Fumetti contro Erdoğan, a Istanbul i roghi non li fermano
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RobertaLe riviste satiriche e umoristiche Leman, Penguen o Uykusuz, sono conosciute da tutti in Turchia. Sfidando la censura e la repressione, gli autori migliori continuano coraggiosamente a disegnare la loro critica della società. Reportage.
«Due mesi fa qualcuno ha provato a dare fuoco alla redazione di Penguen» mi spiega Emre Yavuz, e improvvisamente capisco perché il giorno prima non avessi trovato nessuno, quando mi ero recato, senza appuntamento, nella sede della rivista. Dopo l’attacco, nessuno, dell’ambiente, crede a un semplice incidente: «sono tutti piuttosto nervosi», mi spiega il trentenne. Con Yavuz, redattore e traduttore per il giornale umoristico Uykusuz (“L'insonne”), ho invece appuntamento, e vengo accolto molto calorosamente nei locali della redazione. «È vero, noi definiamo Uykusuz un giornale umoristico, ma in realtà siamo una rivista di fumetti», afferma il mio contatto.
Infatti molte delle storie pubblicate non sono singole vignette, ma fanno parte di una serie. Uykusuz non teme ripercussioni politiche. Tuttavia, hanno rinunciato a mettere la propria insegna sulla porta d’ingresso. Solo l’appariscente logo nel corridoio tradisce l’attività dei ventidue fumettisti che lavorano per la rivista. Misure precauzionali contro le persone che non si limitano a esprimere la propria critica solo con le parole.
Quando i sultani storcono il naso
Eppure, Uykusuz e i suoi omologhi avrebbero delle buone ragioni per esibire all’esterno il proprio orgoglio: dopotutto, la critica attraverso le caricature ha una lunga tradizione in Turchia. Già alla fine del diciannovesimo secolo, il prominente organo olfattivo del sultano Abdülhamid II era motivo di fumetti ironici. Il sovrano ottomano era talmente infastidito dalle barzellette, da parte dei suoi sudditi, da proibire l’uso per iscritto della parola “naso”. Un diktat che ebbe l’effetto opposto, moltiplicando la diffusione delle caricature.
L’epoca d’oro dei fumetti sarebbe arrivata solo settant’anni più tardi: la rivista di fumetti Girgir (“Divertimento”) di Oğuz Aral vendette negli anni ’70 e ’80 fino a 500.000 copie alla settimana. E Aral si rivelò essere un eccellente professore: il grande maestro prese sotto la sua ala intere schiere di appassionati dei fumetti. Ma, ad un certo punto, i discepoli di Aral spiccarono il volo e fondarono i loro giornali. I loro nomi - Leman, Penguen, Uykusuz – sono col tempo diventati famigliari a ogni turco. E, nonostante ci siano talvolta dei dibattiti sui loro contenuti, sono pochi gli edicolanti che rinuncerebbero a inserirli tra le riviste in esposizione. Girgir fu il primo a fornire una valvola di sfogo per la critica contro il governo e la società, in un periodo in cui tutti i partiti politici erano proibiti. Il governo militare, che in altri casi aveva contrastato pesantemente gli oppositori, autorizzò la pubblicazione della maggior parte dei fumetti. «Anche loro hanno letto Girgir e ci hanno riso sopra» dice Cenk Könül, commesso di Gon, uno dei pochi negozi di fumetti a Istanbul.
Ma quei tempi sono ormai lontani: «Dopo la presa di potere dell’AKP (2002, ndr) qualcosa è cambiato. Riusciamo non solo a vederlo, ma anche a sentirlo». Così il trentenne Könül descrive i mal di pancia, che non affliggono solo i fumettisti a Beyoğlu. Tra religiosi, kemalisti, conservatori, di sinistra o democratici, dove prima regnava la tolleranza verso le opinioni diverse, ora prende piede la tendenza a distinguersi dagli altri con tutti i mezzi possibili. Anche altri clienti di Könül confermano questa impressione: «Dicono che in passato i fumettisti scrivevano e disegnavano con più coraggio».
