Odissea dorata: il Montenegro punta sull'extralusso
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A dodici anni dall'indipendenza del Montenegro dalla Serbia i giovani stanno cercando ancora una loro identità. Un viaggio tra yacht, sfarzi e imitazioni...Il settore del lusso ha davvero cambiato le loro vite?
Lungomare di Tivat, Montenegro. Majorettes in erba si esercitano per il prossimo concorso, seguite dallo sguardo severo di madri-istruttrici, pronte a verificare ogni errore nelle coreografie di twirling. Un trittico di turisti giapponesi è indeciso sulla posa per il selfie di rito all'ora del tramonto. Per tricicli, bici e monocicli meritato pit-stop per rifocillarsi al carretto del gelato artigianale. Una coppia di genitori indica al figlio il profilo bianco di una balena d'acciaio e vetro. L'extralusso è condensato nei duecentocinquantra metri del superyacht Golden Odyssey, dove fervono i preparativi per un party esclusivo: piante fiorite, vassoi, divise bianche-e-blu si dileguano lungo le scale in oro, che sinuose avvolgono l'ingresso. Accesso severamente vietato. «Quello è lo yacht della famiglia di arabi, i proprietari di PortoMontenegro. Nessuno li ha mai visti», mi suggerisce Janko, mentre rientriamo nella Baia del Cattaro, dopo il nostro giro al tramonto su un fuoribordo. Sono da meno di 48 ore a PortoMontenegro, nel cuore del lusso montenegrino, e non so ancora se considerarmi un pesce totalmente fuor d'acqua o un sub che esplora le profondità marine per riemergerne affascinato, ma desideroso di tornare a respirare liberamente aria, nella propria dimensione terrestre.
Erase and rewind
Sono qui per incontrare, a dodici anni dall'indipendenza del Montenegro dalla Serbia, giovani lavoratori e lavoratrici, per capire se e come il settore del lusso abbia cambiato le loro vite. Anche se la mia non è una caccia alle estravaganze a sei zeri, ero pronta a tutte le forme di trash, esibizionismo e scene kitsch dell'inventario post-moderno. Mi ritrovo invece nel regno dell'eleganza, condita da gusto italiano, arte balcanica e una spolverata di informalità. PortoMontenegro, creato sui 24 ettari di Tivat, nella baia del Cattaro, incorpora una marina, proprietà immobiliari in stile italiano, due hotel che fanno capo alla catena Regent, uno Yacht Club, negozi, ristoranti e caffetterie. Creato dal multimilionario canadese Peter Monk per ospitare yacht extra-sixe sauditi e russi, troppo grandi per i porti francesi, italiani e greci, nel 2016 l'hub del lusso in stile marinaretto, è stato acquisito dall'Investment Corp. of Dubai per una cifra mai rivelata, ma che dovrebbe aggirarsi sui 200 milioni di euro. Mentre Kotor, la piccola perla della Baia omonima costruita a immagine e somiglianza della Repubblica Veneziana, è assaltata da turisti mordi e fuggi che sbarcano dalle navi da crociera o da giovani backpapers in tour nei Balcani, nell'arco di dieci anni Tivat si è affermata come il nuovo place to be per i super-ricchi, alla ricerca di più spazio e spese inferiori per parcheggiare i propri gioielli nel Mediterraneo.
Aficionados del place-to-be: inglesi e tedeschi, desiderosi di spicchi di sole; nababbi mediorientali, in fuga dal caldo asfissiante di Dubai; oligarchi russi alla ricerca di una boccata d'aria dall'asfissiante putinismo; statunitensi, bisognosi di risparmiare qualche migliaio di euro per esplorare il Mediterraneo, senza essere spennati a Cannes o nel principato di Monaco. Insomma, anche i ricchi piangono, sudano e risparmiano. Mentre sul sito di PortoMontenegro il Paese viene presentato come un esempio inossidabile di stabilità, solidità e sicurezza in salsa balcanica, le nuove generazioni sanno bene cosa significa vivere nel pantano dell'economia di un Paese governato per trenta anni dallo stesso partito e da un solo uomo al potere: Milo Đukanović, eletto Presidente lo scorso aprile e, per l'ennesima volta, al vertice del più piccolo Stato della penisola più turbolenta d'Europa.
