Est che creano la loro propria minaccia russa perché presentano la Russia come il nemico. Creare un rapporto europeo e mantenere il dialogo con Mosca è il solo modo per loro di stabilire una vera sicurezza, cioè una sicurezza che riposi sulla mutua fiducia dei popoli e che eviti gli onerosi indebitamenti (consecutivi all’adesione alla NATO) che costituiranno una minaccia all’interno di questi paesi.

E’ costruendo dei legami superficiali, tecnici, unicamente giuridici che rischiamo di vedere, domani, l’Europa bloccata. Per evitarlo, l’unica soluzione possibile è la creazione di rapporti di fiducia, in un’Europa aperta sul mondo e cosciente di sé stessa (10).

Note :

(1) Il titolo di questo articolo è quello di un album di Manu Chao.

(3) cfr. Il n°5 di Alternatives Internationales.

(6) articolo publicato dalla rivista Ramsès 2003.

(7) sempre secondo l’articolo di Alternatives Internationales.

(10) per un simile approccio della sicurezza cfr. Bui Xuan Quang, La Troisième Guerre d’Indochine, l’Harmattan, 2000.

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