Perché abbiamo bisogno della Rivoluzione di Russell Brand
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Francesco ChiaroRussell Brand è quel tizio che è passato dalle droghe allo yoga. Adesso si è dato alla "Rivoluzione". Ecco perché dovremmo ascoltare questo predicatore dall’alto di Beverly Hills.
Appena Revolution di Russel Brand è uscito in Gran Bretagna, molti cittadini già piuttosto incazzati sostenevano quanto questo libro fosse completamente folle. Incuriosito dalla rabbia indirizzata contro le nuove idee di Brand, sono andato a vedere un po’ cosa aveva da dire questo “anti-rivoluzionario”. Ma prima di perderci in elucubrazioni, chi è Russel Brand? Questo doppione di Willy Wonka è in verità un uomo schietto e di spirito con un raro talento per far notare quelle cose che alle altre persone non interessano (ad esempio, è stato lui a ricordarci che Hugo Boss produceva uniformi naziste). Ha anche una tendenza a mettere tutto in relazione con il suo passato turbolento nell’Essex: droghe, zero soldi, zero fama. Se si guardano i suoi video su Youtube, questo lato del personaggio diventa però piuttosto trito e ritrito e non siamo qui per parlare di questo.
Nonostante sia della merda
La cosa più interessante non sono i contenuti di Revolution, ma quello che la gente pensava a riguardo prima che il libro fosse arrivato sugli scaffali delle librerie. Anche se si rivelerà essere un presuntuoso pezzo di sterco scritto per motivi terapeutici dall’autore, quello che fa ribollire il sangue nelle vene sono le ridicole critiche che sono state fatte di recente.
Quando Russell parla di politica, spesso salta fuori la sua idea che votare non sia altro che un atto di conformismo verso un sistema che non funziona. Secondo il suo punto di vista, le classi meno abbienti vengono completamente dimenticate in parlamento. Pertanto finché i rappresentanti dei partiti non si interesseranno maggiormente all’ambiente, non saranno più egualitari e più democratici nelle politiche che propongono, Brand consiglia di non votare.
«La cosa più idiota»
John Lydon, l’ex-cantante dei Sex Pistol, è d’accordo su una cosa: «Le opzioni fanno schifo» – tra Laburisti, Convervatori e adesso il "glorioso" Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP). Viste le premesse, quindi, secondo Brand non ha senso andare a votare. Lydon, invece, sostiene il contrario e descrive la proposta di Brand come «una cazzata pazzesca». Secondo lui le persone dovrebbero votare per «fare la differenza». Frena Lydon. Di fronte a queste opzioni disgustose, come si può fare la differenza? In un sistema bipartitico come quello della Gran Bretagna o degli Stati Uniti, abbiamo già visto che a volte i Laburisti possono essere peggio dei Conservatori. È quindi impossibile predire prima del voto quale dei due partiti farà più tagli sull’assistenza sociale o mobiliterà l’esercito con più frequenza. Stando così le cose (e Lydon non può non essere d’accordo), le persone non possono cambiare nulla attraverso il voto.
Penso che l’assenteismo professato da Russell Brand non sia un appello all’indolenza, come invece sostiene Lydon. Al contrario, è un modo per segnalare il vero problema, quello stesso problema che Lydon vuole apparentemente ignorare, crogiolandosi in un voto occasionale. Da uno che cantava Anarchy in the UK, ci si aspetterebbe una presa di posizione meno conformista.
Potreste dire che votare per il male minore sia comunque il miglior modo di risolvere la faccenda e non me la sento di dissentire. Ma personaggi come Lydon non fanno altro che mentire a se stessi se vanno a votare e poi ignorano tutto il resto.
Troppo tardi per la rivoluzione?
David Runciman, uno studioso di teoria politica di Cambridge che scrive per il The Guardian, ha detto che Revolution è arrivato troppo tardi. «Un anno fa vivevamo nel mondo di Russel Brand. Adesso viviamo in quello di Douglas Carswell». Ora io mi chiedo, ma che vuol dire? Douglas Carswell è stato eletto come primo membro dell’UKIP all’interno del parlamento britannico, ma ciò non cambia nulla, per adesso. Significa che dovremo semplicemente stare a sentire, di tanto in tanto, i commenti sgradevoli di un tizio che siede a Westminster. Se l’anno scorso era l’hanno di Russell Brand, quest’anno lo è ancora di più. Le persone sono arrabbiate per mille motivi: le banche vengono salvate con i soldi dei contribuenti, vengono fatti tagli al welfare (basta entrare in un pub e pronunciare la parola austerity per capire a che punto siamo arrivati), le rette universitarie aumentano e via dicendo. Anche se queste persone non si fanno vedere per strada durante le manifestazioni, ciò non significa che non siano arrabbiate. A volte, basta una scintilla per scatenare un incendio.
Russell Brand è presuntuoso. Decisamente, ma questo significa che non dovrebbe affrontare le sofferenze che molte persone stanno vivendo? Liquidarlo dicendo che è un idiota o che il libro è uscito nel momento sbagliato è un colpo basso. Sono proprio le persone come John Lydon e David Runciman a farmi capire che abbiamo davvero bisogno della Rivoluzione di Russel Brand.
Translated from Why We Need the Russell Brand Revolution