«Ora come ora non temo un'altra guerra, ma la crisi economica», mi racconta il tassista trentenne che mi conduce al Regent, dove sarò ospite per le prossime 48 ore. Una delle sorelle si è trasferita per lavoro in Francia. Non aveva alternative. «Non produciamo nulla. Chiunque inizi un'attività economica, che sia agricola, commerciale o industriale e non fa parte della grande 'famiglia' legata al governo, presto o tardi è costretto a smettere». Scenario catastrofico. E l'iniziativa privata? Ormai è libera, chiedo ingenuamente. «Puoi aprire un negozio, ma non entrerà quasi nessuno se non hai gli agganci giusti. Poi arriveranno gli ispettori per controllarti e, di sicuro, troveranno un difetto, un errore, un piccolo problema. Basta un graffio, un'autorizzazione mancante, una firma. Non importa cosa. Alla fine riusciranno a farti chiudere».
Fuggire e rientrare dalla porta principale
Elena, la responsabile marketing del Regent, mi accoglie con un breve tour. Ci aggiriamo rapide in un labirinto di stanze, sale, corridoi, bar, in un saliscendi di ascensori, scale e ponti, tra carte nautiche di fine dell'800 e salottini blue-marine. Le valigie Louis Vuitton e altri impeccabili bagagli degli ospiti marciano o sostano solitari su piccoli carrelli in vimini, dalle solide ruote in legno, spinti da 'inservienti' in divisa color sahara. Primo drammatico quesito: cosa penserà di me il Conciergie, cui ho mollato zaino Quechua e un borsone nero palesemente made in China acquistato per sette modicissimi euro al mercato di Podgorica? «Volevo scappare da Tivat - mi racconta Elena nel corso del tour - Per questo sono andata a studiare in un'università americana a Dubrovnik (in Croazia, ndr). Mi sono specializzata in Turismo e Accoglienza nel settore lusso». Dopo un'esperienza negli States, Elena ha scelto in realtà di rientrare nel suo Paese, stavolta dalla porta principale, con un ruolo di prestigio e responsabilità per il Regent, la catena di hotel specializzata nel lusso a livello mondiale.
Dall'atmosfera navy e rigorosa del Venezia, passiamo a quella fresca e contemporanea dell'Aqua, l'altro hotel del gruppo Regent. Alle pareti dei corridoi e negli ascensori, mi perdo tra illustrazioni e pop-up dai colori pastello. Il tour è finito. Posso orientarmi da sola, ma prima tocca vedere la stanza preparata per mE. Esito nel cedere ad un ululato gioioso quando la vedo. Letto a baldacchino, poltrona in cui sprofondare, un bagno che equivale ad una stanza, doppio lavabo, accappatoi dal candore di Galatina, una doccia adatta a ballarci in trenino sulle note di Maracaibo e una vasca da bagno con vista sulla camera da letto. Sotto lo specchio avvolto in corde nautiche, un biglietto di benvenuto del direttore, due mele verdi lucide, una marmellata di fichi in uno di quei deliziosi barattolini (che fanno tanto Nonna Papera ma in verità le prepara zi 'Ntunetta), e una bottiglia di rosso. Sul tavolino a forma di bussola, è posato un trittico di cioccolatini, ognuno dal ripieno diverso. Squisiti. Ciliegina sulla torta: il terrazzino vista mare. Dall'attrito di una lotta immonda tra benedizioni a divinità pagane e critiche anticapitaliste, emerge una saggia romanitas che all'orecchio suggerisce: 'Ma quanno me ricapita? E godiamocelo sto benedetto lusso!'.
