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Edukators : vacche grasse per il cinema tedesco

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Default profile picture daniela salerno

The Edukators sta riscuotendo successo su tutti gli schermi d’Europa. Tra politica e menage à trois, è un modo di fare film che sta facendo scuola.

Sulla scia del successo internazionale di Good bye Lenin ecco The Edukators, una nuova e inconsueta satira sulla società condita da una sana nostalgia. Ma le similitudini fra i due film non si limitano a questo: gli attori Daniel Bruhl e Burghart Klaussner recitano le parti principali. Il regista e sceneggiatore austriaco Hans Weingartner ha preso spunto dalle sue esperienze di attivista politico per realizzare The Edukators, opera che narra appunto le vicende di un gruppo di giovani estremisti di sinistra che cercano di cambiare la società nello spirito del ’68. La trama stravagante e i personaggi decisamente convincenti, riescono a mettere in scena perfettamente la natura idealista della ribellione e l’anticonformismo della società attuale.

Droga, capelloni e idealismo

L’intreccio è concentrato sulla vita di tre hippies convinti che vivono a Berlino. Jan (Brühl), Peter (Stipe Erceg) e Jule (Julia Jentsch), che irrompono in abitazioni di ricchi borghesi, spostano i mobili e lasciano messaggi del tipo “Hai troppi soldi”, o “I giorni delle vacche grasse sono finiti” (il titolo, quest’ultimo slogan, con il quale il film è stato distribuito in Germania). Lo scopo di queste proteste non violente è quello di far riflettere i ricchi sul benessere che hanno e di avvisarli che “questa situazione appartiene ormai al passato. Quando Jule e Jan vengono disturbati da Hardenberg (Klaussner), il proprietario di una casa in cui sono in procinto di colpire, sono costretti a rapirlo. I tre giovani idealisti finiscono per vagare per le Alpi austriache, con ostaggio a seguito. Durante la loro latitanza, la situazione sfugge loro di mano, e si complica ulteriormente quando Jule scopre che c’è del tenero tra Peter e Jan. Si crea così un triangolo amoroso che ricorda quello del capolavoro di Truffault.

Il vero punto cruciale del film è il modo in cui i giovani radicali sono portati a confrontarsi coi valori della generazione dominante. La cosa interessante è che Hardenberg rivela di aver fatto parte dei movimenti studenteschi degli anni ’60, proclamando di essere tuttora simpatizzante degli ideali di quel periodo. Può essere che in questo frangente le argomentazioni politiche risultino un po’ stereotipate e che il dialogo ricadi eccessivamente su critiche standardizzate del socialismo e del conservatorismo, ma chiunque consideri tutto questo come un difetto decisivo per valutare il film non ne ha afferrato il concetto. Non bisogna intenderlo come un manifesto politico, ma come una rappresentazione intelligente di moralità, fede e amicizia. I tre attivisti sono ingenui, e gli occasionali picchi individualistici finiscono per farli andare in conflitto con il loro idealismo. Proprio per questo, sia loro che il businessman Hardenberg sono dei personaggi gradevoli. Weingartner mette in contrasto l’entusiasmo e la convinzione dei tre giovani militanti con la dolce rassegnazione di Hardenberg, che racconta di tutte le volte in cui era troppo coinvolto per migliorare la società. Il film mette in evidenza anche le differenze tra gli anni ’60 e i tempi odierni: ne sono un esempio i commenti di Jan a Jule: “La ribellione è difficile, adesso. Una volta non bastava altro che avere un po’ di droga e i capelli lunghi, e tutto l’establishment ti era automaticamente contrario…”

Le recitazioni nel film sono tutte efficaci, con Bruhl, Erceg e Jentsch che rappresentano tutti dei personaggi arrabbiati, con ognuno però una propria personalità. Anche Klaussner, recita il suo ruolo in maniera eccellente, diventando sempre più convincente man mano che la storia progredisce. Le riprese della camera a spalla aggiungono un clima di intimità, ma anche di disperazione, se vogliamo, al film, e permette all’audience di coinvolgersi con i personaggi.

Successo internazionale?

Essendo stato presentato al Film Festival di Karlovy, Cinessonne, Varsavia, Londra, Amburgo e Gotheborg, per non parlare della nomina alla prestigiosa Palma d’Oro a Cannes nel 2004, The Edukators, distribuito in Germania e Svizzera lo scorso novembre, è stato largamente acclamato dai critici e dal pubblico di tutta Europa. Ciononostante è difficile pensare che il film possa riscuotere gli stessi successi di Goodbye Lenin, premiato ai Césars e in Baviera al festival del cinema tedesco ed europeo, e che è stato distribuito in trenta paesi. Per coloro che non hanno ancora sentito parlare di questa brillante opera cinematografica, Goodbye Lenin è una satira toccante ambientata nella Berlino Est del 1990. Parla di un giovane (Bruhl) che cerca di far credere alla madre, costretta a letto, che il muro di Berlino è ancora in piedi, e che stanno vivendo ancora nella Germania Est comunista (il padre, impersonato da Klaussner, era scappato all’Ovest).

Presi insieme, Goodbye Lenin e The Edukators, rappresentano delle produzioni ben fatte, originali, che si concentrano sulle relazioni umane ma con un retroterra politico. Tuttavia Goodbye Lenin rimane forse più accessibile, e il suo sfiorare le corde dell’Ostalgia (movimento nostalgico in favore dell’ex Germania Est)

lo ha reso certamente ancor più popolare.

Nonostante ciò The Edukators occuperà ugualmente un posto d’onore a fianco degli altri trionfi recenti e meno recenti, quali sono La disfatta e Lola corre, due esempi del contributo originale e popolare della Germania al cinema europeo contemporaneo.

Translated from Edukating the masses