«Non siamo di fronte a un’intifada europea»
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loredana stefanelliLe rivolte in Francia hanno generato una sorta di isteria nei media europei: Riva Kastoryano, esperta di identità, etnicità e immigrazione, spiega a café babel la ragione di queste rivolte e il motivo per cui probabilmente non si diffonderanno.
I prolungati disordini nei ghetti che fanno da corollario alle più importanti città francesi, provocati dai giovani francesi di famiglie immigrate, hanno spinto gli europei a domandarsi il motivo per cui sono sfociati, temendo che queste rivolte possano diffondersi altrove. Riva Kastoryano, docente all’Institut d'Etudes Politiques di Parigi ed esperta di identità europea spiega i motivi che hanno portato alla situazione odierna.
Quali sono le ragioni alla base dei disordini nelle periferie francesi?
Il problema principale è rappresentato dall’immobilità sociale e spaziale di quelle zone. I giovani coinvolti nelle rivolte, principalmente di origine nordafricana, vivono nelle stesse condizioni in cui vivevano i loro genitori quando emigrarono in Francia cinquant’anni fa. Un altro problema consiste nel fatto che questi giovani non hanno avuto la possibilità di crearsi una propria identità, a differenza di quanto avviene in Germania e in Gran Bretagna, dove la seconda e la terza generazione degli immigrati definiscono la loro identità in base alla propria nazionalità e fede. In Francia dicono a questi giovani che sono francesi a pieno titolo, ma non vengono trattati come tali. Tutto ciò porta a un misto d’insoddisfazione e frustrazione. L’epilogo naturale non può essere che la ribellione.
Ma perché questi disordini sono iniziati adesso e non prima?
La morte di due ragazzi nella periferia parigina, dopo essere stati presumibilmente inseguiti dalla polizia, ha concretizzato quel conflitto tra le forze dell’ordine e i giovani che andava avanti da ben venticinque anni. È stato questo particolare incidente ad infiammare le attuali rivolte, ma avrebbero potuto esplodere in qualunque momento. Piccole rivolte sono frequenti e, probabilmente, due o tre automobili vengono bruciate ogni notte nelle zone “difficili”. Il problema è che finora nessuno ci ha fatto caso. Inoltre le parole del Ministro degli Interni francese, Nicolas Sarkozy, ha reso le cose ancora più difficili. La sua dichiarazione di voler fare “piazza pulita” ha diffuso ancora di più il problema, rendendolo più spontaneo e violento.
Qual è la differenza tra la Francia e gli altri Paesi riguardo a questo problema?
La Francia, insieme alla Gran Bretagna e alla Germania, ospita il maggior numero di immigrati di tutta l’Europa. La principale differenza consiste nel fatto che la Francia è teoricamente a favore di un’uguaglianza repubblicana, il che significa “assimilazione” piuttosto che “integrazione”, e non gradisce invece l’idea di una società multiculturale. Tuttavia, guardando alla realtà politica, si può vedere come la Francia abbia dovuto accettare di essere una società multiculturale, riconoscendo ad esempio diverse organizzazioni culturali. In Gran Bretagna e in Germania queste contraddizioni non si sono verificate. In Gran Bretagna si può appartenere ad una comunità musulmana e allo stesso tempo essere accettati dallo Stato. Allo stesso modo in Germania un turco resta comunque un turco anche se ha ottenuto la cittadinanza tedesca. In Francia il problema nasce dal conflitto tra retorica tradizionale e realtà politica che crea molta confusione.
Pensa che questi giovani condividano una stessa cultura che possa quindi essere diffusa in altre parti d’Europa?
Durante le mie ricerche ho notato alcune somiglianze tra i giovani svantaggiati in tutta Europa: ascoltano lo stesso genere di musica, indossano lo stesso stile di vestiti, comunicano tramite i blog, guardano gli stessi film ed hanno le stesse aspirazioni. Tuttavia ciò non significa che domani daranno tutti avvio a una rivolta. In Belgio e in Germania, ad esempio, si sono verificati alcuni disordini in seguito a quelli parigini, ma si sono spenti subito. È possibile che comuni problemi sociali possano unirli, ma ogni comunità reagisce in modo differente e in modo locale alle proprie difficoltà.
Esiste un collegamento tra la situazione delle periferie e il terrorismo?
Assolutamente no. Probabilmente i media fanno queste affermazioni per rendere la storia più interessante, ma non ci troviamo di fronte a un’intifada europea. Fortunatamente la religione è stata tenuta fuori dal dibattito. Anzi, gli imam dei sobborghi stanno aiutando il governo a mediare con i rivoltosi. L’unico politico ad aver fatto un commento inopportuno, collegando le rivolte con l’Islam è stato il Primo Ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, il quale ha accusato della situazione la legge francese che vieta alle ragazze di indossare il velo islamico nelle scuole. Comunque sarebbe un enorme errore collegare queste rivolte con il terrorismo: in questo caso non si tratta di un conflitto religioso.
Crede che il rafforzamento della cittadinanza europea possa rappresentare una soluzione al problema?
Potrebbe essere d’aiuto, dal momento che avremmo europei di origine francese ed europei di origine nordafricana. Potremmo mettere da parte la prospettiva nazionale e creare una forma di cittadinanza europea più inclusiva. Ciò di cui si sente davvero bisogno è un cambiamento di mentalità e la volontà di accettare una società europea in piena evoluzione.
Translated from “This is not a European Intifada”