Quando il lusso non si poteva neanche sognare
Ore 17. Mi affaccio in piscina. Al posto del sottofondo di musica lounge stile Buddha Bar, la colonna sonora è un'armonia incessante di picconi, badili, martelli, tenaglie, cazzuole, frattazzi e scalpelli. Centinaia di operai sono all'opera per completare il Baia, prossimo tassello dell'impero dell'Hotel Regent. In questo albergo, al posto delle camere, ci saranno veri e propri appartamenti, che potranno essere acquistati da privati e affittati dagli stessi ad altri clienti 'meno fortunati'. La piscina sta per chiudere. Sulla soglia dell'ingresso incontro Nikola, massaggiatore al primo giorno di lavoro. Fisico asciutto e mani nodose, impeccabile nella divisa carta da zucchero profilata di ricami castagno. «Sono andato via dalla Serbia perché non riuscivo a guadagnare più di trecento euro al mese, mentre qui il salario è di circa 900'. Nikola, oltre a lavorare come massaggiatore, ha studiato a Belgrado per diventare mosaicista e orafo. Della manualità ha fatto il miglior passaporto per il futuro. A settembre, al termine della stagione turistica, è pronto per la prossima tappa: Vienna. «Vorrei poter continuare a fare l'orafo, per creare una linea di gioielli tutta mia». Quando da piccolo ci veniva in vacanza con i genitori, Tivat era solo un piccolo villaggio di pescatori dell'allora Jugoslavia. Erano i tempi del socialismo di Tito dove etnie, lingue e religioni diverse convivevano pacificamente. Se per i suoi genitori la trappola della nostalgia è sempre in agguato, Nikola ha vissuto davvero poco di quel periodo per riuscire a ricordare. «Ero solo un bambino. So solo che per me siamo un unico popolo e che, fino ad un certo punto, abbiamo convissuto bene insieme, ma la guerra ha cambiato tutto. Ancora oggi – aggiunge - se vado a Zagabria e si accorgono del mio accento, rischio di avere problemi. Se arrivo a Dubrovnik (la città croata a pochi chilometri da Tivat, sotto assedio di forze armate serbe e montenegrine per sei mesi, tra il 1991 e il 1992, ndr) con un'auto con targa serba, quasi sicuramente verrà danneggiata, se non addirittura distrutta».
"Non ero fatto per la guerra"
Un ritratto luccicante di Dita Von Teese, tra i primi ospiti ad inaugurare il Regent, si riflette su un pianoforte a coda. All'ora del tramonto, si accendono le candele al Library, il bar del Venezia che omaggia la tradizione anglosassone, e fa sentire a casa i sudditi della Regina venuti in vacanza in questo lembo dei Balcani. Al Mimosa, uno spartano banchetto mobile in legno, si servono esclusivamente succhi di frutta fresca, da miscelare con Spumante italiano, prosecco serbo o Champagne. A coordinare l'andirivieni di cocktail e olive verdi c'è Ivo: barman, ambasciatore locale e colonna portante del Library. Viso tondo, stazza prepotente e risata contagiosa, Ivo è rientrato in patria dopo venti anni trascorsi alle Canarie lavorando nel turismo. Quando i clienti si diradano e l'ora lo permette, abbiamo tempo per decorticare la gentilezza di plastica, riservata ai clienti, per entrare nelle confidenze che dedichiamo agli ospiti, seppur sconosciuti. Anno 1991. la guerra è alle porte e Ivo è chiamato a prestare il servizio militare in quella che era la Repubblica Socialista di Yugoslavia, incrociando la sua storia con quella dei suoi coetanei bosniaci, croati, serbi. «Mi sono reso conto solo allora che non eravamo così buoni e gentili come immaginavo fossimo. Quando ho capito che non era più possibile tornare indietro e lo scontro era alle porte, ho deciso di andarmene. Non ero fatto per la guerra». Il viso raggiante di Ivo si oscura, raggiunto dalle ombre della memoria e del dolore della guerra.
Tornare, nel momento giusto.
