PEGIDA: Perché proprio a Dresda? (Parte 2)
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Silvia GodanoPegida si fa sentire. E il respiro non si trattiene soltanto a Dresda. Osservazioni sullo Stato, sulla società civile e sulla cultura politica nella capitale della Sassonia.
Parte II: continua
All'ombra del faro
Tra le persone del luogo e la "grande politica" si è creata una vera e propria voragine. Finora, nel panorama mediatico regionale era praticamente impossibile imbattersi in un discorso aperto e capace di ispirare discussioni riguardo alla politica in Germania e nel resto del mondo. Tutte le discussioni sono limitate da quel quadro quasi dicotomico nel quale s'individuano due sfere pubbliche ben distinte. Molto spesso questo non salta all'occhio, ma a Berlino quasi nessuno legge una rivista regionale dell'est. D'altro canto, i corrispondenti di quotidiani nazionali stanziati nell'est non avevano in passato una grande eco.
Nonostante ciò, l'attuale conflitto non è il primo nel quale la profondità della voragine diviene palpabile: parliamo di qualcosa che era già emerso dopo l'attentato dell'11 settembre 2001 alle torri gemelle. Mentre la Sassonia si dichiarava ufficialmente concorde con la linea di "solidarietà assoluta" proclamata dal governo, alcuni insegnanti esprimevano opinioni diverse durante le lezioni: per questo vennero denunciati e dovettero subire provvedimenti disciplinari. Le aperte espressioni di dissenso, così come la discussione di diverse prospettive politiche - elementi fondamentali in una democrazia aperta al dialogo - non trovarono spazio nella sfera pubblica sassone.
Immobilismo
C'è un vecchio modo di dire che descrive le tre metropoli sassoni: a Chemnitz si produce, a Lipsia si commercia e a Dresda si consuma. Nella sua storia di città, di residenza e di presidio, Dresda ha sviluppato un particolare rapporto con lo Stato e l'autorità: tutte le cose buone arrivano dal principe, dallo Stato appunto. Una posizione critica, o una presa di distanza nei confronti dello Stato e dell'autorità non ha mai preso piede a Dresda. Spiriti critici e innovatori si sono sì riuniti nel corso degli anni, ma non hanno mai avuto modo di emergere, e questo a causa dell'immobilismo della società politica sassone. L'esempio più noto è forse quello del movimento espressionista "Die Brücke", nato a Dresda, ma presto costretto a lasciare la città a causa dell'incapacità dell'ambiente di cogliere e sostenere il movimento. Né la città né l'università - i giovani artisti erano proprio studenti di architettura all'allora politecnico di Dresda - sono state capaci di coltivare questa eredità creativa.
Quello che affascina e incuriosisce molti osservatori è che, da sempre, a Dresda la gente va a votare (in media si registra il 10% in più di partecipazione elettorale rispetto a Lispia), ma non scende in strada. Gli abitanti di Lipsia, al contrario, sono molto più rapidi nel salire sulle barricate, ma si recano poco alle urne. Fu così nel 1989, ma anche quando si è trattato di contrastare le manifestazioni neo-naziste. Allora "Lipsia ha preso il suo posto" (il motto in tedesco era „nimmt Leipzig Platz“) e i neo-nazisti si sono dovuti trasferire a Dresda, dove hanno potuto fare indisturbati i loro comodi per un periodo di tempo decisamente più lungo. Senza dubbio Dresda è un faro luminoso nella Germania dell'est: parliamo di sviluppo economico, scienza, cultura, turismo... Addirittura è la città tedesca con il maggior numero di nascite. Ma la domanda è: questa tendenza positiva è capace di influenzare radicalmente la città intera e la regione? Evidentemente, no.
Dopo la caduta del muro, la Sassonia aveva proprio puntato sul principio del faro. La conseguenza? Dresda è al top in alcuni settori e la popolazione cresce a vista d'occhio, ma a mano a mano che ci si allontana dal capoluogo, si avverte una progressiva decadenza. Se il centro è grasso, le periferie devono tirare la cinghia. I bambini che nascono in sovrannumero a Dresda sono evidentemente quelli che mancano nelle campagne. Il risultato? Gli affitti in città hanno raggiunto prezzi folli, scuole e asili devono essere creati dal nulla mentre nelle campagne viene chiusa una scuola dietro l'altra e il mercato immobiliare sta collassando. Lo sviluppo economico e sociale ha creato delle ampie zone d'ombra che, nella gioia travolgente del successo, sono state ignorate per lungo tempo.
Dresda dipinta come vittima
Un numero consistente degli attivisti di PEGIDA arriva dall'ambiente dei fan della SG Dynamo Dresden, dove c'è tutt'ora una frangia xenofoba e apertamente favorevole alla violenza. Ogni volta che la Dynamo Dresden subisce una multa, a causa di qualche sgarro dei tifosi violenti, questi reagiscono con continui richiami alla «mafia della federazione tedesca del calcio»: Dresda, in poche parole, sarebbe una vittima della stampa e delle associazioni.
Quando, nel 2004, l'UNESCO nominò la valle dell'Elba "patrimonio dell'umanità", la soddisfazione fu grande, ma molti trascurarono il fatto che un simile titolo implicasse anche determinati obblighi. Così, quando a soli 5 anni di distanza il comitato dell'UNESCO revocò il titolo a causa dell'edificazione di un ponte sovradimensionato, il Walsschlössenbrücke, gli abitanti di Dresda caricarono l'UNESCO di insulti. Peraltro, la Corte Costituzionale Federale, pur non avendo ufficialmente vietato la costruzione del ponte, aveva avvisato delle possibili conseguenze di una simile opera. Ad ogni modo, pareva evidente che i poteri oscuri si fossero accaniti sulla città. Un'altra volta.
L'origine di questo mito di Dresda quale vittima del destino è chiaramente riconducibile ai bombardamenti del 13 febbraio 1945: il ricordo dei bombardamenti venne distorto, prima dai nazisti e poi dal partito socialista SED. Il numero delle vittime venne spudoratamente gonfiato da una propaganda che voleva enfatizzare gli eventi di Dresda, anche rispetto alle distruzioni - spesso ben più gravi - di altre città d'Europa, perpetrate dalle bombe tedesche, e poi anche dagli Alleati. I neonazisti di tutta Europa strumentalizzarono il mito di Dresda come città-vittima per perseguire i propri interessi. I cittadini e i politici di Dresda, per lungo tempo - troppo tempo - non fecero assolutamente nulla per opporsi a questa strumentalizzazione. La propaganda che enfatizzava il ruolo di vittima incarnato dalla città di Dresda, ebbe i suoi risultati: per anni, la città fu assolutamente incapace di confrontarsi con il suo passato nazista e comunista. Il mantra delle vittime - i cattivi sono sempre gli altri - ha allontanato la possibilità di qualsiasi riflessione critica sul passato e sul presente. Ora che le critiche piovono sulla città da tutta la Germania e che le accuse di ambivalenza gravano su Dresda, in molti sembrano veder confermato il ruolo di vittima del passato. Si tratta di un circolo vizioso, che va spezzato a tutti i costi. .
Questo articolo è stato pubblicato su Cafébabel grazie a una licenza Creative-Commons concessa da Dietrich Herrmann / Heinrich-Böll-Stiftung.
Qui la prima parte. Appuntamento al prossimo lunedì con la terza (e ultima) parte di PEGIDA - Perché proprio a Dresda?
Translated from Pegida: Warum gerade Dresden? (Teil 2)