Documenta 12, nella rete dell’arte
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Anna NarcisiFino al 23 settembre la tedesca Kassel ospita una delle più importanti esposizioni d'arte contemporanea del mondo. Rivolta a tutti, intenditori e non.
Ogni 5 anni, dal 1955, nella tedesca Kassel viene organizzata Documenta, una delle più conosciute mostre d'arte contemporanee nel mondo che dura 100 giorni e che, a detta dell’organizzatore Roger M.Buergel «è diventata nel tempo il termometro dell’arte contemporanea». Rispetto alla Biennale di Venezia, Documenta non si limita a presentare «i migliori artisti internazionali. L'obiettivo è infondere sicurezza alle persone, far capire loro che possono visitare la mostra anche senza una formazione artistica approfondita: qui si possono trovare le risorse necessarie a comprendere l'arte».
“È la modernità la nostra antichità? Cos’è la nuda vita? Cosa deve essere fatto?” sono i tre temi portanti dell’edizione 2007. «Non è un caso che siano formulati come domande: la mostra è concepita per poter trovare qualcosa in essa» si legge sul sito di Documenta 12. La soggettività e la riflessione personale sono al centro dell’evento. E questo è chiaro al visitatore fin dall'atrio della mostra. Qui un monolite d’oro dell’artista John McCracken si staglia nel locale pieno di specchi in cui è possibile osservare la propria immagine riflessa all'infinito.
Tessuto, corde e reti
Gli occhi del visitatore incontrano tessuti e corde un po’ in tutta l’area dell’esposizione. Colpisce in particolar modo l'opera And tell him of my pain della scultrice indiana Sheela Gowda. Grazie a 89 aghi l’artista ha contorto e teso fili per centinaia di metri, dopo averli avvolti con la gomma arabica e colorati con la curcuma rossa. Ha voluto così rappresentare, in una sola opera, la cultura indiana delle spezie, il tradizionale lavoro manuale femminile, la nascita. Ma anche i cambiamenti dell’industria tessile indiana, il significato del colore rosso per l’Induismo e il dolore.
Al piano di sotto si trova Floor of the forest, l'installazione-performance dell'artista americana Trisha Brown, stella della danza postmoderna internazionale. Partendo da un’impalcatura a cui sono stati legati, grazie ad alcune corde, diverse strisce di vestiti, alcune ballerine si immergono nel tessuto, fondendosi con esso.
(Foto: Katrin Schilling/documenta GmbH)
Corde, fili, tessuti colorati che si ripetono e si richiamano. Le opere d'arte sembrano, così, intrecciarsi l'una all'altra.
Silenzio e oscurità contrapposti a video e fotocamere digitali
«Christian, andiamo giù, qui ci sono solo i video!» esclama innervosita una signora, rivolta al suo compagno. Proprio i video dell'opera di Alejandra Riera – Enquete sur le/notre dehors – zittiscono il visitatore. Sistemati discretamente in un angolo buio, gli schermi propongono un dialogo di 4 ore in cui è difficile distinguere la recitazione dal documentario. Nel silenzio della stanza, una compagnia teatrale composta da malati psichici, terapeuti, attori e filosofi si interroga sulla bellezza e sulla tristezza della realtà. Tra illusione psichica e saggezza profetica ascoltiamo frasi come «Peccato esista la pazzia. È la cognizione tecnica del mondo». E poi la testa va in fumo.
Nella nuova galleria c’è meno gente. Qui, attraverso una gigantesca superficie vetrata, è proiettato un video di Iren James Coleman, ma non si sente niente. Dietro al vetro, in cui arrivo a specchiarmi, mi avvolge un grande silenzio. Mi siedo in un’altra stanza buia, che somiglia a un cinema senza le poltrone. Nell'oscurità lampeggiano dei telefoni cellulari. Sullo schermo enorme comincia Retake with evidence, un monologo solitario su uno sfondo minimalista e freddo, recitato magnificamente da Harvey Keitel. Il celebre attore americano rompe il silenzio con un: «Why are you here?» (“perché sei qui?”).
James Coleman: Retake with Evidence, 2007. Interpretato da Harvey Keitel
Mentre Keitel parla con una voce disillusa da fine dei tempi, un signore entra nella stanza senza dubbio per dormire. Davanti a uno sfondo monocromatico e senza fine, con di fronte uno sconosciuto dall’aria accusatoria, mi sento come in Monaco in riva al mare del pittore tedesco Caspar David Friedrich. Il signore s'addormenta e incomincia a russare. Lo centro con una piccola caramella, cosa che non gli impedisce di continuare a far rumore. È arrivato anche un signore con una macchina fotografica digitale. Non si siede, ma per venti secondi fotografa il video sullo schermo, che, però, non osserva. Poi, silenzio meditativo. Il video infinito ricomincia daccapo. «Why are you here?» si sente nell’oscurità. E per un attimo si torna con la mente nell'atrio pieno di specchi.
documenta 12/ Kassel
Dal 16 giugno al 23 settembre 2007. Orario continuato, dalle 10 alle 20.
Museum Fridericianum, documenta-Halle, Aue-Pavillon und Neue Galerie
Translated from Documenta: Im Netzwerk der Kunst