Per allontanarle, chiedo di storie bizzarre e retroscena. Dopo qualche reticenza, Ivo mi concede qualche memoria: donne penzolanti su tacchi improponibili nonostante i 40 gradi all'ombra, russi ubriachi che sparpagliano nei corridoi banconote da 500 euro (poi raccolte e restituite da un premuroso concierge), ventenni spedite da facoltosi padri alla ricerca di un marito di classe superiore, intente a sperperare i soldi paterni in serate a base di Vermouth e cocaina. «Ho visto passare da qui ogni genere di persona. Nel 2006, dopo l'indipendenza, è arrivata l'èlite russa, che ha iniziato a comprare terre e appartamenti. A seguire è arrivata la classe media, ma da quando c'è stata la 'crisi del rublo', queste famiglie hanno smesso di acquistare proprietà e si limitano a venire qualche settimana in veste di semplici turisti». La nuova leva di acquirenti, secondo l'occhio vigile di Ivo, viene dalla Turchia, segnata da restrizioni e vendette, nonché dal rigurgito islamista di Erdogan. «Ho parlato con alcune famiglie turche. Chi ha un po' di denaro messo da parte, ha capito che bisogna muoversi in anticipo. Non vogliono fare la fine dei Siriani, arrivando in Europa da rifugiati sui barconi o marciando a piedi per chilometri». E visto il trattamento riservato ai rifugiati in questi tempi crudeli, tra manganelli di frontiera e respingimenti in mare, i timori sono del tutto fondati. Rientro in stanza e scopro che il lusso, come il postino, bussa sempre due volte. Qualcuno è entrato in stanza, ha acceso le luci tenui delle lampade sui comodini e nel bagno, chiuso le spesse tende di cotone, risvoltato le coperte e sistemato delle pantofole blu scuro dall'aspetto orientale ai piedi del letto. Questa attenzione, quasi materna, seppur a pagamento, mi conforta e mi inquieta al tempo stesso.
Benedette Uova
La mattina all'ombra del porticato, dove viene servita la colazione, mi accoglie il sorriso di Ivana, ventiseienne di Nikšić, la seconda città più grande del Montenegro. Chignon, camicia chiara avvitata e una gonna stretta che le copre il ginocchio. Mi accompagna al tavolo, avvolta in un'eleganza raffinata. Nessuna delle ospiti intorno a me potrebbe lontanamente vantarla. Ivana sta completando gli studi in legge a Podgorica e da tre anni, durante la stagione, lavora come hostess. «Adoro essere qui. Siamo una bella squadra e si respirano good vibes. E questo posto è incantevole».
Verissimo, anche se quasi qualunque posto risulterebbe incantevole, se paragonato all'anonimato di Nikšić. Colazione dalla varietà imbarazzante: croissants, marmellate, cereali, yogurt, svariati succhi di frutta freschi, insalate di patate, di pomodorini, di rape rosse, poi formaggi locali, charcuterie, tre qualità di pesce affumicato, spremute, tagliate di frutta fresca. Mi dedico ad una torta agli agrumi dall'equilibrio perfetto tra dolce e amaro. Ivana mi suggerisce vivamente di ordinare, dal menu à la carte, le uova benedict, a quanto pare un must delle colazioni a cinque stelle. Mi sembra eccessivo, ma cedo. Mentre sono immersa in questa soffice e gustosa benedizione mattutina, dove il rosso delle uova si fonde con salmone affumicato e spinaci, su un panino dolce di taglia mignon, inizio a pentirmi di non aver continuato con la carriera di avvocato, magari del diavolo, al fine di arracchirmi e ordinare ogni giorno questa semplice prelibatezza, fino ad esserne annoiata. Elena arriva al mio tavolo prima di completare il mio atto di dolore. Approva appieno la scelta per la colazione e le ordina anche lei: «Ho assaggiato le stesse preparate in un Cinque stelle a Mosca. Non ho dubbi. Quelle preparate dal nostro cuoco sono migliori». Potrei mai contestarla?
I mestieri del futuro
«Quando frequentavo i corsi di inglese, una decina d'anni fa, eravamo pochissimi. Oggi quasi tutti i giovani, già da adolescenti, lo parlano abbastanza bene. Per migliorarlo, chi può permetterselo o riesce ad accedere a borse di studio/lavoro, va in Europa o negli Stati Uniti. C'è maggiore competizione rispetto ai miei tempi». Parlandole dell'incontro col massaggiatore Nikola, a proposito dei mestieri, Elena non ha dubbi: «I lavori manuali possono essere la chiave di riuscita per molti giovani nel mio Paese, perché manca quasi del tutto l'artigianato. Al momento, anche qui al Regent vendiamo prodotti di eccellenza, ma la gran parte viene da altri Paesi. Per ora le persone vengono qui soprattutto per le bellezze naturali e la qualità dei servizi che offriamo, ma ci mancano prodotti davvero locali». In effetti sugli scaffali del Bar Gourmand ho visto pasta artigianale italiana, vini francesi e formaggi greci.
