Effetto domino in Bielorussia? Bruxelles agisca
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Dopo Kiev, Minsk? I militanti bielorussi ci credono. Ma, questa volta, l’Unione Europea non potrà svegliarsi all’ultimo minuto. Ecco perché.
L’effetto domino democratico è possibile e Lukashenko, il Presidente bielorusso, lo ha capito. Dallo scioglimento dell’URSS, la Bielorussa è finita nelle mani del tiranno di Minsk che ha conservato tutto del vecchio sistema, inclusi i metodi autoritari. Da quando l’opposizione democratica di Yushenko avanza in Ucraina, però, Lukashenko trema. E inizia a temere che la prossima scadenza elettorale nel proprio paese possa spazzare via il regime e costringerlo a seguire la sorte del collega Kuchma, il Presidente ucraino, assediato per giorni nei propri palazzi da migliaia di manifestanti.
I ragazzi terribili di Minsk
Al palazzo presidenziale di Minsk ormai si sorveglia la situazione in Ucraina minuto per minuto e si punta il dito contro i movimenti nonviolenti che hanno riempito Piazza Indipendenza a Kiev e costretto il ticket Putin-Yanukovic alla retromarcia. Lukashenko sa che il destino della Bielorussia è spesso legato a quello dell’Ucraina e non vorrebbe farne le spese.
I nemici numero uno del regime non sono più i partiti dell’opposizione. L’amministrazione presidenziale bielorussa, che esercita un controllo pressocché totale su paese ed economia, ha capito che i giovani dell’organizzazione ZUBR fanno sul serio e seguono le orme (e gli
insegnamenti) del movimento nonviolento serbo OTPOR, sfidando il regime sempre più apertamente.
Armi segrete: volantini “da giacca” e tanti click
Le loro armi “segrete” sono quelle già sperimentate contro la Serbia di Milosevic, la Georgia di Shevarnadze e l’Ucraina di Kuchma dai terribili ragazzi delle organizzazioni OTPOR, KMARA e PORA. La prima si chiama VYBAR (“Scelta”), il giornale-volantino studiato per essere nascosto tra le pieghe delle giacche anche a qualche decina di gradi sotto zero. La seconda si chiama Internet e permette di mobilitare in qualche click gli attivisti “dormienti” dalla profonda campagna bielorussa alle capitali occidentali. E poi una valanga di azioni dimostrative a metà strada tra goliardìa e disobbedienza. Lo scorso 6 dicembre sulla centralissima via Nemiga a Minsk un militante di ZUBR (arrestato dopo aver commesso il fatto) srotolando 8 metri di libertà per qualche minuto annunciava: “Oggi in Ucraina, domani in Bielorussia!”.
Il tiranno di Minsk risponde: repressione, repressione!
Intanto, oggi in Bielorussia, il governo ha deciso di passare alla linea dura. Poche ore dopo l’annuncio dei risultati a Kiev, Lukashenko nominava un nuovo capo dell’amministrazione presidenziale: Viktar Shejman, noto all’opposizione bielorussa per dei sospetti coinvolgimenti in una serie di assasini politici. Priorità assoluta: riconoscere e stroncare i tentativi occidentali di mettere in crisi il regime con “tecniche populiste”. E di ritorno da un incontro con i colleghi “rivoluzionari” del regime di Kiev, tre dissidenti sono spediti in prigione.
Eppure a Minsk, Aliaksandr Atroshchankau, uno dei responsabili di ZUBR, è incoraggiato dalla posizione ferma dell’Unione europea sulla situazione in Ucraina e spera che quando sarà il turno della Bielorussia, il rappresentante della politica estera Ue, Javier Solana, non si faccia vivo a Minsk soltanto a cose fatte.
Lukashenko in persona ha dichiarato di escludere per la Bielorussia uno “scenario Ucraina” perchè “le persone sagge sanno come interpretare gli errori degli altri”. Speriamo che l’Unione europea ed i suoi governi siano più saggi di Lukashenko e non scendano in campo all’ultimo minuto disponibile (come in Ucraina). Per rendere praticabile alla democrazia
il terreno ghiacciato della Bielorussia. Ed abbattere l’ultima tessera di domino a due passi dai confini dell’Europa dei venticinque.