La Serbia e l’Europa: racconto di una rinnovata intesa. E di un passato che non passa…
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Giulia GuglielmiEntrare nell'Unione Europea non significa negare il sogno di una Serbia fiera e indipendente. E' invece un modo per riaffermare questo orgoglio. Gli estremisti responsabili di eventi come i tumulti nazionalisti durante il Gay Pride di ottobre sono semplicemente opera di una frangia minoritaria che, come in ogni paese, alza la voce quando un futuro incerto indica la necessità di un cambiamento.
In altri paesi, i nazionalisti userebbero l’immigrazione o l’economia per giustificare le proprie azioni. In Serbia, invece, usano la storia.
Per un paese che molti considerano ossessionato dalla propria storia, i locali dell’ufficio centrale del Museo Storico di Begrado lasciano davvero a desiderare. “Prenda l’ascensore fino al quarto piano, da lì in poi è meglio uscire e farsela a piedi fino al quinto” ci risponde il custode del museo quando chiediamo dove possiamo trovare Nebojsa Damnjanovic, responsabile del museo. A questo punto le porte dell’ascensore, di freddo metallo arrugginito, si chiudono all’improvviso e cominciamo a salire, accompagnati da un cigolio persistente.
Le speranze di un ritorno
Sono certo che ci siano ascensori più moderni nel Parlamento europeo di Strasburgo, dove i diplomatici dell’Unione Europea riflettono sulle future relazioni della Serbia con l’Unione, approvando l’Accordo di stabilizzazione e di associazione (ASA) del paese balcanico. L’approvazione di questo documento, avvenuta il 19 gennaio, agevola le relazioni commerciali tra la Serbia e i 27 membri dell’Unione e consente al paese balcanico di accedere ai finanziamenti pre-adesione. Il potenziale ingresso nell’UE avverrà solo tra diversi anni, ma questo voto costituisce un passo importante per l’accettazione del paese. L’Unione europea si aspetta tuttavia dallo stato serbo più riforme e cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia.
"Essere il primo paese resosi indipendente dall'Impero Ottomano ha un ruolo cruciale nella nostra storia"
La Serbia non è sempre stata ben accolta dai suoi interlocutori occidentali. Nello scorso decennio, ha dovuto lottare per scrollarsi di dosso l’etichetta di stato canaglia dei Balcani. Alcuni osservatori esterni considerano il paese bloccato nella fantasia di un passato mitizzato, incapace di accettare la realtà moderna della politica e delle strutture di potere europee. Di conseguenza i Serbi hanno visto i propri vicini a nord, sud, est ed ovest superarli nella corsa verso l’Europa. L’opinione di Damnjanovic sulla storia serba testimonia l’importanza dell’indipendenza da strategie politiche straniere. “L’idea di un nostro stato nel senso pieno del termine è sempre stata fondamentale” sottolinea. “E’ per questo che la nostra posizione di primo paese nell’Europa sudorientale a ottenere l’indipendenza (dall’impero ottomano) svolge un ruolo centrale nella nostra storia”.
Una storia europea
Damnjanovic è comunque chiaro su questo punto: la Serbia ha una storia europea e il paese appartiene all’Europa. “Durante le insurrezioni in Serbia nell’800, i ribelli si sentivano una nazione europea e le insurrezioni erano legate all’Europa.” Il responsabile del museo esibisce un orgoglio genuino parlando del ritorno in Europa della Serbia, liberatasi dalla schiavitù orientale dell’impero ottomano. Un ritorno in Europa, proprio come oggi. L’Unione Europea è convinta che riuscirà a marginalizzare e ridurre al silenzio i movimenti ultra-nazionalisti, così come precedentemente avvenuto in altre aree di un continente in passato diviso. La sanguinosa storia dell’Europa sarà superata dal progresso e dalla reciproca cooperazione democratica. Quando una piccola nazione in difficoltà chiederà aiuto, le altre condivideranno volentieri il proprio surplus economico. La ricchezza si diffonderà in ogni angolo d’Europa, dalla Grecia all’Irlanda, fino al Portogallo. E’ in questa prospettiva che il processo di adesione all’Unione Europea cercherà di mettere una pezza su temi spinosi e controversi come la questione del Kosovo. Ci vorrà forse tempo perché la maggioranza accetti la perdita dell’enclave albanese, ma certo il cammino verso la prosperità all’interno dell’Europa, testimoniato da documenti simbolo come l’ASA, faranno sembrare la perdita del Kosovo meno importante.
