Inaki Gabilondo: le responsabilità del giornalista
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tiziana zoccheddu«Non esiste un tema spagnolo che non sia anche europeo» dice questo giornalista spagnolo. Inaki Gabilondo rappresenta la curiosità, l’intelligenza e la responsabilità del buon giornalismo. Per questo è sulla cresta dell’onda da oltre venticinque anni.
Inizia scusandosi di «avere poco tempo» ma in realtà sa già che ci concederà tutto il tempo che vorremo, perché da quando ha sentito parlare di café babel non fa altro che ripeterci: «Voglio sapere quello che fate e come». È Iñaki Gabilondo, la curiosità fatta radio.
Il leader della radio spagnola ci riceve in una sala che si affaccia sulla Gran Vía Madrilena, senza nemmeno prendere fiato dopo aver finito Hoy Por Hoy (“oggi come oggi”, ndr), il suo programma, in onda ogni giorno dalle sei di mattina alle dodici sull’emittente Cadena SER. È mezzogiorno in Spagna, e nei bicchieri non c’è caffè ma birra rinfrescante e altre bibite. Una analcolica per lui. Per noi, acqua ben fresca.
Il giornalista nella nostra società
Da giornalista a intervistato: quando gli chiediamo se questo nuovo ruolo lo mette in imbarazzo, risponde di no: si tratta pur sempre di dialogare, e questa per lui è una passione: si tratta di capire quando deve far domande e di essere capito quando risponde.
Dato che il giornalismo è un mestiere come altri – mutevole, soprattutto negli ultimi tempi – i giornalisti avranno analisi da fare e cose da dire, pensiamo. Ma Gabilondo insiste nel dire che, alla fine, gli pongono sempre domande a sfondo politico – perché gli approcci, secondo lui, sono molto politicizzati – o sullo stato dell’opinione pubblica. Per la loro condizione di osservatori professionali, i giornalisti sono specialisti di idee generali e passano il tempo a osservare i fatti del giorno, i personaggi e tutto il resto, il che dà loro un’idea – priva di valore scientifico, sia chiaro – di ciò che si dice e si pensa.
Un giornalista che critica il giornalismo attuale
Quando gli chiediamo del dibattito tra i media e nei media, è categorico: «questo dibattito non esiste, almeno in Spagna. Penso che negli altri paesi vi sia più dibattito rispetto a qui, perché probabilmente sono pochi i paesi europei dove così tanta energia è dedicata a temi sin dal principio di poca utilità pratica. Il mondo sta vivendo una enorme trasformazione e tutti stanno cercando di capire come dovrà essere l’educazione, la pace, etc. Invece in Spagna ci interroghiamo ancora su cosa sia la Spagna». Con grande dispiacere di Iñaki Gabilondo, il dibattito non esiste, almeno non nell’accezione di un tema che si mette sul tavolo e sul quale si intrecciano le opinioni, sperando di metterle in comune o di marcare chiaramente le differenze. Quando gli chiediamo della vocazione al servizio pubblico nel mestiere del giornalista, insiste che questa vocazione dovrebbe far parte del mestiere, ma che si vede che è minacciato dalla propaganda. Spiega: «il giornalista è in sostanza uno che fa servizio pubblico. Solo dopo, è uno che lavora in una società privata o pubblica, dall’Opus Dei al Partito Comunista. Ora si è prodotta un’inversione: spesso la responsabilità verso la società per cui si lavora ha più importanza di quella verso il pubblico. Per quanto mi riguarda, mi sento molto più responsabile di fronte ai cittadini, agli ascoltatori del mio programma, che verso la mia azienda.Anzi: la lealtà nei confronti dell’azienda è per me una diretta conseguenza della lealtà nei confronti degli ascoltatori».
Insistiano: «E non pensi che ci sia fin troppa opinione in Spagna e in Europa?», ma lui risponde: «Non importa, perché non si tratta di un problema di opinione». Mettiamo allora l’accento sul fatto che i programmi sono molto “editorializzati” ma Gabilondo resta impassibile: «questo non è negativo però». Per il giornalista spagnolo, quello che è pericoloso è che si usino le opinioni senza che sia necessario per fare informazione. Spiega: «Io ho bisogno di sempre più informazioni per avere un’opinione, ma tuttavia mi sto rendendo conto che si costruiscono opinioni con pochissima informazione, senza informazioni o a dispetto delle informazioni».
Ci viene proprio il dubbio che nel giornalismo sia tutto inventato e lui si mostra molto critico. A volte, un po’ per scherzo, propone che il giornalismo faccia ogni dieci anni delle pause biologiche, perché la società si riprenda da tutte le sferzate date dal giornalismo stesso in nome della sua propria logica e non in quello della società.
L’Europa nello sguardo
Si parla molto di iper-informazione, ma talvolta è una menzogna: «non ci sono lacune informative?» chiediamo per vedere se sente la mancanza di un’informazione europea. «Certo che sì. Tutti sono stati convinti che il proprio fosse il tempo in cui “i giochi erano ormai stati fatti” e poi puntualmente si è scoperto che non era così. Io non so tutto: sono figlio del mio tempo e sono influenzato dalle limitazioni che esso mi impone. Ma oggi parlando con te ho scoperto una strada che non conoscevo: quella di café babel». A questo punto ci mostriamo un po’ scettici all’idea di suggerire che forse l’Europa è sempre una cosa da élite, ma lui ribatte: «stiamo parlando di un processo lungo», dice in tono tranquillizzante. Pensa che oggi i temi europei siano ancora un lusso a cui si accede quando non ci sono altri problemi.
Vivere il presente come garanzia del futuro
«Io non so prevedere il futuro», ci risponde quando gli chiediamo previsioni sui mezzi di comunicazione partecipativa della nuova realtà, «E per di più tutti i pronostici sul futuro sbagliano. Quello di cui sono certo è che appariranno molti modi di strutturazione dell’informazione». Ci racconta di avere l’impressione di vivere su una ruota panoramica mentre si scatena un terremoto: «si realizzano fenomeni di integrazione in tutti i campi, perché non si fa integrazione anche nella comunicazione?».
Vogliamo sapere, alla fine dell’intervista, se dopo aver superato tanti gradini negli ultimi venticinque anni per conquistare la fiducia del pubblico non senta che gliene restino ancora degli altri, ma su questo non transige: «non ho mai avuto la pretesa di salire dei gradini, ma solo di vivere un giorno, poi un altro e poi un altro ancora. Sono un uomo fortunato: la gente vive in una realtà mutevole ma non se ne rende conto. Il mio lavoro consiste nel guardare in faccia questa realtà e contarla in ore, minuti e secondi. È un privilegio che mi permette di rendere ogni giorno diverso dagli altri. Il programma che farò domani sarà diverso da tutti quelli che ho fatto finora. È nuovo per me come lo sarebbe per un ragazzino che debutta in radio domattina. Tutta la mia vita è stata così. Prima del programma, alle cinque di mattina, vado su dai miei colleghi in terrazza e dico loro: “vi comunico che questa è l’ultima alba che vedrete oggi”. L’unica cosa che dò per certa – conclude – è il processo europeo. Trovami un tema spagnolo che non sia europeo».
Translated from Iñaki Gabilondo: la responsabilidad del periodista