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L'UE è pronta per un futuro con meno combustibili fossili?

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In dicembre 195 Paesi hanno convenuto di combattere il cambio climatico, di contenere l'aumento delle temperature "sotto i 2 gradi" e di agire e investire in un un futuro forte, sostenibile e con meno CO2. Il settore energetico è responsabile del 40% delle emissioni globali di CO2. I consumi sono in crescita; ridurre le emissioni e mantenere le scorte è una sfida. Qual è la posizione dell'UE?

Alla fine di febbraio si è svolto a Bruxelles il 2° Vertice Europeo sull'Energia intitolato "La politica europea sull'energia a seguito di COP21". Il summit, organizzato da Business Badge Europe e dal Vertice Economico Europeo, ha radunato sia oratori politici e commerciali d'alto livello (come il Commissario per l'Azione per il Clima e l'Energia, membri del Parlamento e della Commissione Europei), sia svariati amministratori delegati, direttori o presidenti di grandi corporazioni nel settore energetico, tra cui Statoil, Nissan, Engie, BP and EDF. 

Buone intenzioni politiche

Tra gli interventi dei rappresentati europei al summit si è fatta avanti l'idea di attuare cambiamenti necessari al sistema energetico per raggiungerne l'efficienza entro il 2030. Il sistema dovrà coinvolgere i consumatori attenti, più coordinazione tra nazioni e includerà un aumento degli investimenti privati verso risorse pulite e rinnovabili.

Il Commissario per l'Azione per il Clima e l'Energia ha anche sottolineato l'importanza di riconoscere la crescita delle energie rinnovabili pur tenendo in considerazione la realtà del mercato così da soddisfare i consumi europei.

I rappresentanti hanno annunciato con orgoglio che l'obiettivo di raggiungere un 20% di energie rinnovabili in Europa entro il 2020 sarà superato e si giungerà probabilmente al 27%; un dato che suggerisce un risultato addirittura migliore rispetto all'obiettivo posto per il 2030.

Ad ogni modo, chiunque viva in Belgio si ricorderà la paura di un blackout lo scorso inverno. Ciò avvenne perché il Belgio e la maggior parte d'Europa dipendono fortemente dalle importazioni d'energia dalle nazioni vicine (circa il 53,5% dell'energia consumata nell'UE nel 2013 era importata). Questa situazione indica poca sicurezza di scorte e un'alta dipendenza dai Paesi confinanti e, di conseguenza, un forte bisogno di interconnessione e cooperazione non solo tra i 28 stati membri ma tra 36 nazioni, come ha suggerito il Presidente del Comitato Parlamentare Europeo per l'Industria, la Ricerca e l'Energia.

In tale contesto, con così tanti rimedi nazionali contro le energie rinnovabili, pare abbastanza complicato per l'Unione Europea mettere in atto delle misure per transitare verso un futuro ad energia pulita, e anche aumentare la percentuale di energie rinnovabili, senza compromettere la sicurezza delle scorte.

Ciò nonostante, i leader politici sembrano essere molto orgogliosi delle conquiste di COP21 e sembrano avere buone intenzioni nell'affrontare le sfide collegate alle emissioni del settore energetico, pur cercando di conservare la competitività e soddisfare i consumi europei. Comunque questi non sono i soli interessi in ballo.

Riluttanza aziendale

Tra i vari amministratori delegati e manager di alto profilo delle compagnie energetiche presenti al vertice, molti hanno espresso le loro preoccupazioni riguardo alle sovvenzioni elargite alle energie rinnovabili che "introducono enormi alterazioni di mercato" secondo il Vicepresidente esecutivo e il Presidente di Dow, il gigante della chimica.

Mentre l'Unione Europea elargisce sussidi alle tecnologie d'energia pulita, infatti, nel 2014 le sovvenzioni ai combustibili fossili sono arrivate a toccare i 10 miliardi di euro all'anno!