“La Serbia ha bisogno di stabilizzare la propria economia, di ridurre il tasso di disoccupazione e aumentare le esportazioni” afferma Valentina, studentessa universitaria proveniente dalla Serbia meridionale. La lista delle priorità di uno studente proveniente da altri paesi membri dell’UE sarebbe probabilmente molto simile. Valentina non cita il Kosovo come tema chiave dell’attualità serba. Tuttavia il “fattoreK” riemerge in tutte le discussioni sul passato, sul presente e sul futuro della Serbia. “Il peso del mito kosovaro ha influenzato tutte le generazioni sino ad oggi”, spiega Sladana Bojkovic, corresponsabile del museo. Un problema che inevitabilmente emerge nel rapporto con l’Unione europea.
Il fattore "K"
Di recente, il relatore del Parlamento Europeo per il Kosovo, Ulrike Lunacek, ha pubblicamente affermato che la Serbia deve riconoscere l’indipendenza della sua ex provincia prima di poter seriamente aderire all’UE. Quel piccolo territorio conteso, tra i più poveri e arretrati in Europa, ha da sempre tenuto in ostaggio il progresso di una Serbia secolarizzata. E’ nel 1389 che tutto è cominciato: una data e una storia scolpite in tutte le generazioni di serbi e destinate ad avere ripercussioni nel futuro. La data è legata alla memoria collettiva della battaglia che segnò la fine del regno secolare e l'inizio di quello spirituale.
Il principe Lazar Hrebljanović scelse di combattere contro gli Ottomani, stranieri e imperialisti, a Kosovo Polje (Piana dei Merli), vicino all’odierna Pristina, e andò incontro ad una sconfitta eroica: lo guidava la promessa della continuazione di un regno serbo ideale. Questo conflitto tra progresso materiale e idealismo storico non è mai stato completamente risolto. Oggi la Serbia potrebbe spianarsi la strada verso un futuro moderno accettando la tesi internazionale sul Kosovo, qualunque essa sia. Ma il peso del mito kosovaro è sopravvissuto a secoli di dominio straniero, alla rinascita serba e anche al comunismo. Ancora una volta, infatti, il Kosovo fu teatro del crollo del progresso materiale. E’ stato qui che, negli anni 80, si manifestarono le prime crepe nella “Fratellanza e Unità” (motto della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia) di Tito, che portarono alla fine del sogno jugoslavo. E’ stato qui che la politica aggressiva di Milosevic e il violento nazionalismo serbo si fusero provocando le ire del resto del mondo. Dopo la pioggia di bombe e atrocità reciproche, la Serbia fu sconfitta e la storia diventò presente.
“La storia serba si è sempre ripetuta. I serbi hanno sempre avuto gli stessi nemici e la chiesa (serbo-ortodossa) ha sempre protetto la nazione”, si sente dire in giro. Oggi, la questione del Kosovo costituisce un ostacolo ad un desiderio condiviso: quello dell’UE di accettare la Serbia e della Serbia di accettare l’UE. Vista da una prospettiva serba, la storia pare ripetersi. Come molti serbi, sia Damnjanovic che Bojkovic, ritengono non solo che la Serbia e l’UE siano compatibili, ma rappresentino il futuro. Ma questo sogno europeo della Serbia non sostituisce l’eredità storica propria del paese. Il peso della sua storia che si ripete non si dissolverà con la firma dei documenti preparati a Bruxelles. “Se non facciamo del bene a noi stessi, non possiamo farlo a nessun altro”, per dirla con le parole di Valentina
Questa discussione amichevole e appassionata sulla storia serba è seguita da un bicchiere di rakija fatta in casa, servito con orgoglio dalla signora Bojkovic. A centinaia di km da qui, in un moderno ufficio a Bruxelles, i diplomatici discutono sull’ASA della Serbia. L’approvazione porterà ad un progresso positivo per l’UE e la Serbia, ma in Serbia il passato, come la rakija, è forte e ancora bollente. Al contrario degli accordi e dei processi UE. E’ questo che penso mentre sto seduto qui, al centro di Belgrado. I vantaggi sono tali da convincere la Serbia a lasciarsi dietro le spalle la sua storia che si ripete, come consigliato da Lunacek? L’Europa è abbastanza forte da risolvere il dilemma tra progresso materiale ed eredità storica? Come me, i miei ospiti non sembrano preoccupati. Siamo felici dove siamo.
Questo articolo fa parte della serie Orient Express 2010-2011, la serie di reportage realizzati da cafebabel.com nei Balcani e nell’est d’Europa. Più informazioni su Orient Express Reporter.
Immagine: (cc) rudlavibizon/ Flickr
Translated from View from Belgrade's historical museum: Serbia, Europe and obsessions with history