Parli la mia lingua?
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antonio del giudice e federicoI bambini di Malta iniziano ad imparare una lingua straniera a cinque anni, le scuole in Finlandia insegnano fino a quattro differenti lingue straniere e l’80% dei danesi parla con scioltezza un’altra lingua. E poi ci sono gli inglesi…
I bambini di Malta iniziano ad imparare una lingua straniera a cinque anni, le scuole in Finlandia insegnano fino a quattro differenti lingue straniere e l’80% dei danesi parla con scioltezza un’altra lingua. E poi ci sono gli inglesi…
La comunicazione plurilinguistica è l’olio che fa girare gli ingranaggi della cooperazione internazionale, che rende possibile la comprensione interculturale e che rafforza la nostra sensazione di cittadini del mondo. Ed è particolarmente utile per il commercio globale.
Le persone che parlano lingue straniere hanno migliori prospettive lavorative, migliori capacità cerebrali e, se prendiamo per buono un sondaggio svolto da un un’agenzia matrimoniale inglese, anche maggiore sex appeal e fiducia in se stessi. Ci sono ragioni migliori per diventare poliglotta?
Differenze nel continente
In un’Europa dove l’uso e lo studio di lingue straniere variano ampiamente da una regione all’altra, incoraggiarne una conoscenza approfondita è una delle massime priorità. Nel 2002, il Barcelona European Council ha espresso il bisogno di «migliorare le conoscenze di base, in particolare attraverso l’insegnamento di almeno due lingue straniere sin da bambini». L’età in cui si inizia ad imparare una lingua straniera va dai 5 anni dell’Olanda agli 11 dell’Inghilterra, ci sono differenze nella gamma di lingue offerte, quanto a lungo vengono studiate, e il livello fino al quale tale apprendimento è obbligatorio o facoltativo. Per esempio, le scuole secondarie svedesi offrono un sistema flessibile basato su crediti che permette agli studenti di dosare la quantità di ore di lezione dedicate alla lingua; in altri paesi vi sono maggiori vincoli sulla lingua da studiare e sul tempo da dedicarvi.
Un recente rapporto Eurydice sull’insegnamento delle lingue in Europa mostra alcuni sviluppi comuni, e rivela che il plurilinguismo è un fenomeno in crescita. Lo studio di almeno una lingua straniera è obbligatorio in quasi tutti i paesi, mentre due lingue sono la norma. La durata dell’apprendimento obbligatorio è aumentata di circa un anno rispetto dal 1994. Inoltre, molti paesi hanno risposto positivamente all’appello di insegnare le lingue anche nelle scuole elementari, tra essi il Belgio, la Danimarca, la Grecia, l’Austria e l’Italia.
Iniziative in tutto il continente, come Comenius ad esempio, mantengono forti gli scambi di tutor di lingua e gli accordi fra le scuole che per anni hanno portato una dimensione europea nella vita scolastica di tutti i giorni, mentre progetti come Socrates/Erasmus rendono possibili esperienze internazionali piene di vantaggi per studenti e staff universitari.
Tutti parlano inglese, non è vero?
Ciononostante, c’è un gruppo di europei che va controtendenza rispetto al plurilinguismo rimanendo cronicamente ancorato alla propria lingua: gli anglofoni.
Infatti grazie al suo stato di lingua franca globale, l’inglese è di gran lunga la lingua più studiata in Europa e nel resto del mondo. Quasi il 90% dei bambini europei in età scolastica lo studiano, dal Portogallo alla Polonia. Ma ciò cosa comporta per i madrelingua? Non dovrebbe essere una grande sorpresa scoprire che meno di un terzo delle persone che vivono in Irlanda e nel Regno Unito non conoscono altra lingua che l’inglese.
La soddisfazione degli inglesi nel coltivare altre lingue non è molto nota. In quanto abitanti di un’isola, non hanno mai sviluppato una cultura aperta verso le lingue straniere e, dato che oltremanica gli altri paesi hanno adottato l’inglese, non sentono molto il bisogno di farlo ora. Le due lingue più studiate in Inghilterra, il francese e il tedesco, stanno diventando sempre più trascurate nella scuola secondaria, A livello universitario, le istituzioni hanno dovuto tagliare i fondi dai corsi di lingue a causa dell’insufficiente numero di studenti, e quelli che studiano altre materie non riescono ad approfittare delle opportunità Erasmus perché le loro abilità linguistiche non sono sufficienti per vivere all’estero.
Sebbene il National Languages Strategy, progettato per rispondere alle inadeguatezze lingustiche, sia riuscito a promuovere lo studio delle lingue sin dalla prima infanzia nel 50% delle scuole, il fatto che sia stata tolta l’obbligatorietà dello studio di esse a partire dai 14 anni, potrebbe vanificare qualsiasi sforzo. Le università lamentano che tutto ciò avrà un effetto diretto sulle ammissioni e, quindi, sulla disponibilità in futuro di conoscenze linguistiche. Chi insegnerà ai bambini a contare in francese fino a dix quando vi sono così pochi insegnanti di lingue laureati che il governo deve attirare con incentivi finanziari per intraprendere la professione?
L’Inghilterra non ha un numero sufficiente di linguisti per soddisfare il proprio fabbisogno: contrariamente a ciò che comunemente si pensa, non si può andare da nessuna parte, in nessun campo, con la sola conoscenza dell’inglese. Isabella Moore, direttrice del CILT, il Centro Nazionale per le Lingue, avverte che una diminizione del plurilinguismo ha serie implicazioni: « Poiché il 70% degli affari si svolge a livello internazionale, l’idea che le lingue servano solamente per fini accademici è di corta veduta e dannoso per l’economia». Roger Woods, presidente del Consiglio Universitario delle Lingue Moderne, conferma: «Le aziende cominciano a comprendere che stanno perdendo mercato perché non hanno personale con sufficienti capacità linguistiche».
I benefici del multilinguismo per l’individuo, l’economia e la società internazionale nel complesso sono difficilmente sopravvalutati, e abbiamo bisogno di riforme linguistiche adatte. La maggior parte dell’Europa ha recepito il messaggio. Per quanto riguarda gli anglofoni, sarebbe ora di scuotersi dal letargo linguistico, se non per il desiderio di stare al passo con le alte prestazioni dei paesi vicini, almeno per la scoperta graduale di ciò che si è destinati a perdere personalmente, professionalmente ed economicamente restando legati alla propria madrelingua.
Articolo pubblicato il 20 giugno 2005 nel dossier L’Europa dei malintesi.
Translated from Are you speaking my language?