Il futuro incerto della comunità musulmana di Atene
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Federica ArcibuonoAtene è l'ultima capitale dell'Unione Europea rimasta senza un luogo di preghiera adeguato per i Musulmani, la principale minoranza religiosa di Atene. Il governo greco nel 2000 (e poi nel 2006) ha approvato la costruzione di una moschea. Eppure non è stato fatto nulla, costringendo così la comunità musulmana greca a pregare in moschee improvvisate.
Una delle più importanti moschee “underground” è quella di Al Salam Mosque, situata in una piccola stradina ne quartiere di Neos Cosmos. Accanto ad un piccolo supermercato arabo, la moschea di Al Salam era originariamente un garage e uno scantinato.
Più di 100 moschee non riconosciute
La famiglia di Mohammed Rossa è arrivata in Grecia nel 1982 dall'Arabia Saudita, quando lui aveva 8 anni. Nel 1989, due prima della creazione di questa moschea, viene costruito un edifidio destinato alla comunità islamica. Oggi nel quartiere non ci sono tanti arabi come una volta: «In passato c'era una comunità araba. Abbiamo avuto un ufficio per il turismo; un videoclub ai tempi in cui si usavano le VHS; dopo di quello abbiamo avuto uno snack restaurant e un supermercato dall'altro lato della strada. Era più grande. Durante i tempi d'oro lavoravamo qui. C'era un'intera comunità, per cui tutti hanno iniziato a farsi una casa, vicino alla moschea e al supermercato».
Secondo quanto ci dice Mohammed, molti membri della comunità musulmana, così come tanti greci, hanno lasciato il paese alcuni anni fa, cercando miglior fortuna in altri stati europei. Una cosa che continua ad essere evidenziata, qui a Neos Cosmos, è che non c'è stato alcun tipo di pressione religiosa o etnica che abbia potuto incoraggiare i musulmani greci a lasciare Atene. Mohammed, pur essendo arabo, si considera prima di tutto greco: «Se mi mandassero in Palestina [da dove viene la sua famiglia, ndr], non saprei assolutamente da dove iniziare. Io sono cresciuto qui, con i greci, e sono andato in una scuola greca. Per cui... è una cosa che ho nel sangue».
Sua figlia ha addirittura imparato prima il greco dell'arabo. Non ha mai avuto problemi con i greci, né loro con lui. Gli abitanti del quartiere sono come “parte della sua famiglia”, a prescindere dalla loro religione o dalle loro origini. Malgrado Mohammed dica di non aver mai assistito direttamente ad atti di razzismo, è consapevole delle tensioni che dividono le comunità musulmane da quelle non musulmane. Infatti fa riferimento alle recenti manifestazioni di violenza e addirittura alle uccisioni che hanno coinvolto il partito di estrema destra Alba Dorata. A giugno del 2013, Alba Dorata ha inviato una lettera minatoria all'AMG (l'Associazione dei Musulmani in Grecia), dando a tutti i musulmani, greci e stranieri, un mese di tempo per lasciare il paese, altrimenti sarebbero stati «sgozzati come polli». E non si trattava del primo episodio plateale proveniente dagli estremisti di destra. Un paio di anni prima, infatti, alcuni membri di Alba Dorata erano stati accusati di aver fatto sparire oltre 100 immigrati, oltre all'aver promosso svariati attacchi contro i musulmani, come il lancio di molotov contro una moschea bengalese.
«Non avevamo mai sentito parlare di loro prima. Poi, all'improvviso, hanno iniziato a colpire la gente, donne con il velo o pakistani», dice Mohammed a proposito del partito neo-nazista. Oggi ammette di essere preoccupato per la sicurezza della sua famiglia: «Mia moglie è musulmana. Non porta il velo, ma quando lei o le mie due figlie girano per la città, sono sempre preoccupato. Raccomando loro di tenere accessi i cellulari e di chiamarmi se ci dovesse essere qualsiasi problema».
«Nessuno professa il proprio credo in pubblico»
Dovendo affrontare un'ostilità sociale, la comunità musulmana non ha il coraggio di professare la propria religione liberamente. Per Naim El Ghandour, Presidente dell'AMG di Atene, questo è indice di un regresso politico, di un blocco sulla strada per una società multiculturale all'interno dell'Europa.
Questa resistenza nei confronti della minoranza musulmana è alquando sorprendente per l'egiziano Naim El Ghandour e per sua moglie Anna Samrou, originaria di Atene. «Come musulmani, noi siamo pienamente integrati. I nostri bambini frequentano scuole greche, siamo ben educati e riconosciuti in tutto meno che per quanto riguarda la nostra religione! È deludente - sostiene Anna Samrou -. Le persone sono spaventate a professare la propria religione in pubblico, temono reazioni negative».
Mostrare segni religiosi in pubblico non è vietato dal governo. Tuttavia, la comunità musulmana rimane discreta in luoghi di preghiera non ufficiali. Ad Atene ci sono tra le 100 e le 120 moschee non ufficiali. «Non riusciamo ad ottenere l'autorizzazione per costruire una moschea ufficiale. Abbiamo proposto al governo di finanziarla noi tante volte, ma ci è stato sempre detto che non sono i soldi il problema», spiega El Ghandour.
Secondo lui, la principale ragione politica dietro il rifiuto sta nella sempre più crescente influenza che i partiti dell'estrema destra stanno ottenendo in tutta Europa: «Credo che il governo ci appoggerebbe, se non avesse bisogno dei voti della destra. Per cui non possono offrire alcun supporto a nessuna minoranza». L'ultimo annuncio del governo circa la costruzione di una moschea risale al 2014, ma da allora nessuno ha mostrato di voler concretamente realizzare il progetto. Pur essendoci un'ostilità politica nel costruire una moschea ufficiale ad Atene, El Ghandour non ha notato reazioni negative da parte dei cittadini greci: «Personalmente, non ci sono state reazioni negative. I greci non ci impediscono di avere un luogo ufficiale dove praticare la nostra religione. Per esempio, quando i sostenitori della destra hanno organizzato una manifestazione contro il progetto della moschea, non hanno ottenuto un grande sostegno da parte della gente».
Ciò spiega come mai El Ghandour abbia ancora fiducia nel progetto della moschea di Atene. Vede l'attuale stasi del governo come una strategia per affrontare i problemi finanziari del momento prima di avviare quelli sociali. In ogni caso, questa rimane sempre una sfida per la comunità musulmana della città, in lotta per un diritto che è già un dato di fatto nel resto dell'Unione Europea. Una sfida che El Ghandour è diposto ad accettare.
«Si tratta di una decisione politica: dobbiamo spingere! È la decisione di qualcuno che ha il coraggio di dire: 'Si, abbiamo cittadini musulmani e dobbiamo sostenerli, dando loro la possibilità di praticare la loro religione liberamente'».
Scritto da Jennifer Dassy e Saskia Wöhler. Questo articolo è stato creato grazie alla collaborazione tra cafébabel e il Forum 2015 degli Studenti Europei di Giornalismo (FEJS), svoltosi ad Atene, Grecia, dal 16 al 21 di aprile.
Translated from An uncertain future for the Muslim community of Athens