I cechi e la religione: da hussiti ad atei
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emilia gaudianoIn Repubblica Ceca il 63% dichiara non appartenere a nessuna religione. Perché?
Il 63% dei cechi, secondo un’indagine svolta dall’Istituto Gallup nel 2004, dichiara di non aderire a nessuna religione. La percentuale è molto alta rispetto al resto del continente europeo. Per comprendere l’evoluzione del pensiero religioso nella Repubblica Ceca, soprattutto a Praga, occorre fare un salto nel passato. Originariamente tutti o quasi erano cattolici: la Chiesa appoggiava la monarchia e nessuno si poneva alcun problema. Collegato ad Avignone, l’arcivescovo di Praga pagava nel Medioevo pesanti imposte in un clima di corruzione generale. In questo contesto, il prete e conferenziere Jan Hus propose di ricostruire la Chiesa sul «messaggio della Bibbia». Ma il padre di questa "riforma" precoce, che ispirerà persino Lutero, finì al rogo a Costanza nel 1415. All’epoca della dinastia degli Asburgo, il Paese fu sottomesso al cattolicesimo. Ma coloro che si riconoscevano nel pensiero di Huss, gli "hussiti", avevano già creato varie comunità nel Paese.
I momenti bui di Praga la tollerante
Praga è stata anche influenzata dal giudaismo. «È Ibrahim Ibn Jacob, un ebreo spagnolo, il primo a spostarsi a Praga» dice Charles Wiener (foto a sinistra), anziano segretario della comunità ebraica della città che abbiamo incontrato. A partire dal 1492, dopo la riconquista della Spagna da parte dei re cattolici, la città vide l’affluenza degli ebrei sefarditi che fuggivano dalle persecuzioni in corso. Malgrado alcune restrizioni sul matrimonio, la comunità ebraica continuò a svilluparsi fino a raggiungere l’emancipazione nel Diciottesimo secolo. «Quest'ultima – fa notare Wiener – ha toccato molti ambiti, specialmente nel periodo tra le due guerre. I cechi erano filosemiti e gli ebrei si erano così integrati nella società da poter costituire un partito». La sinagoga di Praga, al centro della città, testimonia questa influenza: dal punto di vista architettonico ricorda il quartiere ebreo e la moschea di Cordova.
Durante la Seconda Guerra mondiale, la tollerante Praga attraversa dei momenti bui. Prima dell’arrivo del comunismo, i nazisti avevano già decimato la comunità ebraica. «La guerra a Praga è durata più a lungo dato che i tedeschi sono arrivati nel 1938» ricorda Wiener. «Coloro che avevano scelto di arruolarsi nelle brigate internazionali non sono più rientrati, cosa che li ha certamente salvati. Al giorno d’oggi restano solo tremila ebrei nella Repubblica Ceca, concentrati soprattutto nella capitale».
Islam e comunismo
Una volta entrate nel mirino di Mosca, le comunità religiose sono sotto il suo controllo. La popolazione è fortemente spinta a non credere più in Dio. Diminuiscono le libertà e aumentano le pressioni sui rappresentanti religiosi. È in questo momento, poco propenso alla spiritualità, che l'Islam entra inaspettatamente a Praga. «Durante la Guerra Fredda, alcuni studenti dei paesi arabi che avevano scelto il socialismo si recano nei paesi dell’Est per seguirne gli insegnamenti. Era insolito per i comunisti vederli pregare più volte al giorno» spiega un membro della comunità musulmana d’origine algerina, che vive da molti anni nella capitale. Questa eccezione non deve nascondere però la realtà: sotto il regime comunista gli studenti di teologia erano invitati a scegliere un’altra vocazione. Milan Salajka, professore di teologia di 79 anni, ricorda che «non era possibile praticare la religione. Era vietata sia ai membri del partito sia a chi lavorava a contatto con i bambini». «Per 30 anni – aggiunge – le chiese restarono vuote e gli intellettuali praticanti lasciarono il paese. I cristiani erano stati neutralizzati dal sistema: le questioni religiose erano state affidate al ministero della Cultura.
Per molti giovani «il problema non è Dio, ma la Chiesa»
Sin dall’apertura segnata dalla Primavera di Praga, nel 1968, cristiani e comunisti imparano a coabitare. Ma è con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, che le comunità religiose tornano a respirare. Dal 1991 le chiese riprendono i loro diritti, tra cui quello di celebrare i matrimoni. La religione ricomincia a diffondersi nei vari strati della società, grazie alle associazioni ricreative giovanili e all’insegnamento. Si sviluppa anche una piccola comunità musulmana, composta da circa diecimila membri. Vladimir Sanka, convertitosi all’Islam a 35 anni, è ora presidente della Fondazione islamica di Praga. «Dal 2002 – racconta – alcuni studenti vengono ad assistere alla preghiera del venerdì, tradotta in ceco. Le reazioni sono molto positive. Secondo un'indagine Eurostat del febbraio 2007, il 59 % dei cechi è ateo, il 27,7% cattolico, poco più dell’1% è invece protestante. Nei giovani, il sentimento di rifiuto della religione è talvolta molto forte. «Mia nonna mi ha obbligato a seguire la Chiesa, ma questa non ha alcuna utilità» confessa uno studente di legge. Senza rinnegare totalmente le credenze e rispettando il diritto degli altri di vivere la loro fede, il giovane si scaglia contro «una Chiesa che non ha saputo evolversi col tempo e che è contraddittoria su molti punti. Il problema non è Dio, ma i religiosi».
Lenka (foto a sinistra), una studentessa di 21 anni, è invece una cattolica praticante. Si rammarica che «la morale della società sia indebolita ed influenzata dall’ateismo». Lei che va a sentire la Messa ogni domenica considera la religione come «una questione di carattere privato». Tuttavia, non ammira il nuovo Papa Benedetto XVI: «Non ha carisma, non sono sicura che sia la persona giusta nel momento giusto». Tuttora protette dallo Stato, le minoranze religiose continuano a trascorrere giorni tranquilli. Per Wiener, il segretario della comunità ebraica praghese, «la maggioranza dei cechi non è atea. Più che un vero e proprio rigetto, non c’è conoscenza della religione».
Il Professor Salajka è meno pessimista: «La religione si è assopita, la società ceca vive ancora con le stigmate del passato, ma un giorno si risveglierà». Se Dio vuole.
Translated from Une histoire religieuse marquée au fer rouge