Gediminas Urbonas, un artista politicamente impegnato
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gelsomina sampaoloL’artista 40 enne lituano ha speso metà della sua vita a combattere la privatizzazione per far vedere all’occidente il volto positivo del comunismo.
Gediminas Urbonas è presissimo dalle scartoffie sparpagliate sul tavolo davanti a sé, nel bar-libreria di Vilnius poco distante dal Parlamento lituano. Indossa una tuta mimetica, forse un richiamo inconscio alla vita militare di un tempo. Da ragazzo fu «costretto ad abbandonare gli studi» presso l’Accademia di Belle Arti della città per arruolarsi nell'esercito sovietico. Ma al suo ritorno li riprese e si laureò nel 1994. Urbonas è giudicato uno dei maggiori esponenti dell'arte contemporanea del suo Paese. Poco dopo la caduta del muro di Berlino, insieme alla moglie Nomeda, ha iniziato a studiare le trasformazioni post-sovietiche della società lituana. Per più di dieci anni ha scelto come base Vilnius. Ma le sue opere eclettiche e moderne sono state esposte in tutta Europa.
Si stava meglio quando si stava peggio
«La mia arte è inevitabilmente legata ai contenuti politici» afferma Urbonas, facendo scivolare le sue carte in una giacca scamosciata appoggiata sulla sedia. «Mentre le autorità locali soffrivano per la Perestrojka - il piano di ristrutturazione dell'economia voluto nel 1987 dal leader sovietico Gorbaciov - e tutti avevano paura del Kgb – il servizio segreto operativo dal 1954 al 1991, anno dell'indipendenza della Lituania – io sviluppavo i miei progetti e le mie installazioni perché, all'epoca, il governo ti permetteva di fare un sacco di cose!» esclama ad alta voce. «Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che “il sistema” era fragile. Oggi l'arte contemporanea deve affrontare molti più ostacoli».
Scolpire gli spazi pubblici
Le sue costruzioni, che mirano a combattere lo sviluppo della privatizzazione economica nel Paese, non hanno entusiasmato né le autorità né gli imprenditori locali. «A loro non interessa il significato delle mie opere» afferma Urbonas. E infatti nel 2005 il Comune di Vilnius si è opposto alla creazione dello spazio d'arte Pro-test Lab. Quest'ultimo è stato allestito dentro a un cinema, il Lietuva. L'ultimo cinema indipendente della città salvato dalla demolizione grazie alle 7mila sottoscrizioni cittadine raccolte dall'artista in un forum dedicato al progetto. «Ma il Comune ha giudicato irrilevante la partecipazione popolare e mi ha accusato di aver simulato l'interesse pubblico per salvare l’edificio» spiega l'artista.
Nel 1995 Urbonas creò un altro spazio, il Geležinis Kablys (“L’uncino di ferro”): un luogo d’incontro alternativo per i ragazzi. Negli ultimi tempi, tuttavia, l'artista ha preferito dedicarsi a lavori ancora più concettuali. «Per me - afferma - è diventato più importante studiare i contenuti degli spazi pubblici e i vari interessi che vi si intersecano».
La "corsa" dei piccioni
I coniugi Urbonas parteciperanno alla 52esima edizione della Biennale di Venezia, che verrà inaugurata il 9 giugno. Approfitteranno dell'evento per chiedere la restituzione alla Lituania della sua vecchia ambasciata a Roma, oggi sede del consolato russo. Un modo per riabilitare il ricordo della Lituania di altri tempi, dove "capitalismo" era una parola senza senso. Per l'occasione hanno organizzato anche una simbolica “International Pigeon Race”, per la quale alcuni piccioni bianchi saranno fatti volare da Venezia a Roma.
Mi domando se la controversia sulla sede dell'ambasciata - Villa Lituania - sia così importante, visto è stata occupata per l'ultima volta dai comunisti lituani nel 1940, ma Urbonas è già in piedi davanti a me. «Il nostro progetto potrebbe cambiare l’atteggiamento del mondo occidentale nei confronti dei popoli ex-sovietici» dice infilandosi la giacca. «I lituani, tramite la cultura, possono far conoscere la loro storia all’Europa.»
Mi invita a raggiungerlo a Roma, per aspettare l’arrivo dei piccioni, e poi, senza attendere la mia risposta, scompare di nuovo tra le strade dell’arte e della protesta.
Translated from Gediminas Urbonas: 'There were no real Communist ideas in occupied Lithuania'