Decolonizzare la storia: "I nostri silenzi non ci proteggeranno"
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Erica RossiDa diverso tempo ormai le lotte antirazziste sono al centro dei nostri dibattiti. Ci siamo però chiesti e chieste: quali strumenti abbiamo per dare vita a movimenti collettivi e solidali che lottino per la stessa causa? È tempo di tornare a fare comunità, di unire le forze per decostruire le narrazioni coloniali della nostra società. Un pezzo nato dalla collaborazione con Forus International, la rete globale delle organizzazioni della società civile.
In tutta Europa, una generazione si getta a capofitto nelle lotte per la giustizia sociale. Cosa si intende per violenza strutturale, violenza di stato e razzismo istituzionale? In quale contesto si applica la nozione di intersezionalità, e cosa significano supremazia bianca e discriminazione sistemica? Perché il termine razza fa ancora discutere? Come si possono inserire questi movimenti di resistenza al centro delle preoccupazioni degli attori della società civile?
Una storia da riscrivere
I giovani d'Europa si alzano, gridano, e si fanno sentire. Spinta da slogan espliciti come I can’t breathe (non riesco a respirare, ndr) e JusticeFor (Giustizia per, ndr), la rinascita dei movimenti sociali si è ritrovata al centro dei discorsi pubblici.
La Brigade Anti-Négrophobie (Brigata anti-negrofobia, ndr), guidata da Franco Lollia, sostiene fermamente l'idea che in Francia il razzismo di stato non sia altro che una componente di un sistema coloniale che esiste ancora oggi, e che sia giunto il momento di proporre delle contronarrazioni. L'associazione è stata fondata in Francia nel 2005, in seguito agli attacchi incendiari che hanno provocato la morte di 52 persone, tra cui 33 bambini dell'Africa Subsahariana, e in seguito alle rivolte legate alla morte di Zyed Benna e Bouna Traoré.
"Il concetto di negrofobia è stato divulgato e reso pubblico in modo tale da definire i confini di un razzismo di stato specifico, un razzismo anti-nero, chiamato negrofobia. L'antirazzismo così impostato, basato sul fatto di parlare di razzismo come fosse un contenitore in cui infilare di tutto senza distinzioni, è il miglior modo per non combattere mai il razzismo", spiega Franco Lollia.
Guidata da attivisti e attiviste che sono essi stessi ed esse stesse vittime e trasformatori di questi sistemi di oppressione, la lotta contro queste ingiustizie in Europa sta entrando in una nuova fase. D'ora in poi la storia dovrà essere raccontata e condotta da coloro che la vivono in prima persona, determinati a non farsi più togliere la parola e a non doversi più scusare della loro esistenza.
La Brigata anti-negrofobia lavora per democratizzare il dibattito sulla realtà della storia coloniale. Con le proprie parole, il collettivo chiama in causa e contesta, come è accaduto il 23 giugno 2020, quando Franco scrisse con inchiostro rosso Négrophobie d’État (Negrofobia di stato, ndr) sulla statua di Colbert a Parigi. L'atto, che è stato poi sanzionato, mette in discussione la storia della Francia e le sue statue, erette a rappresentare l'identità francese. In alcuni casi, infatti, sono il simbolo di una violenza sistemica i cui effetti si fanno sentire ancora oggi.
"Abbiamo voluto offrire un punto di vista diverso sulla questione dell'antirazzismo e soprattutto sull'antirazzismo decoloniale. Ci consideriamo un gruppo decoloniale perché l'idea non è solo quella di decolonizzare territori e corpi ma anche, e soprattutto, la mente. Dato che ogni azione è preceduta dal pensiero, se il pensiero non viene decontaminato e deprogrammato, condurrà sempre agli stessi effetti, senza che se ne abbia coscienza". Attraverso la sua storia personale, Franco Lollia ci racconta che prima di ogni rivolta politica e pubblica è necessario innanzitutto capire sé stessi. Decostruire l'immaginario bianco e l'oppressione che lo accompagna significa prima di tutto decifrare il modo in cui questo immaginario prende forma.
Da piccolo vedeva film della Disney, come del resto tanti e tante, ma crescendo Franco si è poi reso conto che la rappresentazione del Tarzan della sua infanzia nasconde in realtà l'essenza stessa di un colonialismo mascherato da racconto per bambini: "Per l'uno, il Bianco, questo instillerà un complesso di superiorità. Per l'altro, il Nero, un forte complesso di inferiorità. Nonostante si tratti dello stesso programma". Tutto ciò ha portato ad una rivoluzione personale durante l'adolescenza, trasformatasi nel corso degli anni attraverso la conoscenza della storia nera e del suo passato coloniale, per liberarsi dell'immagine negativa che si era costruito e per imparare così ad amare se stesso.
Per colmare il vuoto in questa storia, Franco trova oggi il modo di aggiungere un valore educativo all'intrattenimento. Attraverso la creazione di un gioco di carte chiamato Histoire Noire (Storia Nera, ndr), la Brigata anti-negrofobia invita ognuno a scoprire le personalità nere troppo poco conosciute dal grande pubblico, permettendo alle giovani generazioni di queste comunità di identificarsi in quei combattenti antirazzisti, e quindi di prendere parte, in maniera più consapevole, agli atti di resistenza di cui la Brigata dà prova.