D'altro canto, ci sono progetti per cancellare i sussidi alle rinnovabili per sostituirli con bandi pubblici entro il 2017; ciò dovrebbe rendere i prezzi più bassi grazie an un aumento della concorrenza tra fornitori. Questa preoccupazione, quindi, sembra più una questione a breve termine per poter nascondere le enormi sovvenzioni ricevute ogni anno dall'industria dei combustibili fossili.

Inoltre, nel contesto della fragile prosperità economica europea, la prospettiva di abbandonare le industrie che consumano energia a causa della concorrenza in conseguenza delle politiche energetiche dell'UE, è stata respinta come una minaccia occulta ai fautori delle policy che provengono dalle corporazioni energetiche.

All'interno dello spettro dello sviluppo sostenibile, sembra proprio che l'economia si stia nascondendo dietro al sociale per buttar fuori l'ambiente.

Pare che il settore energetico sia ben al corrente delle sfide poste da un futuro con meno CO2 al pianeta o al proprio modello commerciale, e che sia disponibile a partecipare ma solo alle proprie condizioni. Le grandi compagnie sanno che i maggiori investimenti nelle nuove tecnologie saranno dovuti più probabilmente a loro o ai loro fondi di capitali a rischio (come ad esempio quello creato da Statoil per trovare nuove soluzioni energetiche), e quindi stanno usando la loro influenza per conservare la propria concorrenza e prosperità finanziaria.

In quanto inevitabili protagonisti nella transizione verso la decarbonizzazione e verso un nuovo sistema energetico, i giganti dell'energia sembrano veramente consapevoli delle loro risorse e sono pronti ad imporre le loro condizioni al tavolo delle negoziazioni.

Si deve ancora trovare un fragile equilibrio

Perciò la sfida dell'Unione Europea è mantenere la crescita e soddisfare i consumi energetici senza fare affidamento ai combustibili fossili; ciò comporta una leadership forte nelle politiche climatiche ed energetiche che includa tutti i 28 stati membri e i loro vicini, ed implica anche un segnale forte per l'innovazione e crescenti investimenti nelle energie pulite e rinnovabili.

L'UE è sempre andata fiera della propria leadership nelle negoziazioni sul clima, facendo strada verso le energie rinnovabili con forti ambizioni. È anche la detentrice maggiore di modelli di energia pulita.

Da qui la necessità di imporre forti politiche energetiche che includano investimenti puliti ed un efficiente carbon market.

Sebbene molti abbiano criticato lo Schema di Emissions Trading, che cerca di limitare le emissioni attraverso il carbon pricing e permettendo alle aziende di comprare o vendere quote, l'Unione Europea sembra tenere molto a questo sistema.

Ma l'UE non è l'unica! Tutti i rappresentanti commerciali presenti al summit hanno descritto questo sistema come "interessante", "che sta dando risultati", "il più ambizioso". Infatti, lo Schema permette ad industrie molto inquinanti di comprare crediti da aziende meno distruttive in modo da poter continuare ad emettere gas ad effetto serra piuttosto che investire in energie pulite. Cioè permette di inquinare!

Di conseguenza, se l'UE vuole rendere lo Schema uno strumento di valore per ridurre le emissioni di CO2, esso necessita significativi cambiamenti, come ad esempio la riduzione del numero di crediti disponibili nel mercato, evitare il carbon leakage e l'ampliamento del numero di settori compresi nel sistema. Sfortunatamente il carbon pricing è stata una delle misure meno convincenti dell'accordo di COP21.

Benché l'equilibrio tra obiettivi politici, volontà commerciale e ciò che il clima e il pianeta necessitano, sia difficile da trovare, speriamo che l'UE mostri ancora una volta leadership e volontà di contribuire alla questione. Speriamo anche che stimoli altri stakeholder a fare lo stesso piuttosto che accontentarsi di gestire la diminuzione dei combustibili fossili.

Translated from Is the EU ready for a low carbon future?