L’Ungheria e la crisi: il cuore isolato dell’Europa
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Elena BorghettiLa crisi economica sta divorando l’Ungheria. La sostituzione senza elezioni del Primo Ministro socialista, Ferenc Guyrcsany, mette a nudo tutte le difficoltà di un Paese la cui società polarizzata si affaccia sull’abisso della depressione. Soltanto una gioventù nottambula e disinibita sembra portare al Paese una ventata di creatività e ottimismo.
Sono le otto del mattino di una qualsiasi giornata lavorativa a Budapest. Si incrociano soltanto sguardi schivi e assonnati nella metropolitana sovraffollata della linea tre che ci conduce dritti a Déak Ter, centro nevralgico e cosmopolita di questa città con due milioni di abitanti e dallo splendore sospeso. Nessuno proferisce parola. Nessuno sorride, sarcastico, davanti a qualche titolo malizioso o retorico della stampa. Non ci sono giovani. Senza calore umano si apprezza a fatica lo spoglio minimalismo retrò delle vecchie carrozze del metro ereditate dall’epoca comunista.
L’ultima ruota del carro
«Questa crisi non durerà a lungo», ci confida in un inglese elementare la dipendente di una pasticceria con cui ci lamentiamo per i prezzi troppo elevati. «Gli anni Novanta sono stati un’epoca d’oro per noi», ci spiega riferendosi al passaggio dal comunismo al capitalismo. La crisi c’è, ed è anche accompagnata da una certa stagnazione dell’economia: ma il nazionalismo con cui è imbevuta questa società inibisce dal lamentarsi di fronte agli stranieri. Secondo i dati del Ceps (Centro per gli studi politici europei), nel 1997 Slovacchia e Ungheria avevano un prodotto interno lordo uguale al 51% del Pil medio dell’Unione europea. Oggi la Slovacchia ha raggiunto il 69%, mentre l’Ungheria è rimasta al 61%. La Repubblica ceca presenta un Pil pari all’81% di quello dell’Unione, e quello della Slovenia si attesta intorno all’89%. Secondo numerosi specialisti l’ungherese medio è “depresso”. Tale osservazione è corroborata anche dalle cifre: mentre nel 2008 il Pil ungherese è cresciuto all’incirca del 5%, per il 2009 la Commissione europea ha previsto un’inflessione dell’1,6%. «Le nostre previsioni sono ancora più nere: ci sarà un decremento tra il 3% e il 4%», afferma Andras Vértes, direttore del think tank economico Gki Economic Research. «Il Pil ungherese diminuirà del 6% nel 2009», replicano i consulenti finanziari della Standard & Poors.
Nostalgie imperiali
L’Ungheria non è stata toccata dalla bolla immobiliare, e l’inflazione si mantiene tutto sommato bassa. Per di più il settore bancario è sano, e il problema delle ipoteche spazzatura riguarda atri Paesi. Dunque cosa c’è all’origine della crisi economica? Gergely Romsics, ricercatore presso l’Istituto ungherese per gli Affari Internazionali, ci fornisce un primo indizio: «L’Ungheria iniziò la sua transizione economica prima dei vicini Paesi ex comunisti, tra il 1997 e il 2006, aprendo molto il suo mercato agli investimenti stranieri». Vértes conferma questa visione paragonando il suo Paese all’Irlanda. «L’Irlanda è stato uno dei Paesi più aperti al mondo, un Paese molto coinvolto nella globalizzazione, per questo ragione ora sta soffrendo tanto», ci spiega l’analista. Le accuse dei due esperti non sono rivolte al libero mercato, ma all’eccessiva dipendenza dell’Ungheria dagli investimenti e dal capitale straniero nella rincorsa al modello di sviluppo occidentale. «Considerato che le banche più importanti sono straniere», precisa Vértes riferendosi a Unicredit, KBC e Intesa Sanpaolo, «nel momento in cui questi Paesi hanno avuto problemi di liquidità legati alle ipoteche spazzatura, hanno prelevato i capitali che conservavano in Ungheria e ora non concedono più prestiti».
Il Paese più isolato dell’Unione europea
«Siamo un Paese circondato da nemici e dobbiamo cavarcela da soli», dichiara con un misto di rassegnazione e orgoglio il biondo Janos, giovane dall’aspetto atletico che gestisce un ristorante di cucina ungherese sulle alture della collina di Buda. I suoi pensieri trovano eco anche in qualsiasi cittadino che si voglia interpellare, a prescindere dall’estrazione sociale o dall’opinione politica. Gli ungheresi mostrano, ciascuno secondo la propria indole e grado di pudore, un sentimento nazionalista sincero e una certa nostalgia per la “Grande Ungheria” dei decenni passati. È sufficiente entrare nella commovente Casa del Terrore, proprio nel centro della storica Avenida Andrassy di Budapest per riceverne la conferma. Il Museo, inaugurato nel 2002, ripercorre l’orrore delle due invasioni –nazista prima e sovietica poi – sofferte dall’Ungheria nel corso del Ventesimo secolo. Nel primo piano si può osservare quanta parte del territorio ungherese è stata rubata dai vicini europei negli ultimi cento anni. Austria, Slovenia, Ucraina, Romania, Serbia, Slovacchia: nessuno viene risparmiato dal sentimento d’ingiustizia subita. La cooperazione tra l’Ungheria e gli ex compagni d’avventura sovietica non è certo delle più semplici. Polonia, Repubblica Ceca e altri temono da parte loro un Paese che ogni qualvolta il cambio è al minimo mette sul tavolo le esigenze delle minoranze ungheresi. «Il fatto di essere stata al centro di un impero genera tutt’oggi grande diffidenza tra i suoi vicini», aggiunge Gergely Romsics.
Budapest: come Berlino e Barcellona
Come Dottor Jeckyll e Mister Hyde, anche Budapest non appena scende la notte si trasforma, e nel breve spazio di mezz’ora indossa un abito nuovo fatto di grida, trucco e disinvoltura di una gioventù sana e operosa, che durante il giorno preferisce rintanarsi nelle università. Questa è la nuova generazione fatta di giovani senza complessi che inseguono una modernità creativa e cercano di reinventarsi i propri tratti distintivi. Budapest viene solitamente collocata nella triade delle tre B, insieme a Berlino e Barcellona, le ultime città europee di tendenza. Tuttavia, la gioventù di Budapest crea, inventa e si diverte senza l’attitudine snob di certi ambienti della capitale catalana, né l’indolenza tanto alla moda tra i giovani berlinesi. «La miglior dimostrazione del futuro promettente dell’Ungheria? Il grande numero di ristoranti gestiti da giovani e la ricchezza della gastronomia nazionale», commenta il nostro esperto in materia. Un capitolo a parte degno di un reportage esclusivo per il futuro.
Translated from Hungría y la crisis: el corazón aislado de Europa