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Nel campo rifugiati di Bruxelles per smontare i pregiudizi

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Translation by:

Federica Remondi

società#OpenEurope

A Bruxelles la vita del campo rifugiati improvvisato nel parco Maximilien continua a strutturarsi. Situato proprio di fronte all'Ufficio immigrazione, le tende accolgono un flusso massiccio di migranti, ma anche di volontari e di donazioni. Immergiamoci in questa realtà.

È molto semplice, si ha l'impressione che questo campo per richiedenti asilo funzioni unicamente grazie ai cittadini. Più o meno è così. Social networkpassaparola hanno permesso uno slancio di solidarietà e di generosità che permette ai volontari d'offrire ai migranti un conforto, sì, relativo, ma comunque benvenuto dopo il loro lungo e faticoso viaggio. Tende, distribuzione di vestiti e di cibo, aiuto medico, scuole per bambini e adulti... Viene fatto il massimo perchè l'accoglienza si realizzi nelle condizioni più decenti possibili. 

Quando arrivo sono un po' disorientata. Io, di Bruxelles, mi sento persa nella mia stessa città. Non immagino cosa debba essere per i migranti, e la realtà nel campo è impressionante. Vi regna un'attività intensa e permanente: cucina, riciclo di vestiti, costruzione di mobili di fortuna, pulizia del campo, c'è sempre qualcosa da fare. Non sapendo bene da dove iniziare, ho seguito con discrezione una coppia di anziani che andavano a scuola. Per fortuna! Altrimenti non penso che avrei trovato la giusta strada. Il campo è ben più vasto di quanto pensassi.

L'angolo "scuola" brulica di vita. Bambini e volontari si affaccendano intorno a diverse tende. Una bambinetta colora un disegno sotto lo sguardo attento di un volontario. Altri scelgono giocattoli e peluche. E ricevono le nuove donazioni. Un gruppo di giovani donne hanno appena deposto numerosi sacchi. «Siamo anche noi delle mamme e ci mettiamo al posto delle donne che arrivano qui con i loro figli,» mi spiegano. «È un sentimento particolare. Non possiamo fare niente per aiutarle laggiù, quindi proviamo a fare il massimo qua, con gli strumenti a nostra disposizione». E tirano fuori dai sacchetti delle caramelle sulle quali i pochi bambini presenti si gettano con gioia.

Iniziativa spontanea

Incontro un gruppo di ragazze che stanno tirando delle corde tra gli alberi per appenderci lenzuola e tovaglie. «Creiamo uno spazio per le donne,» mi spiega una di loro, «proporremo loro di venire per un momento di svago e di discussione». L’idea è curiosa. Le lenzuola permettono di creare un piccolo angolo intimo perchè le donne possano respirare un poco. Chiedo alle ragazze se fanno parte di un'associazione. «Per niente,» mi risponde Noémie, la prima interlocutrice. «Ci siamo conosciute qui, ieri. Avevo quest'idea in testa, le altre hanno assentito e abbiamo deciso di provarla, così, per vedere se piace».  

Questo sembra il modo in cui funzionano le cose qui. Si viene per portare del materiale utile e ci si ritrova a dare una mano. Oppure si arriva per aiutare in un preciso compito e si finisce per girare tra diversi "stand". Molti volontari dicono che si sono imbarcati in quest'avventura così. Si va là dove il bisogno si fa più sentire.

L’iniziativa di Noémie m'intriga, ma sono un po' dubbiosa. Un'ora prima ho discusso con Isabelle, una volontaria che si occupa tra le altre cose della "tenda delle donne". Un luogo dedicato loro, nel quale possono pregare, riposare con i loro bambini o cambiarli. I volontari mettono a loro disposizione tutto ciò di cui esse hanno bisogno. Ma non c'è ancora molta affluenza. «Tutto si attiva piano piano,» precisa Isabelle, «le donne iniziano ad avere fiducia in noi, finalmente. Penso che fosse soprattutto questo il problema all'inizio, visto che rimanevano rinchiuse nelle loro tende. Possiamo capirlo ovviamente, si trovano in un clima a loro ostile qui. Meno ostile che nei loro Paesi, ma comunque si tratta un po' di una giungla sconosciuta per loro. Ma ecco che lentamente iniziano a venire, a identificare le facce, a riconoscerci. Va meglio».

C'è dunque speranza per lo spazio femminile di Noémie e delle sue nuove colleghe, se sapranno attendere il giusto tempo per guadagnarsi la fiducia delle migranti. Ma la testimonianza d’Isabelle mi fa riflettere. Smonta infatti l'immagine dei rifugiati che si spintonano per "approfittare" del sistema. Discuto con Amina, un'altra volontaria. Furiosa contro alcuni commenti letti sul web, ci tiene a mettere le cose in chiaro: «Bisogna dire alla gente che le persone che arrivano qui non sono dei poveri. Certo, al loro arrivo lo sono, ma la maggior parte di loro ha un diploma superiore. NEl loro Paese avevano un lavoro, una casa. Ma non hanno avuto scelta, sono stati obbligati a partire. Quindi basta dire che vengono ad approfittarsene!».

Questo parere è condiviso anche da parte di Nabil, venuto ad aiutare al corso di francese per adulti. Mi indica due "studenti" precisandomi che uno è avvocato e l'altro architetto. Tutto ciò che manca loro, a parte il permesso di soggiorno, è imparare la lingua per poter lavorare. 

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La redazione locale di cafébabel Bruxelles ha creato un dossier dedicato ai campi per rifugiati in Belgio.

Translated from Camp de réfugiés : dépasser les a priori