Macedonia, cammino in salita verso la democrazia
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michela zanottiCon un recente passato politico impervio quanto il suo paesaggio montano, la Macedonia spera di lasciarsi alle spalle il turbolento passato contando sulle tensioni delle ultime elezioni parlamentari.
Le elezioni sono un evento caldo un po’ ovunque. Ma quando gli osservatori definiscono “esplosive” le quarte elezioni macedoni[1] dall’indipendenza, nel 1991, della settimana scorsa non fanno della mera retorica. Nei giorni precedenti all’inizio della campagna elettorale, il 15 giugno, si sono verificati episodi di violenza tra i due blocchi etnici e politici più forti, il Partito democratico degli albanesi (Dpa) e l’Unione albanese per l’integrazione (Dui) e tra i due partiti a maggioranza macedone i Socialdemocratici (Sdsm) attualmente al governo e gli oppositori nazionalisti della Vmro-Dpmne. Tra gli incidenti lo scoppio di una granata sulla sede di un partito e una sparatoria all’esterno di un centro commerciale della capitale Skopje.
A seguito delle “serie preoccupazioni” sollevate degli osservatori dell’Ocse rispetto alle violenze e irregolarità che hanno macchiato le elezioni parlamentari del 2002, molti speravano che le elezioni di quest’anno avrebbero significato un passo avanti verso una situazione di normalità politica. La sottoscrizione di un “codice di condotta” da parte dei più grandi leader politici, al fine di assicurare elezioni corrette, sembrava una mossa in tal senso. Ma sebbene il giorno delle elezioni sia stato piuttosto pacifico, nel solo giugno si sono registrati 20 casi di violenza a causa delle dichiarazioni del primo ministro Vlado Buckovski rispetto alla sconfitta da parte del leader dell’opposizione Nikola Gruevski. In un resoconto comune Erwan Fodere, Rappresentante Speciale dell’Ue, e l’ambasciatore degli Usa, Gillian Milovanovic, hanno entrambi espresso la loro “forte preoccupazione” per le violenze pre-elettorali, sottolineando «le serie e pericolose conseguenze alle quali queste azioni hanno portato rispetto alle aspirazioni macedoni di entrare a far parte della lega euro-atlantica». Fortunatamente sembra che alla fine la Macedonia abbia tenuto conto di questi avvertimenti.
La roadmap tra i monti
Gli ultimi casi di violenza in Macedonia sono tuttavia sintomatici di problemi di portata maggiore. Nonostante l’accordo quadro di Ohrid, sottoscritto nel 2001 per ordine della Nato e dell’Ue, che salvò lo stato sull’orlo di una guerra civile, persistono ancora tensioni etniche e politiche. Sebbene l’accordo cercasse di rivolgersi alla causa dei diritti della minoranza causa in cambio del cessate il fuoco e del rispetto dei confini territoriali da parte degli insorti albanesi, non ha previsto una roadmap completa per permettere le riforme strutturali e giudiziarie. L’accordo ha inoltre permesso ad ex insorti come Ali Ahmeti del Dui di entrare a far parte del governo. Risultato: una pace fragile e quello che il Gruppo di crisi internazionale ha definito «un’immatura democrazia, alla mercè di predatori intenzionati a dirottare o sfruttare un processo di riforma imperfetto». E costoro hanno un bel po’ da guadagnarci. Non solo la corruzione è piuttosto diffusa, ma le recenti fratture all’interno del voto etnico macedone suggeriscono che la vittoriosa coalizione Vmro-Dpmne sarà più affidabile che mai ora che ha come partner un partito etnico albanese. In cambio, quest’ultimo si aspetterà il controllo di ministeri chiave come quello dell’economia e del lavoro.
Le colline che sovrastano Skopie simboleggiano perfettamente gli ostacoli che questo paese di 2 milioni di abitanti dovrà superare negli anni a venire. Con un tasso di disoccupazione fermo al 38%, a giustizia “da tempo tacciata di inefficienza, corruzione e soggetta a influenze politiche” e inoltre la controversa scelta del nome dello stato, i macedoni sperano che l’elezione di un nuovo governo non causi un grande cambio di rotta bensì un’accelerazione delle riforme economiche e giuridiche già intraprese. Spettatori nervosi, come l’Ue che ha assicurato alla Macedonia lo status di candidato lo scorso dicembre, hanno le stesse aspettative.
[1]Il nome dello Stato rimane motivo di controversie, con l’Onu e l’Ue da un lato che la definiscono Repubblica ex Jugoslava di Macedonia (Fyrom) e gli Usa, Cina e Russia dall’altro che le riconoscono il nome costituzionale di Repubblica di Macedonia. Ho preferito utilizzare il nome costituzionale per motivi più pragmatici che politici ben consapevole della posta in gioco.
Translated from Macedonia’s rocky road to democracy