«L'altra pecca – aggiunge Elena - riguarda la formazione di alto profilo». La legge montenegrina è chiara: non si può assumere uno straniero, se un Montenegrino è in grado di svolgere le stesse mansioni o possiede la stessa qualifiche. Anche nel lusso, quindi, la maggior parte dei lavoratori è locale, ma alcune figure apicali continuano a mancare. «Assumiamo dall'Africa, dall'Asia, dall'America Latina, nel momento in cui nessuno in questo Paese, né nel resto dei Balcani, può vantare lo stesso livello di esperienza. Ci è successo per alcuni ruoli chiave, come nel settore vendite o per lo chef del Murano. Questo è un gap che nel nostro Paese ancora non siamo riusciti a colmare tra il sistema educativo e il mercato del lavoro».
Il lusso 'clip clap'
«Lo stile di vita del Village è quello del lusso nautico. Mettiamo a disposizione un servizio di Concierge a cinque stelle, ma non ci sono red carpet. Ci piace chiamarlo 'lusso flip flops' (lusso in ciabatte, ndr)», sottolinea Kristina, la PR montenegrina che mi guida nel tour di PortoMontenegro, che nel 2017 ha vinto il premio Best Marina, assegnato da capitani, proprietari, equipaggi ed esperti del settore degli yacht. Quando passi un anno intero imbalsamato in giacca e cravatta o imprigionata in un tailleur, con l'imperativo degli utili e gli investitiori che ti azzannano le caviglie, il vero lusso in effetti è ciabattare seminudi armati di spritz sperando di perdersi nell'oblio delle maree.
Esploriamo il Resort nel silenzio di una golf cart, solo che qui nessuno rincorre palline bianche tra legni, pull e back-spin. A Tivat, incastonata nella baia delle Bocche del Cattaro, di spazio per campi da golf non ce n'è, circondata com'è da montagne e per questo paragonata (erroneamente) ai fiordi norvegesi. Le attività commerciali sono inserite nelle stesse stradine che ospitano le residenze e offrono tutto il necessario in termini di shopping e servizi: barbiere, centro estetico, ristoranti che spaziano da specialità made in Italy ai sapori del vicino Oriente fino ai Noodles giapponesi. I brand internazionali della moda si alternano a specificità artigianali, come gli oggetti d'arte in vetro di Murano. Il bar-à-champagne di Veuve-Cliquot aprirà a breve i battenti. Tra i vari servizi, è garantito un concierge disponibile h24, un manager che si occupa delle località da visitare, la possibilità di affittare auto, jet ed elicotteri. L'assistenza per i proprietari di yacht è garantita sette su sette, 24 ore su 24. Tutto è studiato per evitare di mettere piede fuori da PortoMontenegro, la 'città nella città' riservata agli extra-ricchi. E anche per le gite fuoriporta, ci pensa il Resort, per evitare brutte sorprese. Passare dalla Tivat per i ricchi alla Tivat per il resto del mondo non presenta ostacoli visivi. Bandite barriere architettoniche, filo spinato, cinte murarie. Il servizio di sicurezza è discreto. Apparentemente le due 'città' comunicano in maniera osmotica.
Barriere invisibili
La barriera, seppur invisibile, esiste. Il valore dei 220 appartementi di 'vecchia generazione', tutti sold-out, è tra 4000 e 6000 euro per metro quadro, a seconda dei posizione, vista ed extra. La 'nuova generazione' di appartamenti all'interno del Baia si aggira tra i sei e gli ottomila euro per metro quadro. Per la modica cifra di 1.500 euro si ottiene la gold membership allo Yacht Club per godere di servizi esclusivi e agevolazioni. Per accedere un solo giorno alla piscina interna del club ne orrorrono 'appena' 45. Considerato che lo stipendio medio nel Paese si aggira intorno ai 400 euro, si capisce quanto in alto sia fissata l'asticella. Laurea in marketing e passato da presentatrice TV, Kristina a 31 anni si è immersa nel nuovo lavoro con entusiasmo: «Il settore del lusso mi ha permesso di lavorare nella mia città natale, ma in un contesto realmente internazionale. Sono solo all'inizio della mia carriera, ma sento che qui posso crescere e imparare standard lavorativi che altrove in Montenegro non esistono. Allo stesso tempo posso mostrare alla nostra clientela internazionale le destinazioni e gli aspetti più autentici del mio Paese. Chiaramente PortoMontenegro mi ha permesso anche uno standard di vita decisamente migliore, dato che adesso posso permettermi di viaggiare ovunque nel mondo». Se Kristina, con le sue capacità e ambizioni, è riuscita a varcare a suo modo la barriera, quanti altri restano del tutto esclusi?
