I cineclub tunisini: il cinema come resistenza
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Veronica MontiDalla loro creazione, negli anni '60, i cineclub tunisini sono sempre stati spazi di libertà creativa e intellettuale: un terreno fertile per cineasti, appassionati di cinema e militanti dell'opposizione di sinistra dell'ex-regime di Ben Ali. I reporter di Cafébabel sono andati alla loro scoperta.
La cartina cinematografica della capitale tunisina si riduce a una manciata di sale che per la maggior parte circondano il corso Bourguiba, arteria principale della città: il Mondo, il Rio e il Colisée sono vecchi edifici di architettura coloniale, "splendidamente" decadenti per l'occhio straniero, ma tristemente insufficienti per l'amante della settima arte.
Nascosta tra esse, pullula una corrente alternativa: i cineclub, via di fuga del circolo di Hollywood, paladini del cinema tunisino e rifugio dei militanti di ogni provenienza in un Paese che, fino al 2011, quando è scoppiata la Primavera Araba, viveva sotto un regime autoritario che mutilava anche la produzione cinematografica nazionale. Che lo vogliate o meno, la politica ha investito tutto nei cineclub, anche prima della rivoluzione del 14 gennaio 2011.
Per amore del cinema
"Troppa politica", si lamenta Amel Saadallah, dopo aver riflettuto per qualche secondo, quando le chiediamo perché ha fondato Cinémadart, uno dei primi club indipendenti della Federazione Tunisina dei Cineclub (FTCC). Da 7 anni, tutti i martedì, questo spazio nomade, che ora trova una sua dimora a pochi passi dalle rovine di Cartagine, proietta film di ogni genere che non trovano spazio nel panorama nazionale. Oggi, per esempio, 3 cortometraggi made in Tunisia accendono una discussione animata quando s'illumina la sala. Stando al gran numero di occhiali, pantaloni a sigaretta, labbra rosse e baschi, sembra di assistere a un incontro intellettuale bohémien di una qualsiasi capitale europea; se non fosse che la lingua usata nel dibattito sia l’arabo-tunisino, mescolato a parole ed espressioni francesi. Amel segue attentamente la discussione tra i direttori dei cortometraggi e il variopinto pubblico dalla sua poltrona; poi ammette: "A volte sembra che il film sia solo un pretesto per parlare del problema di turno. Noi vorremmo che fosse il contrario", aggiunge. Questa ragazza dai movimenti dolci, ma dallo sguardo combattivo crede che si stia perdendo l'essenza dei cineclub e vorrebbe staccarsi dalla "militanza" della maggioranza per dedicarsi al "cinema per l'amore del cinema".
Vivere di questa arte in un Paese in cui i lungometraggi prodotti ogni anno si contano sulle dita di una mano e dove ci sono poco più 10 di sale di proiezione, in fondo, è un'altra forma di lotta. Lo sa bene Fatma Bchini, presidente del club più vecchio di Tunisi, il Cineclub di Tunisi. "Comprare un biglietto del cinema a Tunisi è già una forma di resistenza", afferma decisa questa studentessa di medicina di 23 anni, che fa parte anche del Comitato federale dei Cineclub. Fatma parla con entusiasmo delle attività organizzate e spera che proprio in questi spazi si prepari il futuro della nuova Tunisia: "Vogliamo aprire dei cineclub per bambini, per salvare la loro generazione dall'amnesia collettiva, per insegnare a creare e a costruire". Oggi il numero dei club di cinema sono il triplo di quello delle sale ufficiali e "non c'è giorno in cui la Federazione non riceva una nuova richiesta di apertura", afferma orgogliosa Fatma.
POLITICA, GRADO ZERO
“Erano così rudi e rigidi che si capiva al volo che erano poliziotti", ironizza Maher ben Khalifa, membro attivo di questo mondo nascosto dal primo momento che vi ha messo piede – aveva la tenera età di 7 anni. Si riferisce agli agenti infiltrati che assistevano regolarmente alle riunioni del suo club di cineasti dilettanti per prendere nota di quello che si diceva. Stranamente, le autorità hanno sempre tollerato questi piccoli fuochi di dissenso: da una parte, per la loro scarsa visibilità all'interno della società, dall’altra, per fare bella figura di fronte alle democrazie occidentali. In ogni caso, "che si militi per un partito o meno, i cineclub insegnano il dibattito. Il dibattito è il "grado zero" della politica: impari a difendere le tue idee e a metterti in gioco", spiega questo studente di disegno grafico.
Pochi mezzi, molta fantasia
Maher fa parte della Federazione Tunisina dei Cineasti Amatoriali (FTCA). Grazie alla FTCA, a 17 anni, ha potuto girare il suo primo cortometraggio, Kari for dogs: un falso spot commerciale che, ispirandosi alle torture perpetrate nelle prigioni di Abu Ghraib, pubblicizzava cibo per cani composto da carne umana. Ammette apertamente che, almeno a livello tecnico, il suo ingresso nel cinema fu "disastroso".
La sua esperienza esemplifica bene le dinamiche di questo ambiente: per tanto tempo, i club sono stati l'unica scuola di cinema del Paese e al loro interno si sono formate varie generazioni di registi, ma anche di gente ordinaria che aveva semplicemente qualcosa da raccontare. Oggi Maher fa parte del comitato centrale della FTCA e sostiene che al suo interno c’è gente di ogni tipo, "dallo studente di ingegneria, al panettiere, passando per il tassista. La nostra idea è che chiunque voglia fare cinema possa farlo", afferma, ricordando che persino i ministri di Ben Ali sono passati per i cineclub.
Quando è momento di creare e si hanno pochi mezzi disponibili si usa l'immaginazione e ci si dà al bricolage, tirando fuori materiale e idee da ogni dove. "Ho iniziato la mia carriera cinematografica rubando 2 videocamere", confessa candidamente il direttore Sami Tlili, un altro fanatico del cinema che, dopo aver aperto un cineclub nella sua città natale, Sousse, si è dato alla regia. Da ex-cineasta amatoriale, si prende gioco dei film con grandi pretese: "Ma fatemi il piacere! Manca una vite ed è il panico: si interrompono addirittura le riprese!", si stupisce. Il suo primo film, "Che sia maledetto il fosfato", parla delle rivolte nella miniera di Gafsa della primavera del 2008. Un evento che molti considerano il vero germe delle rivoluzioni arabe. "Nonostante gli ostacoli, ne vale la pena. Noi dei circoli alternativi siamo stati gli unici a trattare questo genere di tematiche", riflette Tlili, prima di confessare:"Il regime era un assassino di sogni. E il cinema ci ha permesso di continuare a sognare".
– Questo reportage fa parte della serie di articoli del progetto Euromed-Tunisi, finanziato dalla Fondazione Lindh e realizzato grazie al partenariato con iWatch Tunisia –
Translated from Túnez Cinema Club: resistencia en la escena alternativa