[ita] Diffondere risate: clown senza frontiere
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Silvia SchiaviLe cattive notizie sono sempre attorno a noi: disastri naturali, guerre civili, zone di conflitto... Il bisogno di aiuti umanitari, cibo o medicine, è estremamente altro. Ma come But how to cure psychological pain? Cafébabel met with Kevin Brooking, co-founder of Clowns et Magiciens sans frontières (CWB-Belgium), who talked to us about bringing a smile to the faces of people who need it the most.
Il rito che genera gioia
cafébabel: Chi sono i Clown e Maghi senza Frontiere?
Kevin Brooking (KB): Quando abbiamo fondato Clowns without Borders in Belgio, ne esistevano già uno in Francia, uno negli USA ed uno in Spagna, eravamo quindi il quarto dei membri di CWB. Agli esordi, assieme a me c'era un mago - per questo siamo i Clown e Maghi senza Frontiere - ed un clown marionettista. Abbiamo iniziato l'avventura di ritorno da Gaza, dove avevamo partecipato ad un workshop di una settimana. Eravamo rimasti molto colpiti dall'esperienza, dal vedere com'è scambiarsi idee sull'insegnamento del circo e del teatro attraverso l'arte e la cultura, per comunicare con le persone e per dar loro voce.
CB: Cosa fate quindi esattamente?
KB: Dipende dal progetto. Ogni progetto è diverso, cambiano il pubblico e la ragione per cui partiamo - noi li chiamiamo "tour". Abbiamo recitato in campi profughi in cui avevamo un pubblico anche di 2.000 persone, perciò dovevamo assicurarci che le immagini e le performance fossero adatte a comunicare con un pubblico così vasto. Ragioniamo anche sulla ragione per cui siamo lì, sul contesto in cui ci troviamo. Per esempio, l'ultimo tour lo abbiamo fatto in Nepal, dopo il terremoto. Gli artisti dovevano assicurarsi di proporre uno show che fosse molto "leggero", cioè che consentisse loro di girare zaino in spalla, dal momento che avrebbero dovuto raggiungere dei piccolissimi villaggi distrutti che non erano accessibili se non percorrendo lunghi tragitti. Hanno camminato talvolta per ore sulle montagne, ragione per cui occorreva preparare uno spettacolo che fosse sì leggero, ma allo stesso tempo adatto ad essere messo in scena di fronte a 300-500 persone.
Un tour non è una cosa da ridere
CB: Come si svolgono la programmazione e la realizzazione dei tour?
KB: Collaboriamo sempre delle ONG internazionali con cui lavorare sul campo come partner locali. Scelto il paese in cui vogliamo andare, prendiamo contatti con questi partner e sono loro che, conoscendo bene zona e contesto, procedono all'organizzazione dei tour. Ad esempio, in Nepal c'erano apposite aree per bambini create per consentire ai genitori di lavorare alla ricostruzione delle loro case, villaggi, scuole che erano stati distrutti. Avevano perciò bisogno di questi spazi dove i bambini sarebbero stati al sicuro, e dove avrebbero potuto anche riprendersi dal trauma subito. I nostri partner sapevano che questi sarebbero stati gli spazi perfetti per lo spettacolo dei Clown Senza Frontiere!
CB: Quali sono le sfide più grandi che affrontate?
KB: Vanno dal semplice al più complesso. Ad esempio, a dicembre, ci è capitato di fare le prove uno spettacolo - che saremmo poi andati a fare in Burundi - durante il quale dovevamo saltare con la corda, in una stanza fredda e senza riscaldamento qui in Belgio. Chiaro, in quelle circostanze si poteva saltare con la corda tutto il giorno ed era fantastico, ci aiutava a tenerci caldi. Peccato che, la prima volta che abbiamo messo in scena lo spettacolo in Burundi, con il suo clima tropicale, siamo semplicemente stramazzati a terra esausti e abbiamo realizzato che non potevamo saltare con la corda come avevamo fatto in Belgio, in inverno! Perciò abbiamo dovuto tagliare tutte le parti con il salto della corda. Sono cose a cui semplicemente non pensi mentre stai provando, ma da questi errori si impara. Spesso lo spettacolo viene cambiato anche per metà.
Scopriamo però anche cose meravigliose da aggiungere allo spettacolo. Durante quello realizzato in Nepal, c'era questo piccolo bimbo-marionetta che camminava su di una corda che ha conquistato l'attenzione in modo sbalorditivo, la gente lo ha amato! La donna che lo manovrava era davvero brava, è riuscita come a dar vita alla marionetta mentre lo faceva camminare sulla corda. Qualcosa di questa fragilità ha creato un'immagine a cui le persone si sono semplicemente connesse.
Come prendere sul serio un clown
CB: E per quanto riguarda l'aspetto amministrativo dei tour? Avete mai avutoproblemi con le autorità locali?
KB: Ci sono molte situazioni diverse. C'è la situazione in cui tu hai un formale permesso per entrare nel villaggio; se invece ci vai senza i dovuti documenti, o se non sei il benvenuto, può venirsi a creare un problema serio con le autorità. E' per questo che fare delle visite di cortesia è così importante. A noi è successo di avere negato l'accesso ad un'area in Burundi, perchè il capo della regione era assente ed il suo sottoposto non poteva assumersi la responsabilità di lasciarci entrare. Abbiamo dovuto chiamare l'ambasciata belga, che conosceva il capo di quell'area, e che lo ha poi contattato così che noi potessimo finalmente entrare e fare il nostro spettacolo.
