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Convenzione dei Giovani: un fallimento.

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Come il progetto di Trattato “under 25” è diventato solo “una carta immersa in un mare di carte”. Diario di bordo di una partecipante spagnola.

Un paragrafo nella Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione Europea riassume bene le fila del discorso: “l’Unione deve riuscire ad essere più democratica, trasparente ed efficace. Deve inoltre rispondere a tre sfide fondamentali: come far avvicinare i cittadini e, in primo luogo, i giovani al progetto europeo e alle istituzioni europee? Come strutturare la vita politica e lo spazio politico europeo in un’Unione ampliata? Come fare in modo che l’Unione si trasformi in un fattore di stabilità ed in un modello nel nuovo mondo multipolare?”

Da Laeken alla società civile

La Dichiarazione è la conferma che abbiamo un’UE economicamente forte, politicamente debole e socialmente invisibile. Si rimette in corsa l’idea di Monnet di un’UE che vada oltre l’unione economica per giungere alla “riunificazione” dei popoli. Nasce, in questo modo, la Convenzione per l’avvenire dell’Europa, senza nessun piano di lavoro specifico.

Nonostante le difficoltà di parlare di avvicinamento alla cittadinanza nell’ora in cui viviamo, di accennare alla strutturazione di paesaggi politici e di mondi multipolari, ciò che resta certo è lo stato dei lavori della Convenzione nell’ultimo anno; giusto per non voler perdere l’opportunità di rendere questa Unione più participativa; giusto per la pressione delle organizzazioni sociali, essa ha avuto alcuni esempi di dialogo con la società civile.

Fu dapprima all’interno della Consultazione delle Organizzazioni della Società Civile, in cui i dibattiti si articolarono senza un’amonia di fondo e in maniera improvvisata, senza giungere inoltre a dare conformità al dialogo tra organizzazioni ed istituzioni; ancora una volta si è dimostrato palese che tale dialogo va ben oltre l’esposizione di buone intenzioni in plenaria ed implica ascolto, riflessione ed intendimento.

Un cattivo inizio

Il secondo tentativo di riavvicinamento alla società civile derivò dalla Convenzione dei Giovani; imitazione servile di una sessione della “Convenzione dei Maggiori” – così era denominata dai propri delegati. In seconda battuta a giocare ai politici. Così, in 210 giovani di 28 paesi europei, fummo convocati a Bruxelles per dibattere e accordarci su uno scenario innovativo, creativo – e, con tutta probabilità irreale – della futura UE. La sfida era consistente. Una selezione dei partecipanti dubbiamente rappresentativa, un’agenda di lavoro impossibile da portare a compimento ed un clima iniziale di sfiducia sull’evento ne tratteggiavano i confini. Incominciavamo male.

Per quanto possa sembrare incredibile, riuscimmo a realizzare un esemplare ed arduo esercizio di democrazia lenta. Settantadue ore più tardi avevamo un documento approvato di quattordici cartelle da cui emergeva una solida immagine della UE del futuro e non senza imperfezioni; capace di esser presentata nella plenaria della Convenzione; capace di esser dibattuta e tenuta da conto allo stesso modo in seno ai gruppi di lavoro.

Motivo di orgoglio

Il documento in questione, andava oltre una “opinione giovanile” su un’UE per giovani, come pure ci era stato chiesto all’inizio; riassumeva bene, tuttavia, la difesa di una UE basata su valori fondamentali come la pace, il dialogo, la solidarietà o la libertà, il desiderio di una UE federale e progressista nelle sue politiche, con un ruolo definitivo sulla scena internazionale e con una costituzione tale da raccogliere tutto ciò. Si otteneva così anche il consenso verso un modello di divisione dei tre poteri, tendente ad una democrazia più trasparente e comprensibile, più efficace e più solida in modo da superare d’un colpo tutte le debolezze della complessa impalcatura attuale delle istituzioni europee.

La politica internazionale diede luogo a lunghe discussioni; così come la difesa dell’Unione, senza cadere nella demagogia della “lotta al terrorismo internazionale”, e una politica estera comune per l’Unione tale da patrocinare l’ordine mondiale multipolare. Tutte proposte che definiscono la necessità dello sviluppo politico dell’Unione che probabilmente avrebbero definito quadri molto diversi in conflitti come quello del Kosovo, quello attuale in Iraq o nell’agonizzante Palestina e in Sahara Occidentale.

La solidarietà ebbe il suo ruolo; la difendemmo come fattore di stabilità mondiale molto più efficace di qualunque politica di sicurezza e di difesa. La scommessa migratoria come diritti umani ed elemento di arricchimento delle società. Lo sviluppo sostenibile, una responsabilità cui le future generazioni potessero confrontarsi. Le politiche regionali di cooperazione basate sullo stimolo delle democrazie e sul rispetto delle identità culturali. Il processo di allargamento dell’UE come fattore federativo. Tutte idee a completamento di un documento del quale sentirsi profondamente soddisfatti.

La trinità degli assenti

Tuttavia ci furono tre grandi assenti, in questa Convenzione di giovani. Degli assenti che ci facevano così ripetere gli stessi errori della Convenzione degli adulti: il problema delle pari opportunità in politica, (nella Convenzione “degli adulti” la percentuale di donne non superava il 10% dei membri), non suscitò alcun dibattito, né si tradusse in proposte per una politica dell’uguaglianza tra uomini e donne. Un dibattito profondo sulle implicazioni di donne e uomini nello sviluppo delle società ed il suo apporto alle stesse, avrebbe arricchito il documento dandogli una prospettiva nella quale gli uni e altri si sentissero in equilibrio.

Un’altra grande assente fu l’istruzione, che non fu menzionata oltre la generica assicurazione della difesa di un sistema educativo gratuito universale. La Convenzione degli adulti, in materia d’istruzione superiore, lo considerava agevole ed avrebbe potuto raccogliere e potenziare gli accordi raggiunti nel “Processo di Bologna”, soprattutto in rapporto alla costruzione dello Spazio Europeo d’Insegnamento Universitario – atteso per il 2010 – ma anche in questo punto la Convenzione è stata un fallimento. Carente è risultato anche il riferimento informale all’istruzione come parte del processo di apprendistato permanente delle persone, così come il suo riconoscimento e il suo ruolo nei nostri curricula.

La partecipazione è poi stata la terza, grande assente. Nonostante il riconoscimento del valore dei movimenti sociali e della comparsa di nuove forme di partecipazione, non avrebbero dovuto mancare rivendicazioni e proposte. La definizione di una modalità permanente di comunicazione fra istituzioni ed organizzazioni della società civile era, in fin dei conti, di nostra responsabilità.

Furono queste mancanze, tra le altre, quelle che trasformarono la propria Convenzione dei giovani in un fatto occasionale difficilmente ripetibile ed il cui seguito, quanto alle sue proposte, nei lavori della Convenzione, si suppone quasi impossibile. Ed ecco che il nostro documento si convertì tutt’al più in una carta immersa in un mare di carte in fondo a qualche valigetta. Mi sentirò soddisfatta se qualche delegato curioso lo rileggerà in una tratta Madrid-Bruxelles.

Translated from Una oportunidad a la voz de la juventud en Europa