Participate Translate Blank profile picture
Image for Il Libano, "epicentro" della crisi dei rifugiati siriani

Il Libano, "epicentro" della crisi dei rifugiati siriani

Published on

BerlinoBruxelles

Un approfondimento sul Libano, il Paese in cui i rifugiati siriani rappresentano più del 25% della popolazione, in un momento in cui in un'Europa popolata da 500 milioni di cittadini si discute per ripartirsi meno di un milione di rifugiati.

Il Libano, questo piccolo Paese al confine con la Siria, ha circa 4 milioni di abitanti ma oggi conta più di un milione e mezzo di rifugiati siriani, su un territorio non più vasto dell'Abruzzo. Per fare un confronto, i rifugiati siriani in Europa rappresentano, con 1 milione di rifugiati nel 2015, lo 0,2% della popolazione europea.  

A settembre il Paese è stato di nuovo preda di una grave crisi politica dovuta alla "protesta dei rifiuti". Il Libano ha dovuto far fronte ai numerosi problemati legati all'afflusso dei rifugiati: sovrappopolazione, instabilità politica, gestione dei beni di prima necessità, limitazioni finanziarie, organizzazione dei campi per rifugiati. «I rifugiati sono messi a dura prova. Dal loro arrivo, si trovano già in una situazione difficile, poiché subiscono le conseguenze dirette della violenza e hanno subito delle perdite (…). Certe patologie che erano in remissione riemergono. Perdono ogni speranza. Allo stesso tempo le condizioni di vita dei rifugiati peggiorano un po' di più ogni giorno, nel momento che un numero crescente di siriani attraversa le frontiere per venire in Libano. Wadi Khaled, nel nord del Libano, e Aarsal, situata nella pianura della Bekaa, conoscono bene il problema serio della sovrappopolazione, mentre a Tripoli gli affitti sono superiori alle cifre che queste persone possono permettersi,» spiega Fabio Forgione, capo della missione di Medici senza frontiere.

Secondo Amnesty International, il Libano è l’«epicentro della crisi dei rifugiati siriani». Secondo Salil Shetty, segretaria generale di Amnesty International, «il Libano conta un rifugiato ogni cinque abitanti, la più grande concentrazione di rifugiati per abitante del mondo. Noi abbiamo visitato la pianura della Bekaa. Non c'era un solo rifugiato tra quelli che abbiamo incontrato che non volesse  tornare a casa, un'opzione surreale nel futuro prossimo».

Nonostante ciò, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni unite (PAM) aveva annunciato il 1° luglio la riduzione degli aiuti per i rifugiati siriani in Libano per mancanza di finanziamenti. Mercoledì 23 settembre, i Capi di stato e di governo hanno raggiunto un accordo in cui s'impegnano a fornire ai Paesi limitrofi un miliardo d'euro (500 milioni euro dalla Commissione europea e altri 500 milioni donati dagli Stati membri), soprattutto alle agenzie delle Nazioni unite e al Programma alimentare mondiale operativi in Turchia, Giordania e Libano. Ma in un contesto di tale tensione e di fronte al disastro umanitario in cui si trova il paese, questo denaro sarà sufficiente? L'Alto commissario delle Nazioni unite stima che sarebbero necessari 5 miliardi di dollari per gli aiuti umanitari solo di quest'anno, compresi gli aiuti a quei Paesi che accolgono i rifugiati.

La crisi dei rifiuti

A metà luglio 2015 Naameh, la più grande discarica del Libano, è stata chiusa. Aperta per motivi di emergenza nel 1998, questa discarica non doveva superare i 2 milioni di tonnellate d'immondizia. Ma dopo quattro ampliamenti in quasi vent'anni, la discarica è arrivata attualmente a 18 milioni di tonnellate d'immondizia. Il 17 luglio 2015 gli abitanti dei villaggi vicini non sopportavano più gli odori nauseabondi e a Beirut i rifiuti non stati più raccolti. L'accumulo dei rifiuti in strada ha fatto scoppiare il malcontento degli abitanti che si sono organizzati nel collettivo "Sarà lei che puzza" e hanno inaugurato una serie di manifestazioni contro l'immondizia 'politica". In effetti sono vent'anni che i rappresentanti politici si sono dimostrati incapaci di prendere delle decisioni in merito al trattamento dei rifiuti, paralizzati dalla corruzione e da convinzioni politiche inconciliabili.

Terra d’asilo e crisi politiche

La politica libanese si basa sulla divisione del potere tra le comunità religiose. Secondo la costituzione, il Presidente della Repubblica deve essere cristiano, il Presidente del consiglio dei ministri musulmano sunnita e il Presidente del parlamento musulmano sciita. Questa fragile divisione è il risultato della presenza di 18 comunità religiose di cui il 31% è rappresentato da musulmani sciiti, il 22% da sunniti, il 5% da drusi, il 23% da cristiani maroniti, il 13% da greco-ortodossi e cattolici e il 3% da armeni.

Storicamente il Libano ha accolto centinaia di migliaia di rifugiati che fuggivano dalle zone di conflitto, specialmente dalla Palestina (465.000 rifugiati palestinesi sono stati registrati nel 2015 dall'UNRWA, l'Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi), e questo è avvenuto con molto poco sostegno internazionale. L'afflusso di rifugiati palestinesi negli anni Sessanta ha destabilizzato profondamento il Paese e ha portato a decenni di instabilità politica (guerre civili, invasioni e occupazione del Libano meridionale da parte d'Israele). Un'instabilità che a tutt'oggi non è completamente risolta, dato che il Libano è ancora senza Presidente della Repubblica da più di un anno. Oggi, in questo contesto, l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati registra 1,18 milioni di rifugiati siriani, mentre l'UNRWA conta 50.000 palestinesi provenienti dalla Siria.

Translated from Le Liban, « épicentre de la crise des réfugiés syriens »