Il nano europeo e il Gigante a stelle e strisce
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marco valerio lo preteSe da una parte le élite americane guardano all’Unione Europea come si guarda ad una potenza economica con cui fare i conti, dall’altra parte c’è un’opinione pubblica statunitense molto meno convinta di ciò.
Per l’americano medio, che nella maggior parte dei casi non ha mai attraversato l’Atlantico e che ha a disposizione soltanto una superficiale copertura televisiva dell’Unione Europea, il Vecchio Continente rimane il reame lontano degli stati sovrani e delle differenti nazionalità del tutto stereotipate. Molti americani sono all’oscuro del fatto che l’euro ha rimpiazzato dodici valute nazionali e che al di qua dell’oceano si tengono regolarmente elezioni per un Parlamento Europeo. L’Ue, ben lungi dal trasformarsi in una futura super-potenza rivale, è di conseguenza vista come poco più di una Comunità economica europea cui si sia deciso di cambiar nome.
Differenza di classe
La ristrettezza di vedute americana non è di certo una virtù, ma ha le sue motivazioni. Gli Usa ricoprono una superficie più che doppia rispetto all’Unione Europea e i suoi unici confini internazionali sono quelli con il Messico ed il Canada. A ciò si aggiunga il fatto che i cittadini americani godono soltanto della metà dell’ammontare di ferie pagate di cui godono i cittadini europei; si faccia due più due e non sembrerà poi così sorprendente che l’americano medio sia più propenso a passare le vacanze nel proprio Paese piuttosto che all’estero. Sfortunatamente questo si traduce in una mancanza di esperienza diretta che invece sarebbe necessaria per arricchire il proprio bagaglio culturale o per correggere quelle visioni distorte che potrebbero avere dell’Europa.
La musica cambia se prendiamo in considerazione le élite politiche ed economiche a stelle e strisce, includendovi i più di dieci milioni di americani che volano in Europa ogni anno. La loro prospettiva si basa su un’esperienza diretta e su un ricorso maggiore, per quantità e qualità, a notizie sugli affari internazionali. Il senso comune diffuso tra queste élite vuole che l’Ue costituisca un modello di integrazione economica, più che politica: una prova cristallina del fatto che l’abbattimento delle barriere commerciali produce prosperità.
Se da una parte solo il 14% di un campione di opinione pubblica intervistato nell’ambito del rapporto “Global views 2004” del Chicago Council on Foreign Relations vede «la competizione economica dell’Europa come un problema», le élite del paese credono fermamente che il ruolo del dollaro americano come riserva monetaria primaria potrebbe essere conteso dall’euro. L’ansia non nasce dal fatto che le banche centrali dell’Asia orientale e del Medio Oriente possano rimpiazzare da un giorno all’altro il dollaro con l’euro: nasce piuttosto dalla possibilità che queste banche centrali decidano di ricorrere ad un mix di dollari ed euro, aumentandone la quota nelle proprie riserve.
Qualora il dollaro non fosse più così essenziale per la stabilità dei mercati valutari globali, il suo valore, nel confronto con le altre valute, tenderebbe a riflettere la forza reale dell’economia statunitense. Con la diretta conseguenza che il suo valore sarebbe potenzialmente sottoposto a maggiori fluttuazioni. Questo potrebbe convincere i creditori internazionali a richiedere tassi di interesse più alti in cambio del maggior rischio finanziario: ipotesi che in pochi negli Stati Uniti si augurano di vedere realizzata.
Divario politico
Ma quelle stesse élite che percepiscono l’Ue come una super-potenza economica, credono allo stesso tempo che sia improbabile l’emergere dello stesso Vecchio Continente come super-potenza politico-militare, quantomeno in un futuro prossimo. Sono convinte che nei decenni a venire solo Washington avrà la capacità militare e la volontà politica di rispondere alle gravi crisi di sicurezza a livello internazionale, proiettando la sua forza militare capillarmente su scala internazionale. Le guerre in Bosnia e Kosovo hanno convinto i liberal statunitensi del fatto che gli europei sono incapaci, senza una leadership d’oltreoceano, di agire con efficacia perfino nel giardino di casa. I conservatori americani hanno maturato pressapoco la stessa convinzione nei confronti del Medio Oriente, nonostante l’alto prezzo della Guerra in Iraq stia erodendo una fetta della loro fiducia sulla possibilità di un’affermazione militare unilaterale da parte degli Usa.
In realtà alcuni conservatori semplicemente scartano l’ipotesi di vedere emergere l’Unione Europea come un attore decisivo politicamente e militarmente anche nel lungo termine: sono convinti, infatti, che le storiche rivalità nazionali renderebbero tutto ciò difficilmente realizzabile se non addirittura impossibile. Quei conservatori che invece vedono questa ipotesi come plausibile, sono divisi riguardo all’auspicabilità di uno scenario simile. I realisti in politica estera guardano a questa prospettiva con imparzialità se non con atteggiamento positivo, visto che un’altra superpotenza democratica verrebbe a spartirsi il fardello della gestione dei conflitti internazionali; i neo-conservatori invece vedono la riluttanza – tipica delle élite europee – ad usare una diplomazia stringente e la forza militare, come un ostacolo al loro grandioso progetto di imporre un ordine globale democratico-capitalistico. Nel frattempo, da Washington, gli esperti liberal di politica estera, lontani dal potere dopo la sconfitta dei Democratici alle presidenziali del 2000 e del 2004, ritengono futuribile e positivo l’emergere dell’Unione Europea come un soggetto forte politicamente e militarmente.
Mentre i recenti referendum sulla Costituzione europea hanno costretto la maggioranza degli europei a riflettere seriamente sulle implicazioni di avere una Ue in veste di entità sopranazionale, non ci sono altrettanti motivi di riflessione per gli statunitensi. La coscienza popolare americana in materia di affari esteri è risaputamente prigioniera di una scarsa copertura mediatica degli eventi internazionali. E, dal momento che l’Ue non agisce come un blocco unico in materia di politica estera, la maggioranza dei cittadini statunitensi la collega ancora con una qualche crisi, passata o presente, nelle relazioni estere americane. D’altra parte le élite americane sono coscienti del ruolo giocato dall’Europa, ma sono ancora divise sul giudizio della sua importanza globale e sulla sua desiderabilità.
Translated from The EU is no rival for the US