Un altro incidente ci è successo mentre eravamo in Chad per recitare nei campi profughi, e dovevamo quindi fare prima una visita di cortesia al sindaco del villaggio dove si trovava il campo, una al coordinatore del campo ed una al capo della polizia o dell'esercito. Dovevamo certo ottenere le dovute autorizzazioni, ma loro non sapevano nemmeno cosa fossae un clown. In francese, clown si pronuncia ‘clùn’. Perciò una delle prime domande rivolteci dal soldato, quando abbiamo detto di essere di Clown Senza Frontiere, è stata "Cos'è un clou?” (clou significa chiodo, ma in francese si pronuncia ugualmente ‘clu’, quindi in modo molto simile a come si pronuncia la parola clown) “Cosa siete, cloni?Chiodi?”, “No, nessuno dei due, siamo clown!”. E quando abbiamo fatto un trucchetto magico per mostrarlo a lui e agli altri, tutti sono scoppiati a ridere, il tono della conversazione improvvisamente cambiato. E' stato molto divertente!
CB: L'aiuto umanitario è solitamente associato a cose materiali. Siete mai stati trattati con scetticismo per quello che fate?
KB: Abbiamo assistito a molte reazioni diverse. Noi portiamo sì dell'aiuto, ma non in forma di oggetti. In una scuola in cui abbiamo recitato in Burundi, a un certo punto ci hanno chiesto: “OK, avete fatto il vostro spettacolo, ora dov'è la roba che ci lascerete? Dove sono i giocattoli?” e noi “Beh, siamo noi i giocattoli!”. I bimbi però hanno capito. Hanno guardato lo spettacolo, lo hanno apprezzato, e poi, quando siamo tornati, se lo ricordavano. Delle volte si sentono storie di clown che tornano e scoprono che le canzoni che hanno cantato durante il loro spettacolo vengono ancora cantate, mesi e mesi dopo la performance. Le gratifiche per quello che facciamo arrivano, anche se sono discrete, sottili. Molte delle sfide, così come delle frustrazioni, vengono dal fatto che sentiamo di non poter fare abbastanza. Non puoi mai fare abbastanza. Vedi bambini giocare a calcio con sacchetti di plastica legati assieme e pensi “Cosa ci vuole a portare una scatola di palloni da calcio sgonfiati, gonfiarli e regalarli?”. Ed è allora che realizzi che puoi portare cose, fare il tuo spettacolo, fare tutto quello che è nelle tue possibilità e, ancora, non è sufficiente. Ed è questa la vera sfida.
Senza frontiere
CB: Fate molti tour all'estero. I belgi invece, dove possono vedere le performance dei Clown e Maghi senza Frontiere?
KB: Abbiamo anche una progettualità in Belgio, all'interno della quale lavoriamo in molti modi diversi. Abbiamo avuto uno splendido progetto intitolato “Clown in carcere” in cui i clown andavano nelle prigioni durante i giorni di visita. Quando una mamma e un figlio vanno a trovare il papà che si trova in prigione, può crearsi una situazione molto delicata, perciò abbiamo ideato un piccolo spettacolo in cui i bambini potevano andare a far visita ai loro papà, e la cosa ha in qualche modo rotto il ghiaccio. Mettiamo in scena spettacoli per famiglie di senzatetto - nei centri che ospitano gli homeless- ma abbiamo anche recitato in centri per rifugiati, ed ogni anno facciamo uno spettacolo al Petit-Château. Spesso, in Belgio, i rifugiati trovano riparo nelle chiese, ed anche lì abbiamo messo in scena i nostri spettacoli - è stata un'esperienza incredibile! Noi lavoriamo ovunque, non deve necessariamente essere all'estero.
CB: In quali modi provate ad abbattere le barriere e cancellare lo stigma?
KB: Ci sono più rifugiati oggi, nel mondo, che quanti ve ne siano stati in ogni altra epoca storica, persino durante la Seconda Guerra Mondiale. 60 milioni di rifugiati (fonte: UN data) significa una quantità impressionante di sfollati, traumi ed instabilità. L'integrazione è una delle cose che vogliamo realizzare, attraverso l'ideazione di spettacoli in cui i bimbi del luogo e i bimbi rifugiati giocano insieme. Quando abbiamo recitato in Indonesia dopo il terremoto, a seguito del quale un numero incredibile di persone si è ritrovato paralizzato, disabile o addirittura con gli arti amputati per via del crollo degli edifici, l' Unicef ci ha suggerito di fare uno spettacolo con i bambini disabili, ma che coinvolgesse anche le scuole locali. E' stato allora che ho imparato che l'interazione è un mezzo potente e prezioso affinchè le nostre performance riescano a mettere assieme le persone, a farle incontrare veramente. Così abbattiamo le barriere, siamo senza frontiere!
*La città di Bruxelles ha concesso ai Clown e Maghi senza Frontiere - Belgio due finanziamenti, erogati dal Ministero delle Relazioni Estere, uno per dei tour in Libano, Iraq, Siria e Bulgaria (per i rifugiati siriani) ed uno per il tour in Nepal per le vittime del terremoto.
Se credi che valga la pena aiutare i Clown a diffondere la gioia, dai un'occhiata al loro sito web ed alla loro pagina Facebook
Translated from Spreading laughter: clowns without borders