Erdoğan, il gatto senza senso dell’umorismo
Una cosa è chiara: per quanto riguarda la mancanza di senso dell’umorismo, Recep Tayyip Erdoğan può decisamente competere con i vecchio sultano Abdülhamid II. Già nel 2005 il premier turco aveva querelato il caricaturista Mura Kart del giornale Cumhuriyet, critico verso il regime. Costui aveva disegnato Erdoğan come un gatto che si ingarbugliava impotente in un gomitolo di lana, come commento sulle insidie che le politiche del governo presentavano. Il primo ministro, sentendosi denigrato, portò il disegnatore in tribunale e vinse la causa. Kart dovette pagare 5.000 lire turche (circa 2.300 euro). Ma i fumettisti restituirono il colpo e di nuovo fioccarono denunce. Questa volta, però, i giudici decisero a favore dei disegnatori.
La rivista Harakiri, ultima registrata tra gli annali dei giornali di fumetti e satira, sfiorò il fallimento. Nell’estate 2011 gli editori dovettero pagare una multa di 150.000 lire turche (circa 70.000 euro) perché il loro periodico aveva apparentemente “istigato il popolo turco alla pigrizia e all’avventurosità (sic)” e “promosso l’adulterio”. Così perlomeno ritenne la Commissione per la protezione dei minorenni da pubblicazioni oscene, la quale consigliò la vendita della rivista solo in copertine che ne avrebbero celato i contenuti. Nonostante ciò, la redazione di Harakiri continuò a lavorare, sebbene in peggiori condizioni finanziarie. Dovette passare un intero anno, prima che, nel luglio 2012, fosse pubblicata una nuova edizione. Könül l’ha posta in bella vista tra la merce esposta. Nell’angolo in alto a destra campeggia una scritta corta e battagliera: “Poşetten döndük! – Senza copertina!”.
Tuncay Akgün conosce bene questa estenuante lotta in tribunale. L’orologio segna le undici di sera quando il cinquantenne, coperto di sudore, comincia a lavorare nella redazione di Leman. Nel 1987 Akgün, direttore del magazine precedente, Limon (“Limone“), fu condannato ad un periodo di reclusione in carcere. E il caporedattore del giornale che seguì, Leman per l’appunto, è stato denunciato anche dall’attuale governo: il giornale ha dovuto pagare due volte una multa, mentre in un altro caso il processo è stato archiviato. Ma Akgün non vuole cedere alla crescente pressione: «Continueremo la nostra attività esattamente come abbiamo fatto finora, illustrando nei nostri disegni i problemi della società». Tra questi ultimi figurano il cosiddetto “delitto d’onore”, i rapporti con i curdi, la censura sulla violenza domestica contro le donne. Questa indipendenza ha però il suo prezzo: per poter continuare a parlare di tutti questi temi scottanti, Akgün rinuncia agli annunci pubblicitari e deve lavorare, come oggi, di notte e di domenica. D’altronde il luogo di lavoro di Akgün è tutto tranne che nascosto: sotto la sede della redazione si trova il bar Leman Kültür, ben visibile, a pochi passi dalla via principale.
Tra queste mura – tappezzate all’inverosimile con strisce di vignette e vecchie edizioni di Leman – i fan dei fumetti, i non-conformisti, gli attivisti di sinistra e i critici di Erdoğan sono i benvenuti. Qui possono discutere insieme o semplicemente sfogliare in pace le ultime riviste uscite. Ma cosa succederebbe se anche qui passasse un pazzo armato di un accendino o altro? «Non lo sai? - dice Tuncay Akgün, accendendosi una sigaretta - Dio protegge i bambini e i disegnatori di fumetti».
Questo articolo fa parte del progetto di punta di cafebabel.com, arrivato alla sua quinta edizione: «Orient-Express Reporter».
Foto di ©penguen.com; testo: ©Jens Wiesner
Translated from Zeichnen gegen Erdoğan: "Gott beschützt kleine Kinder und Comiczeichner!"