La sfida della decrescita: contro i dogmi del capitale
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Un ciclo di quattro conferenze all'ULB dedicate al bisogno urgente di alternative economiche e sostenibili.
Se la crisi economica da cui l'Europa sta cercando di riprendersi ha avuto un merito, questo è senza dubbio l'aver contribuito a mettere in questione un modello economico che fino al 2008 sembrava essere un dogma: quello del benessere fondato sulla crescita economica. Il dibattito, per quanto ancora di nicchia, si è riacceso negli ultimi anni proprio a causa dei difetti mostrati dal modello capitalista così come lo conosciamo, sfidato apertamente da sempre più economisti. Per queste ragioni, l'Université Libre de Bruxelles (ULB) ha deciso di dedicare un ciclo di quattro conferenze al tema della decrescita. O meglio delle decrescite visto che, se il filo conduttore è la critica alla sostenibilità nel lungo periodo del modello capitalista, le voci all'interno del movimento in favore della decrescita sono diverse e, parzialmente, discordanti. In occasione dell'uscita del film “Opération Correa” che mette in luce le soluzioni economiche alternative proposte dal presidente dell'Ecuador, l'Institut de Gestion de l'Environnement et d'Aménagement du Territoire (IGEAT) dell'ULB in collaborazione con la piattaforma audiovisiva GSARA, hanno promosso questo evento per dare nuovo slancio e visibilità a un dibattito sempre più appassionante.
Il vangelo della crescita
La prima conferenza ha avuto luogo giovedì 6 novembre e in essa sono intervenuti Edgar Szoc, economista, Henri Goldman, capo-redattore della rivista Politique e Jean Cornil, saggista e ex-deputato socialista. Come introduzione al dibattito, è stata presentata una breve storia del concetto di decrescita: se la riscoperta di questa alternativa è relativamente recente, le sue origini risalgono alla nascita del capitalismo moderno, come lo conosciamo oggi. Esse infatti sono strettamente legate alle critiche alla società nata dalla Rivoluzione Industriale e al suo modello economico che ha raggiunto il suo acme nell'odierna società di consumo: la crescita per la crescita. Attraverso questa retrospettiva storica, si nota che già verso la fine dell'Ottocento John Stuart Mill avesse messo in discussione la crescita economica come fine ultimo delle società occidentali. Inoltre, l'intuitivo contrasto tra la finitezza delle risorse e l'ambizione ad una crescita infinita è stato soggetto di critiche fino agli anni Settanta, quando invece il modello di crescita sembra essersi imposto, indiscusso e indiscutibile, al di là di ogni possibile obiezione. La vittoria dell'asse Thatcher-Reagan e il conseguente compromesso produttivista portarono infatti all'emarginazione dei detrattori della crescita e la principale forza opposta al capitalismo finì per essere integrata in esso. L'egemonia di tale modello divenne culturale e la crescita fu così assurta a dogma.
Il tarlo del dubbio
Da quando il giocattolo ha mostrato i primi segni di cedimento, a partire dai primi anni Duemila, per poi guastarsi definitivamente con l'arrivo della crisi economica del 2008, il modello legato alla decrescita sta lentamente emergendo dall'oblio nel quale era stato confinato. La società fondata religiosamente sulla crescita senza fine ha smesso di crescere, lasciando all'Occidente una crisi non solo economica, ma anche morale. La fede nel capitale conosce per la prima volta dagli anni Ottanta un momento in cui il dubbio riaffiora. Se il compromesso liberale che coinvolgeva operai, sindacati, governi e imprenditori, infatti, consisteva nella speranza di una costante crescita della torta, da cui tutti sarebbero usciti vincitori al momento della spartizione, oggi di quell'ottimismo non vi è più traccia. E se la torta non cresce più, qualcuno ne dovrà uscire sconfitto.
La riscoperta delle alternative
Ma non è solo l'attuale sconfortante situazione economica ad aver dato nuova vita al concetto di decrescita. Anche un'analisi dell'evoluzione delle condizioni ambientali ne hanno favorito la rinascita. La catastrofe ecologica a cui il nostro pianeta sta andando incontro qualora non accettasse di ripensare ex novo i propri modelli di sviluppo, è ormai scientificamente innegabile e prevedibile nel giro di una generazione. Ciò nonostante, come viene fatto notare da Jean Cornil, la distanza tra il sapere scientifico e la sfera di decisione politica sembra oggi surreale. E quel che è ancora più grave è che il punto di non ritorno è sempre più vicino. Ma si preferisce fare finta di niente e continuare con il “business as usual”, magari ergendo l'ennesimo prodigio tecnologico capace di migliorare l'efficienza di una macchina ad àncora di salvezza tecnologica. In poche parole, il fatto di per sé positivo che il nuovo modello di automobile della FIAT consumi sempre meno benzina ed emetta sempre meno CO2, a parità di distanza percorsa, risulta inutile se il numero di queste vetture aumenta, perché il vantaggio dato dalla nuova tecnologia sarà solo in termini relativi. In tal senso, una delle voci più conosciute legate al tema della decrescita Serge Latouche, intervenuto in una conferenza proprio all'ULB nel maggio 2013, utilizza spesso un'eloquente metafora: se c'è un'inondazione e la casa si sta allagando, è sicuramente utile prendere stracci e secchi, ma non prima di aver chiuso tutti i rubinetti.
Ricchezza e felicità
Il modello economico dominante che associa crescita economica e felicità si rivela in tutta la sua inconsistenza alla luce di nuovi indici molto più attendibili del PIL, come per esempio lo Human Development Index, sviluppato dal Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite. Il PIL infatti, troppo spesso elevato a misura unica per determinare la prosperità di una nazione, è un mero indicatore dei consumi e non del benessere o addirittura della felicità di una popolazione. Infatti, come ha illustrato Edgar Szoc nel suo intervento, se è vero che vi è una relazione tra felicità e ricchezza finché si tratta di soddisfare i bisogni primari necessari ad ogni individuo, questa correlazione svanisce totalmente al di sopra di una certa soglia. Cioè, assumendo come vera la crescita della felicità al crescere del reddito fino a 15 mila dollari l'anno pro capite (ben al di sotto quindi degli standard europei), di tale correlazione si perde ogni traccia oltre quella cifra. Questa situazione dovrebbe portare ad una riflessione sulle basi stesse che costituiscono le economie occidentali. Forse, come sostengono i teorici della decrescita, ci si è spinti troppo oltre. Forse, dicono, si è entrati in un circolo vizioso in cui soddisfare i propri bisogni non è più sufficiente alla felicità, dato che nuovi bisogni subentreranno a rimpiazzare gli antichi. Forse la sete di consumo che contraddistingue la società occidentale non può essere appagata.
Il clima non era certo ottimista e chi tratta certi argomenti è ben conscio delle difficoltà che sorgono nel momento di agire nel concreto. Però un risveglio urgente delle coscienze è non solo necessario ma urgente. È giunto il momento di ripensare tutto ciò che ci è stato insegnato negli ultimi decenni e di proporre soluzioni alla catastrofe economica ed ecologica che si profila all'orizzonte: le teorie della decrescita volontaria sono un'alternativa.