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La libertà d'espressione dopo Charlie Hebdo

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società

Shock. Tristezza. Rabbia. Tutte queste emozioni descrivono quello che gli europei stanno provando, all'indomani dell'attacco contro Charlie Hebdo avvenuto il 7 gennaio a Parigi. I nostri editor ci raccontano cosa li ha scioccati di più e come vivono la libertà d'espressione.

MatthieuFrancia: «Tu non sei direttamente coinvolto dalla violazione della libertà d'espressione. È un qualcosa di assillante. All'inizio, sei sorpreso dal fatto di poterlo sopportare, senza capirlo veramente. Poi, a poco a poco, inizi a realizzare perché vedi le facce di chi è stato coinvolto, capisci che non li vedrai mai più e pensi ancora una volta agli ideali che rappresentavano. E ora, arrivati a questo punto, inizia davvero a fare male. È strano perché io di solito non uso grandi parole. È strano perché anche per me non è facile farmi sentire quando c'é qualcosa da difendere. Ma oggi è veramente difficile. Mi sento male a lavoro. Mi sento male quando cammino per la città. Forse, sono semplicemente troppo fragile. Allo maman bobo».

Katha, Germania: «È veramente impressionante vedere come la paura si è propagata in tutto il paese subito dopo l'attacco contro Charlie Hebdo. Mercoledì ho sentito il bisogno di andare a place de la République per essere parte di quel raduno. La polizia aveva chiuso la metro per paura di un attacco terroristico. Ho esitato. Ero stanca, il mio bambino era stanco. Tuttavia, voglio crescere mio figlio in un mondo dove si possa dire, scrivere e disegnare di tutto. Vengo da un paese dove tutto questo non era possibile - la DDR - ma poi ho avuto l'onore di crescere con quel lusso che è la libertà d'espressione. 25 anni dopo la caduta del muro di Berlino, non lascerò che la paura si impossessi di questo diritto dell'umanità». 

Pia, Polonia: «Sono due le cose che mi hanno scioccata di più: in primis, i commenti di supporto ai terroristi che sono apparsi su internet subito dopo l'attacco. Ma sono certa che ve ne parleranno i miei colleghi, quindi io preferisco focalizzarmi sulla seconda cosa, cioè sulle persone che se ne sono ampiamente fottute. Ieri, sono rimasta scioccata e atterrita nel sentire le persone parlare dei saldi, come spaventosi mostri del consumismo per cui acquistare delle cose era più importante che mostrare solidarietà nei confronti di chi è morto. Assolutamente indifferenti alla tragedia e alla violazione di uno dei simboli più importanti dei diritti umani. Persone che dicevano che la cosa non li toccava minimamente perché non erano stati direttamente coinvolti, persone che non mostravano un minimo di empatia nei confronti degli altri, pensando solo a sé stesse, al loro benessere e a preservare il loro piccolo mondo. Persone che non sono in grado di alzare la voce, di difendere i propri diritti o di condannare pubblicamente questo tipo di atrocità».

Cecilia, Italia: «Mercoledì mattina, il mio primo pensiero non ha avuto niente a che vedere col giornalismo. Prima c'erano delle persone a sedere in una stanza, prese da una conversazione. Qualche minuto più tardi, non era rimasto nient'altro che sangue e paura. Sono scioccata perché si tratta di un attacco contro la libertà. Sono scioccata perché per alcune persone - e forse anche per i miei vicini di casa - questo massacro non rappresenta alcun problema. "Se lo meritavano". "Avrebbero dovuto cambiare il loro modo di lavorare". E infine, "Hanno fatto uno sbaglio". Eccoci: una penna può essere più pericolosa di un kalashnikov, no? Come recita una poesia, "Quando vennero per gli scrittori e i pensatori e i radicali e i dimostranti, distolsi gli occhi [...] E poi, quando vennero per me, mi voltai e mi guardai intorno, non era rimasto più nessuno...". Quindi fermatevi, giornalisti, illustratori, esseri umani: la vostra minigonna era troppo corta».

Ainhoa, Spagna: «Una delle cose che mi ha più colpito dell'attacco di mercoledi è stato il dissenso mostrato dalle persone sui social network e per le strade. Le proteste non erano soltanto contro gli omicidi. Tutti erano uniti nel gridare contro la repressione della libertà d'espressione. Penne, tesserini e vignette erano lì, agitati in aria come un simbolo. Le persone hanno detto no a quegli atti, sostenendo la libertà d'espressione con tutti i mezzi possibili. L'altra cosa che mi ha scioccato è la seguente: comportandosi così, gli estremisti non fanno altro che fornire ragioni su ragioni a chi li vorrebbe censurare. "È difficile essere amati dagli imbecilli" dice Maometto in una vignetta di Charlie Hebdo. L'atto commesso da queste persone non potrebbe avere aggettivo migliore». 

Kait, Canada: «Sono abbastanza rattristrata dal fatto che mercoledì siano morte 12 persone, ed è un vero shock che tutto questo sia potuto accadere in Francia. Comunque, sebbene io sia sconvolta e profondamente in disaccordo con quanto è successo, devo anche dire che trovavo la maggior parte delle copertine di Charlie Hebdo realmente scioccanti, offensive e spiacevoli. In Canada, come in tanti altri paesi anglofoni, il nostro impegno a favore della libertà d'espressione viene contrappesato dal rispetto per le differenze sociali e dalla voglia di evitare ogni tipo di divisione sociale. La maggior parte dei media britannici e nordamericani non avrebbe mai pubblicato le copertine di Charlie Hebdo a causa della loro linea 'politically correct'. Io sto con i miei colleghi inglesi, canadesi, americani e sostengo la loro scelta di non pubblicare le vignette più controverse, di cui molte offensive, per non provocare altri atti di odio e di violenza, ma soprattutto per rispetto nei confronti delle differenze che si possono trovare in società diverse e multiculturali». 

Story by

Matthieu Amaré

Je viens du sud de la France. J'aime les traditions. Mon père a été traumatisé par Séville 82 contre les Allemands au foot. J'ai du mal avec les Anglais au rugby. J'adore le jambon-beurre. Je n'ai jamais fait Erasmus. Autant vous dire que c'était mal barré. Et pourtant, je suis rédacteur en chef du meilleur magazine sur l'Europe du monde.

Translated from Freedom of Expression in the Charlie Hebdo Aftermath