Sottomarini
Parcheggiamo l'auto elettrica di fronte a un gigantesco sottomarino. Un tempo villaggio di pescatori, Tivat era stata trasformata in arsenale per la produzione di navi da guerra durante l'impero austro-ungarico, grazie alla posizione iper-protetta all'interno della Baia. Sotto l'egida di Tito, il villaggio ha mantenuto la vocazione navale-militare, ospitando la costruzione della celebre flotta jugoslava. In base agli scambi di 'buon vicinato' tra il Generale e Geddafi, entrambi all'epoca alla guida di due dei cosiddetti Paesi non allineati, capitava che a Tivat si trovassero anche i sottomarini libici, inviati lì da Tripoli per la revisione.
L'edificio dell'ex cantiere è stato trasformato in Museo, dove Bojana racconta nel dettaglio ai turisti stranieri qualità, limiti e leggende del cantiere balcanico per eccellenza. Bojana è nata a Kotor, ma la sua famiglia è originaria di Nikšić. Sta studiando all'università e ama molto il suo lavoro, seppur a tratti ripetitivo. «È una buona occasione per lavorare ed imparare nel dettaglio la storia del mio Paese, anche se solo una parte. Mi sono appassionata e cerco di saperne sempre di più, sui materiali utilizzati nel cantiere, sulle strategie di guerra, sulle storie dei membri degli equipaggi». Visitando l'Heroes, il sottomarino sopravvissuto allo smantellamento post-socialista, Bojana mi racconta la dura vita dei marinai, stretti tra motori, brande e missili. Ed un solo 'bagno' per 28 uomini. 'Capita che membri degli equipaggi dei sottomarini vengano qui. Mi raccontano dettagli della vita in mare in questa specie di loculo. È assurdo immaginare che potessero vivere in quelle condizioni, eppure per loro era del tutto normale. C'erano vantaggi economici, certo, ma soprattutto quando andavano in congedo erano considerati eroi per la nazione a vita. Questo li rendeva rispettati agli occhi del popolo. E affascinanti per le donne!». Dopo la claustrofobia da sottomarino, prioritario prendere aria. Prossima tappa, lo Yacht Club e i suoi 64 metri di piscina infinity.
Vita da smoothies e laute mance
È solo fine Maggio. Pochissimi ospiti si aggirano a bordo piscina, ma d'estate lo Yach Club pullula di giovani, famiglie, gruppi di amici. Soprattutto stranieri e qualche benestante del Montenegro che prova ad affacciarsi nel jet-set internazionale. Un cameriere dal sorriso sornione mi accoglie con acqua naturale, uva fresca e un set di asciugamani puliti color crema. «D'estate – mi piega Fedja - dobbiamo affrontare anche 12 ore di comande no-stop, sotto il sole a 40 gradi. L'unico modo che abbiamo per rifocillarci sono smoothies di frutta freschi». Per farmi testare il loro potere rigenerante, me ne offrono uno ai lamponi.
Fedja, ha 23 anni e da quattro lavora come cameriere stagionale al bar dello Yacht Club. Nel frattempo ha interrotto gli studi in ingegneria navale. «Il lusso è una buona occasione per lavorare ed essere pagati bene. L'ambiente è tranquillo e ci si può anche divertire». Anche perché, oltre allo stipendio, vanno considerate le laute mance. «L'estate scorsa il capitano di una nave da crociera di passaggio nel Cattaro è venuto a festeggiare qui il compleanno con una decina di amici. Li ho serviti per otto ore e a fine giornata aveva speso oltre tremila euro. Me ne ha lasciati 500 di mancia». La stagione è appena iniziata. Ci saranno da servire per quattro mesi cocktail, bottiglie di Moët & Chandon e trovare soluzioni last-minute per le bizzarre richieste dei clienti. Fedja passa con un corno ripieno di tagliata di tonno e avocado destinato alla coppia all'estremità della piscina. «È buono - sussurra passandomi di fianco - ma lo vendono davvero troppo caro». Anche per chi come Fedja ha un discreto stipendio, i prezzi di PortoMontenegro rimangono off-limits.
