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Cecenia: e l’Europa che fa?

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Default profile picture lucia pantella

Violenze, distruzioni e radicalismo religioso avanzano in Cecenia dieci anni dopo la seconda invasione russa, Un disastro umanitario aggravato dall’inerzia europea.

«La Cecenia non è più all’ordine del giorno», dichiarava lo scorso maggio un responsabile russo in occasione del summit tra l’Unione Europea e la Russia. Ma a più di sei anni dalla seconda guerra in Cecenia, la situazione di questa piccola Repubblica caucasica si è normalizzata a tal punto da passare in secondo piano nelle relazioni tra l’Europa e la Russia? In realtà, quello della Cecenia resta un problema particolarmente grave che merita da parte dei venticinque Stati membri un interesse maggiore di quello che gli è stato accordato fino a questo momento.

Quale normalizzazione?

Una calma relativa si è ristabilita nella regione e la “normalizzazione” non rappresenta più una questione portante solo delle dichiarazioni russe. Alcuni osservatori indipendenti registrano dei segnali positivi: incremento dell’attività commerciale, spostamenti più facili e numerosi, edifici ricostruiti… Un’evoluzione che non deve essere trascurata rispetto alla grande povertà della popolazione cecena: senza far dimenticare, tuttavia, quanto la situazione del Paese, ribelle all’autorità di Mosca, resti eccezionale.

Negli ultimi dieci anni, infatti, la Cecenia è stata profondamente devastata dalla guerra, dall’occupazione e dalle violenze. I due periodi di guerra totale, nel 1994 e nel 1999, e la lotta armata che tuttora continua tra le forze federali e i militanti ceceni, hanno causato quasi 100.000 vittime tra i civili – circa un decimo della popolazione totale –, decine di migliaia di feriti e di profughi, un territorio massacrato. Il Comitato internazionale della Croce Rossa rilevava infatti nel 2003 che nella parte meridionale e occidentale della

Repubblica, il 60% della popolazione riesce a stento a soddisfare i suoi bisogni alimentari giornalieri. Grozny conserva ancora oggi l’aspetto di una distesa di rovine.

Giustizia negata e radicalismo religioso

Al di là degli scontri militari, le decine di migliaia di soldati russi che occupano il territorio e i membri dell’Fsb (servizi segreti) – sostituiti sempre più dalle milizie cecene filorusse – hanno commesso e commettono ancora delle gravi violazioni dei diritti umani: secondo la maggior parte dei rapporti pubblicati da Amnesty International, continuano a susseguirsi ripetutamente i rapimenti dei civili seguiti da torture e da omicidi, la tratta di esseri umani rapiti o dei loro cadaveri, i saccheggi.

Tutti questi atti restano perlopiù impuniti: in questa aree di assenza di legalità, sottoposte al giudizio arbitrario e alla violenza, è raro che vengano aperte delle inchieste, ed ancora più raro che vengano portate a termine. Non a caso, un rapporto sconcertante della Federazione internazionale dei diritti umani (Fidu) pubblicato nel 2002 stigmatizzava la situazione in Cecenia come un «sistema organizzato di terrore e impunità».

D’altra parte, in una società estremamente sbilanciata e lacerata da ormai dieci anni, l’Islam radicale avanza in seno ad una popolazione sempre più povera e martoriata. L’attacco al colonialismo russo e il revival religioso, che oppone tra loro i diversi capi religiosi, hanno contribuito ad esacerbare questo radicalismo. Ed i giovani ceceni sono proprio la fascia della popolazione più sensibile alla dottrina islamica wahabita importata nella regione nel corso degli anni Novanta. Se da un alto questa corrente estremista rimane minoritaria rispetto al Sufismo – versione moderata dell’Islam, tradizionalmente dominante in Cecenia –, tuttavia contribuisce ad alimentare la tendenza dei ribelli ceceni al ricorso al terrorismo più radicale, così come dimostra la presa di ostaggi nella scuola di Beslan nel settembre 2004. I recenti scontri di Nalchik, capitale della vicina Repubblica russa di Kabardino-Balkaria, hanno ricordato d’altra parte che l’opposizione armata al potere russo tende ad estendersi anche nel resto del Caucaso settentrionale.

L'Europa di fronte alla Cecenia

La posizione dei principali Stati europei è caratterizzata da una grande moderatezza. Se da un lato la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha condannato la Russia lo scorso febbraio, i Venticinque non sono mai ricorsi a sanzioni nei suoi confronti e non hanno espresso che proteste di portata limitata. Tuttavia il caso ceceno mostra molto bene la distanza che esiste tra la Russia e i principi base difesi dall’Ue: il rispetto dei diritti umani, la protezione delle minoranze e la democrazia. Al di là delle giustificazioni ufficiali di questa posizione – prima fra tutte la necessità di mantenere con Mosca un dialogo stretto, che rischiava di essere minacciato da critiche troppo radicali – esistono delle ragioni economiche dietro a questo silenzio strategico: la Russia rappresenta un mercato sempre più importante e dispone di materie prime particolarmente appetibili, prime fra tutte gas e petrolio. Ma il peso economico della Russia resta limitato, così come la dipendenza energetica dell’Europa occidentale nei suoi confronti.

Le ragioni di ordine diplomatico hanno un’influenza non trascurabile: conservando il suo seggio di membro permanente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Russia ha a disposizione un asso nella manica nel complesso gioco diplomatico mondiale. Nonostante ciò la situazione non è così buia. La cooperazione tra Ue e Russia ha recentemente assistito a dei passi in avanti. Tra i quattro “spazi comuni” oggetto dell’accordo di partenariato e di cooperazione concluso nel 1997 con la Russia, quelli che riguardano la libertà e la giustizia offrono argomenti di discussione costante in tema di diritti umani e in particolare della questione cecena. Allo stesso modo, il consistente aiuto umanitario messo a disposizione dalla Commissione Europea dovrebbe conferire all’Ue un diritto di coinvolgimento crescente in Cecenia.

Translated from Tchétchénie : que fait l'Europe ?