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Iraq: gli europei devono ritirarsi

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Adriano Farano

L'orrore delle torture e degli attentati non accenna a cessare. Ma lo scontro delle civiltà può ancora essere evitato. Ecco come.

Pensavo che Saddam fosse un terribile dittatore e che, di conseguenza, un cambiamento di regime a Bagdad avrebbe costituito comunque un miglioramento. Fin quando permaneva la speranza che la situazione sarebbe migliorata, l'assenza di un mandato ONU o delle armi di distruzione di massa non importava granché. E' per questo che ho appoggiato la guerra in Iraq. Ma le cose sono cambiate.

Gli ultimi sviluppi - dalle atrocità commesse contro i prigionieri iracheni all'omicidio di Izz ad Din Salim, fino alle eliminazioni di non-iracheni - mi hanno convinto del mio errore. I trattamenti inumani che gli americani hanno fatto (o stanno facendo?) provare ai prigionieri iracheni, con o senza ordini di Washington, non fanno che rafforzare l'idea che non c'è differenza tra il governo statunitense e il regime di Saddam. Quando invece ci avevano promesso delle differenze abissali: il nuovo Iraq doveva essere un esempio smagliante di democrazia e di rispetto della dignità umana. Il sogno non è diventato realtà.

I paesi che hanno aderito alla coalizione dei volontari guidata da Washington non sono andati in Iraq per il petrolio o per vantaggi economici. In Polonia si è parlato di motivi inerenti "alla libertà vostra e nostra". Si credeva che la democrazia in Medio Oriente fosse più importante di qualsiasi mandato ONU. Ma se la presenza di forze polacche è stata legittima in passato, adesso non lo è certo più.

Che fare?

Gli europei devono ritirarsi dalla regione. Gli inglesi e i polacchi devono ammettere che la loro missione è fallita. Non a causa loro, ma a causa del loro principale alleato: gli Stati Uniti. Devono ammettere che non è più possibile portare pace e democrazia in Iraq. Devono dare una lezione di modestia agli americani. Perché, cara signora Fallaci, la cultura occidentale non è superiore a nessun'altra. E questa lezione è necessaria per evitare una Palestina globale, con gli iracheni nel ruolo dei palestinesi e gli Stati Uniti che diventano Israele.

La verità è che tutta la comunità internazionale deve agire. Abbiamo bisogno di un nuovo mandato dell'ONU. I musulmani e altri stati non occidentali come il Giappone, la Nigeria o l'India devono impegnarsi in Iraq. A Bagdad, non c'è più posto per truppe europee, americane o russe.

L'11 marzo e l'Iraq

La lotta contro il terrore deve essere combattuta su scala globale, rimuovendo il sostegno finanziario ad Al Qaida e a chi ne arma le falangi della morte. Le soluzioni militari sono sempre l'ultima ratio.

L'Occidente ha bisogno di nuovi leaders. Dobbiamo pagare il prezzo del fallimento in Iraq. Se tutto va bene Blair dovrebbe richiamare le truppe quest'estate. E il Segretario alla Difesa americano, un giorno, dovrebbe comparire proprio di fronte a quella Corte Penale Internazionale che gli USA non vogliono riconoscere. Anche Bush non dovrebbe esserne esente.

E l'Europa? No, "noi avevamo ragione" si esclama a Parigi o Berlino. Ma la verità è che non c'è tempo per simili recriminazioni. L'11 marzo ci insegna che la guerra al terrore è anche la nostra guerra. Quel che conta è l'unità e politici capaci di lavorare insieme per evitare altri 11 settembre.

Multilateralismo; nuovi leader a Washington e Londra; un nuovo approccio al terrorismo. Di questo abbiamo bisogno per scongiurare il materializzarsi dello scontro delle civiltà di Huntington, e per portare pace, democrazia e rispetto dei diritti umani in tutto il Medio Oriente.

Translated from Iraq: From Despair to Democracy