Nel mezzo
Per il tour nella Baia mi hanno affidata a Janko, ventenne tuttofare, agli ordini del coordinatore degli Skipper di PortoMontenegro. Mi fa accomodare sui sedili rivestiti di pelle blu elettrico, cuciti a mano, del fuoribordo. «Adoro guidare. Appena ho tempo, salgo sulla mia moto e vado in giro da solo per le strade del Cattaro». Ci lanciamo su questi 170.000 euro d'imbarcazione alla volta della Lady of the Rocks, l'isoletta che ospita un antico monastero ortodosso. Da un mega battello scende una manciata di turiste giapponesi, col capo coperto da capelli di paglia a faglie larghe, indispendabili a proteggerle dai raggi del sole. Entrano nella chiesetta coordinate come in una coreografia di nuoto sincronizzato. Grazie ai trecento cavalli del motore in dotazione, in pochi minuti voliamo dalla parte opposta della Baia per visitare, su un'isoletta che ha tutta l'aria di essere abbandonata, una chiesa cattolica. A presidiarla, due cani di piccola taglia, di cui qualcuno si prende cura, visto che decidono di accompagnarmi, anziché azzannarmi, nel mio breve tour.
Ortodossi e cattolici hanno convissuto qui per secoli, ma i secondi ormai si sono ridotti all'osso e quasi nessuno si occupa del patrimonio che hanno lasciato qui nei secoli scorsi. Gli occhi blu acciaio di Janko si offuscano di fronte a un nuovo complesso di Villas, ricavato scavando nella montagna. «Questo è uno scempio». La baia di Kotor rischia di perdere il riconoscimento di patrimonio dell'umanità proprio a causa dell'abusivismo edilizio e dell'eccesso di sfruttamento turistico. Mi chiedo cosa provi il ragazzo tuttofare cresciuto nella Baia a rapportarsi con famiglie con conti a sei zeri, se preferisce stare tra i super-ricchi o tra i vecchi amici di Tivat. «In questi anni ho conosciuto un po' di ragazze, figlie degli ospiti del Resort. Non sono poi così diverse dalle altre ragazze della mia età. Comunque a me piace stare nel mezzo. Penso sia quello il posto giusto per me».
Odissea dorata
Prima di partire mi concedo un'ultima nuotata in piscina. Un addetto sistema con certosina attenzione i materassi sui divani e i posacenere sui tavolini in marmo. Apre gli ombrelloni, che si alternano a piccole palme, alle cui basi sono piantate lavanda, salvia e rosmarino. «Quando sono arrivati gli investitori – mi rivela l'addetto (che preferisce non venga citato il suo nome, ndr) - avevano fretta. Sono venuti per moltiplicare la loro ricchezza, non certo la nostra. Hanno fatto una rapida selezione e scelto chi era già pronto. Chi è riuscito ad entrare nel giro, sta bene e magari ha anche un po' di successo. Chi non lo era, è rimasto completamente escluso. E qui pochissime persone erano pronte per tutto questo». Il profumo delle essenze si espande lungo le gradinate della piscina. È ora di tuffarsi. Se il Capitale non aspetta, figuriamoci se lo fanno gli aerei, i nemici o gli amori impazienti.
Il grigio di ombre che annunciano tempesta si allunga sulle ultime bracciate di dorso. Si dice sia il vento che spira dall'Inghilterra a trascinarle sin qui. Rapidi come cavallette, i camerieri allertati chiudono ombrelloni e ritirano cuscini, teli e bicchieri nei cui fondi annegano frattaglie di frutta da cocktail. I caschi gialli degli operai sono svaniti dal cantiere. Restano a penzolare le gru. Silenzio. Su un mosaico di azzurri e di blu, gocce di pioggia picchettano sulla piscina, fondendosi con le acque al cloro in una melodia di cerchi concentrici. La mia permanenza nel lusso di Tivat sta per concludersi. Adieu lusso, adieu uova benedette, adieu signora che chiudevi le tende prima che fosse notte. Asciugandomi, allungo lo sguardo verso la balena, trofeo di inaccessibile ricchezza. Mi chiedo quanto ancora potrà durare l'Odissea Dorata di questo spicchio di Montenegro.