Se la morte di George Floyd ha certamente fatto crescere l'interesse su questo argomento, secondo Franco Lollia è importante prendere coscienza del fatto che questo non sarà sufficiente a combattere il razzismo e la negrofobia. Ritiene infatti necessario mettere in atto dei contro-stereotipi per decostruire le nostre ideologie. "Finché questo non sarà fatto, l'intera popolazione, che è stata addestrata a disprezzare il Nero e ad adorare il Bianco, manterrà sempre nel profondo del suo inconscio questo disprezzo per il Nero e questa adorazione per il Bianco, che si manifesteranno ogni volta che ci saranno grandi crisi economiche, politiche o sociali". È l'educazione di sé e degli altri che ci permetterà di smantellare i nostri confini mentali e di costruire un'unità.
L’arte al servizio dell'attivismo
Il Comitato Adama, la Brigata Anti-Negrofobia, il Belgian Network for Black Lives, il Belgian Youth Against Racism ma anche il Café Congo a Bruxelles sono movimenti e collettivi che si distinguono dalle nostre istituzioni europee per dare alle loro storie delle nuove narrazioni, e cercare di immaginare il mondo di domani: post-covid e impegnato.
Resilienza e verità sono le parole d'ordine di questi militanti, determinati a buttar giù dal loro piedistallo coloro che portano in loro nome l'ideologia del razzismo. A Bruxelles, le statue di Leopoldo II, figura controversa del colonialismo in Congo, sono diventate il bersaglio di un popolo infuriato.
"L'arte è un mezzo che permette di far comprendere le sfide della decolonizzazione"
Ad Anderlecht, nella regione di Bruxelles, quello che una volta era un complesso industriale nasconde adesso un vero e proprio polo culturale per la diaspora africana. Robot impegnati in favore del pianeta e ritratti di leader culturali afroamericani sono esposti al Café Congo, dove Gia Abrassart mette in mostra artisti e pensatori belgo-congolesi. In questo spazio artistico indipendente, le lotte e le resistenze decoloniali sono al centro della riflessione artistica. Concepito come uno spazio interculturale, transgenerazionale e multidisciplinare, il Café Congo vuole essere un luogo di guarigione e di transizione, in una ricerca di riappropriazione del proprio corpo e della propria mente, per restituire a ciascuno l'aura della sua storia personale e collettiva.
"L'arte è un mezzo che permette di far comprendere, in maniera quasi pedagogica e piuttosto ludica, le sfide della decolonizzazione e come riabilitarla nella storia dell'insegnamento e nei libri di testo scolastici". Secondo Gia, l'arte è una nuova forma di narrazione grazie alla quale gli individui emarginati trovano il modo di colmare il divario sociale in cui si trovano. "Gli artisti ai margini rielaborano la loro definizione di cittadinanza, di artivisti, di cittadini, di esseri umani in questa società, dispiegando e rivelando i loro molteplici racconti personali". Qui si decostruiscono le ideologie colonialiste su cui la società è fondata per dare a tutte e tutti lo spazio di esprimersi.
"La pandemia ha esacerbato le vulnerabilità e la rabbia preesistenti. Questa frattura psichica, ecologica, culturale e finanziaria ha spinto le persone nel loro isolamento, portandole a ripetersi «Silence will never protect you» (Il tuo silenzio non ti proteggerà, ndr) - Audre Lorde)", spiega Gia.
Queste riflessioni continueranno a vivere grazie al contributo di forze collettive che permetteranno, entro pochi anni e attraverso movimenti culturali e sociali, di decostruire l'imperialismo e il colonialismo delle nostre società, per restituire ad ognuno lo spazio riservato alla propria storia.
Come Franco Lollia e la Brigata anti-negrofobia, Gia Abrassart e il Café Congo stanno lavorando per rendere visibile questa cancellazione della storia coloniale, rimettendola al centro delle dinamiche delle nostre società. Si tratta oggi di diffondere nuove narrazioni per costruirne una sola, antirazzista, e sperare di porre le basi per un futuro più giusto ed egualitario. Il razzismo non è più una questione di opinione personale, ma si inserisce a posteriori nel grande campo della ricerca di una giustizia globale per il bene del pianeta.
In quanto attori della società civile, crediamo che oggi sia essenziale che le nostre organizzazioni prendano coscienza del bisogno di solidarietà che emana da queste lotte, per permettere a questi movimenti e collettivi di avere accesso a degli spazi di conversazione e di comunicazione che facilitino l'ascolto dei loro messaggi. Si tratta di una mobilitazione globale, e di energie che si uniscono per sperare di entrare in un movimento collettivo di decolonizzazione. È la diversità delle nostre strutture e dei movimenti sociali che permetterà ad ognuno e ognuna di contribuire alla costruzione di un mondo egualitario.
Il presente articolo è il risultato di una collaborazione con Forus International, una rete globale di organizzazioni della società civile che esplora le questioni relative ai movimenti sociali, agli spazi civici e alla creazione di nuove narrazioni positive per le organizzazioni della società civile.
Foto a cura di: ©Valentina Ranieri
Translated from Décoloniser l’Histoire : « Nos silences ne nous protégeront pas »